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Mi chiamo Francesco Pretagostini, ho 24 anni e oggi abito a Sassuolo, in provincia di Modena. Sono rientrato in Italia a settembre del 2018 per vedere come sarebbe stato provare a lavorare nell’azienda che ho sempre sognato da bambino: Ferrari.
Ma andiamo un po’ indietro. Proprio per seguire la passione che mi ha spinto poi a tornare in Italia, due anni prima avevo deciso, dopo aver conseguito la laurea triennale all’Università di Roma Tor Vergata, di andare a studiare all’estero. In particolare, dopo aver valutato diverse Università, la scelta è ricaduta su una università in Olanda. A Delft, infatti, si trova una delle più importanti università tecniche europee. Una delle ragioni principali per cui tra le scelte possibili c’erano solo università europee risiede nell’incredibile facilità con cui oggi ci si può muovere in Europa. Grazie all’Unione Europea, infatti, non sono necessari visti per muoversi da un paese all’altro ma soprattutto è possibile sentirsi un po’ più a casa nonostante si sia lontani dal proprio Paese.

Come me migliaia di studenti ogni anno si spostano per studiare da un paese all’altro e non è difficile sentirsi oltre che italiani, anche cittadini europei con storia e tradizioni in comune, di cui chiacchierare, su cui ridere o scherzare. Ecco la cosa bella dell’Europa. Non sono, infatti, le molteplici leggi e accordi che ci rendono più semplice la vita quando decidiamo, per un motivo o per l’altro, di allontanarci momentaneamente o indefinitamente dal nostro paese. Ma il fatto che, proprio grazie a questi accordi e leggi, tantissimi ogni anno fanno la nostra stessa esperienza. Si sviluppa, così, una coscienza comune che ci permette di non sentirci così soli a svariate centinaia di chilometri dalle nostre radici.
Questo è proprio quello che è capitato a me quando, un po’ timoroso sul come sarebbe andata, ho deciso di mettermi in macchina con i miei genitori, che forse quella mentalità europea me l’hanno trasmessa, e ‘mezza camera’ nel portabagagli. Arrivato li, dopo l’immancabile tappa all’Ikea ordinata dalla premurosa mamma italiana che non vuole far marcare nulla a suo figlio, ho iniziato a guardarmi intorno e ho pensato: “Ma lo sai che alla fine non mi sento poi così a disagio, è pieno di ragazzi nella mia stessa condizione che vogliono farsi nuovi amici. Non vedo perché dovrei ritrovarmi da solo”.

Un’altra cosa che spesso si dà per scontata ma che scontata non è per niente, è che, a mio avviso sempre grazie all’Europa, chi più chi meno parliamo tutti una lingua comune: l’Inglese. Ecco, nonostante le buone intenzioni e il fatto che fossimo tutti nella stessa condizione, se non avessimo avuto una lingua comune, difficilmente avrei potuto stringere amicizie così profonde come poi mi è capitato nei successivi due anni.
Ad ogni modo, dopo un breve periodo di ambientamento, mi sentivo molto a mio agio in questa nuova realtà. Già dopo le prime lezioni si era creato un bel gruppo di studio ma di amici soprattutto. Come in una barzelletta eravamo due italiani, un tedesco, un polacco, un indiano e un islandese a scherzare sulle varie differenze culturali e gli innumerevoli siparietti che si verificavano ogni giorno.
Dopo circa un mese che ero lì, ho deciso anche di iscrivermi al team di Formula Student, una specie di mini campionato di Formula Uno per studenti in cui gareggiano università di tutto il mondo. Anche questa volta, nonostante il contesto non fosse prettamente quello universitario e quindi progettato ad hoc, tutto era in lingua inglese e nel team, di ottanta studenti, c’erano 23 nazionalità. Incredibile. Gente da 23 paesi diversi con una singola passione comune a lavorare ogni giorno uno a fianco all’altro come se fosse tutto normale, quando invece, a rifletterci, è una cosa straordinaria e meravigliosa!
Dopo un anno di duro lavoro e con la macchina finalmente pronta per gareggiare, tutto il team è andato prima in Ungheria, poi in Germania e infine in Spagna. Il tutto con incredibile semplicità. Ma ci pensate che lavoro pazzesco sarebbe stato se non ci fosse stata l’Europa: muovere 80 persone, un camion di attrezzature e un prototipo realizzato da studenti attraverso almeno una decina di paesi? Vi chiederete inoltre “ma i soldi per fare tutto questo chi ve li ha dati?”
La risposta è semplice: una cinquantina di aziende europee che hanno creduto in noi e nel valore formativo del progetto. Ancora una volta l’Europa aveva non soltanto reso a tutti la vita più semplice, ma soprattutto fornito molti dei presupposti che avevano reso possibile il tutto.

Ora probabilmente starete pensando: okay Schengen, okay il movimento libero di capitali e beni all’interno dei paesi europei ma che altri benefici ci darà mai quest’Europa?
Vi faccio un altro esempio un po’ meno scontato. Durante i due anni di studio mi è capitato qualche migliaio di volte di ritrovarmi a leggere articoli sulle più disparate ricerche fatte nel campo automotive e della robotica, ecco, almeno la metà di quelle era sostenuta da qualche fondo europeo che le aveva rese possibili economicamente e che aveva anche portato a collaborare università e ricercatori da tutto il continente.

Ma torniamo un secondo a parlare di alcune delle persone di cui vi stavo raccontando prima. In particolare, stiamo parlando delle mie amiche Chiara ed Elettra e del mio amico Carlo. Tutti e tre sono amici di lunga data conosciuti a Roma ma che ora si trovano sparsi a lavorare in Europa e per l’Europa. Carlo, che ha studiato con me a Delft, sta facendo un internship all’Agenzia Spaziale Europea. Elettra, dopo aver studiato a Londra, si è trasferita a Bruxelles e ora lavora al Parlamento Europeo. Chiara lavora invece alla Banca Centrale Europea a Francoforte. Non penso sia un a caso che tre delle persone più brillanti che conosco lavorino nelle istituzioni europee e che queste siano in tre campi molto diversi. Per i neolaureati attuali sono, infatti, tra i posti di lavoro più ambiti, al fianco di grandi multinazionali e medie aziende leader nel loro settore, come appunto Ferrari. Ciò che attira è la qualità del lavoro che svolgono e l’ambizione dei loro progetti.

Al termine del primo anno di università, con la stessa semplicità di movimento che avevo trovato l’anno prima, mi sono trasferito a Bruxelles per fare un internship e scrivere la tesi presso la sede europea di Toyota. Ancora una volta una cultura differente e buona parte della mia vita sociale da ricominciare da zero; questa volta però a rendere il tutto più semplice non c’era un ambiente universitario pensato per favorire il benessere e l’apertura dello studente.
A mio favore però c’era il trovarmi nel cuore dell’Europa, dove i suoi trattati sono pensati e redatti e dove tutto, prima di essere belga, è europeo. Nuovamente senza grossi problemi mi sono ambientato e pian pianino ho scoperto un paio di posti dove andarmi a rifugiare quando avevo nostalgia del mio paese: Paolo’s Idea ad Ixelles faceva una fantastica pizza napoletana e il bar da Michele a Meiser un ottimo cappuccino e cornetto. Nel mio team in Toyota c’erano un italiano, un greco, uno spagnolo, un irlandese, un francese, due belgi, un portoghese e quattro giapponesi. Altro scenario da barzelletta che nuovamente mi fa porre l’attenzione su come qualsiasi paese europeo sia cosmopolita.

A Bruxelles mi è capitato anche di vedere la parte tanto criticata dell’Europa. Almeno una volta al mese infatti si tenevano corpose manifestazioni che contestavano i più variegati aspetti della politica comune europea. Spesso capitava anche che mi trovassi in accordo con quello contro cui i manifestanti – provenienti da ogni dove – protestavano. Certo ce n’è da lavorare per migliorare le cose ma, allo stesso tempo, l’idea che ci sia un’organizzazione super partes a vigilare sull’operato dei vari paesi e a invogliarne la collaborazione mi fa dormire sogni più tranquilli la notte, sebbene riconosca che, a volte, questo vada contro gli interessi dei singoli paesi portando a una più difficile attuazione delle politiche interne. D’altronde in ogni cosa c’è un compromesso ed ogni cosa, anche la migliore, è migliorabile.

Finita la parte di ricerca della tesi, dopo aver deciso di inseguire per un po’ la passione che avevo sin da bambino e avendo messo da parte il Francesco più adulto e razionale – che mi diceva “ma perché non te ne rimani in Toyota, che si sta benissimo!” – sono tornato in Olanda per un mese e mezzo per completare la stesura della tesi. Avrebbe dovuto essere un passaggio ‘rapido e indolore’, prima di ritrasferirmi in Italia ad inizio settembre, invece ho pensato bene di innamorarmi di Myrthe, una ragazza, al dire il vero l’unica, che aveva partecipato alla Formula Student con me l’anno precedente. Dopo aver passato un mese molto piacevole insieme, è arrivato il momento della scelta: “E ora che cosa facciamo? Dopo un mese insieme lasciamo morire tutto così e andiamo ognuno per la sua strada o proviamo a continuare a vederci e con un po’ di impegno cerchiamo di rendere normale una relazione con 1.600 km di mezzo? Ne vale la pena?” La risposta era e sarà sempre “Assolutamente si”, perché, almeno dal mio punto di vista, chi non prova perde in partenza. Certamente, però, la consapevolezza di potersi muoversi così facilmente, che, nonostante le differenze superficiali, le nostre culture non erano poi così distanti e che in un secondo momento non mi sarei trovato in difficoltà a tornare a trasferirmi all’estero, mi ha certamente aiutato a decidere di provarci. Oggi, 7 mesi dopo, tutto ‘va alla grande’ sotto quel punto di vista. Sicuramente c’è voluto del nostro per far funzionare le cose ma senza tutte le possibilità e i privilegi che l’essere cittadini europei ci dà, senza dubbio non sarebbe stato così semplice.

Per concludere il mio breve racconto su questi due anni all’estero vi lascio con una breve considerazione personale. Penso di essere la persona che sono oggi per molti fattori: famiglia, amicizie, educazione, esperienze personali e tanto altro. L’Europa e l’essere cittadino Europeo hanno contribuito. E al pensiero che – per via di persone che non ne comprendono i vantaggi perché accecati da un nazionalismo anacronistico e che non hanno mai avuto il coraggio di esplorarli e trarne beneficio – un giorno i miei figli possano essere privati di tutte le esperienze e opportunità di crescita di cui io ho avuto la possibilità di godere, mi assale un senso di profonda amarezza.

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

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