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Quando di recente mi venne rivolta la domanda, ti senti europeo? Da quando? Ho immediatamente ricordato la mia infanzia: alle elementari studiavo le guerre mondiali, mio nonno mi corresse e disse “è sbagliato chiamarle guerre mondiali, è più appropriato chiamarle guerre civili europee.” E questo mi fece riflettere: "ma allora non è vero quanto è scritto sui libri di storia, sul cattivissimo Radetsky, il nemico austro-ungarico e quant’altro?"
Per mia fortuna ho passato un’infanzia di viaggi e vita all’estero, grazie al lavoro di mio padre. Ho imparato a distinguere, in parte comprendere e accettare, culture molto diverse dalla nostra, ed effettivamente ho iniziato a capire che, per noi europei, sono molte di più le cose che ci accomunano di quelle che ci dividono.

Un episodio, già in adolescenza, si svolse durante un periodo di vita in studio in Asia, sempre a seguito dei miei genitori, dove frequentavo una scuola internazionale. Ricordo nella scuola maschile vari episodi di bullismo da parte dei ragazzi più grandi; come nuovo arrivato ero abbastanza preso di mira. Dopo la classe di ginnastica uno dei miei nemici più acerrimi volle cercare lo scontro e buttandomi l’asciugamano bagnato addosso disse “Ma tu guarda questi europei quanto sono brutti e stupidi, promo come questo qua!” Ovviamente il ragazzo in questione era il doppio di me, ma in quel momento negli spogliatoi si voltarono altri quattro ragazzi a prendere le mie difese (e anche le loro): un danese, un francese e due tedeschi. Il bullo se la diede a gambe. Volevano difendere dall’offesa sia se stessi che me, che ero uno di loro. Capii l’Europa ed il suo significato.

Ma i veri benefici li ebbi più avanti, quando a 18 anni compiuti, maturità finita non proprio con il massimo dei voti, diciamo, mi ritrovai senza sapere cosa fare o a quale facoltà iscrivermi. Ed ecco una opportunità: nel 1996 l’Unione Europea finanziava tutte le rette universitarie per gli studenti interessati ad un corso di laurea in un altro paese UE. Colsi la palla al balzo, in quanto maturando europeo era un mio diritto. Di li a 3 settimane mi trovai con un biglietto di sola andata verso il Regno Unito, visto che conoscevo già l’inglese. Non ero il solo e ricordo una comunità veramente europea fatta da greci, spagnoli, portoghesi, bulgari e anche qualche italiano. Si viveva insieme e si condivideva pane e studio come in un’unica comunità. Forse è stato uno dei periodi più belli e multiculturali, dove scoprendo persone si scoprivano anche storie e culture, differenti ma anche molto simili. Da quel momento in poi ho cercato sempre di replicare nella mia vita professionale quest’atmosfera multiculturale.

Il vero inizio è stato nel 2002, abbandonata la strada del giornalismo, accantonata la possibilità di essere assunto da un’organizzazione internazionale, fondai insieme ai miei amici un’associazione culturale. Gli obiettivi dell'associazione: Giovani, Cittadinanza Attiva ed Europa. Nel 2003 scoprii il programma europeo “Gioventù” e feci domanda all’Agenzia Italiana per i Giovani, ed in un men che non si dica, eccomi a Budapest con altre ragazze e ragazzi che la pensavano proprio come me, che sognavano un futuro con meno frontiere, con partecipazione attiva, con responsabilità civica, con un ambiente pulito. E lì tutti noi abbiamo imparato a scrivere progetti.
L’apprendimento maggiore è stato proprio quando ho scoperto che le problematiche che credevo essere solo nostre, ossia italiane, sono in realtà molto comuni, dal sociale fino all’ambientale: le sfide che affrontiamo come cittadini europei hanno moltissime similitudini dalla Finlandia fino a Malta. Cominciai ad innamorarmi sempre di più del progetto europeo e volevo farne parte, volevo attivarmi per far sì che accadesse.
Certo i finanziamenti per il programma Gioventù e per il programma successivo Gioventù in Azione erano veramente pochi, e le possibilità molto limitate. Fu così che nel 2004 divenni formatore europeo per i giovani. Nel decennio successivo passavo più tempo all’aeroporto che a casa: aereo per una formazione sul dialogo interreligioso a Cipro, da li in Polonia per formarsi su democrazia e partecipazione e poi in Germania per un corso su come equipaggiare giovani e terzo settore per contrastare il razzismo. Un periodo eccitante, eclettico, dinamico e di forti cambiamenti sociali e politici. Si lavorava sulla base mentre da Maastricht si arrivava al Trattato di Lisbona, l’Europa si faceva più vicina e le distanze si riducevano, e non parlo solo di quelle fisiche.
Ricordo un giorno in particolare: in un'attività di formazione rivolta ai volontari europei del Servizio Volontario Europeo. Un pomeriggio li portammo in un luogo speciale, nel Nord Italia, dove nel 1944 i nazi-fascisti compirono un eccidio sia di civili innocenti che di partigiani. Per i volontari europei, per lo più provenienti da situazioni di svantaggio sociale, fu una visita emotiva, e come formatore improvvisai un’attività e dissi a ciascuno di loro: “Eccoti un foglio di carta, scrivi dai 3 ai 5 valori e principi in cui credi di più.” Dopo aver scritto i valori, li divisi in gruppi di tre e dissi: “Ora confrontatevi e mettete giù i valori che vi accomunano.” E poi procedemmo in gruppi man mano più grandi, fino a che non tornammo in plenaria con tutti e 50 i volontari e si arrivò alla scelta dei 3 valori/principi comuni al gruppo intero. La conclusione fu: avere dei valori personali non esclude averne altri come gruppo ed altri ancora come macro-gruppo. Le identità personali, del proprio territorio, del proprio paese si traducono in valori e principi personali e condivisi, e gli uni non escludono gli altri, ma si sommano. In quel momento specifico, con quel gruppo di volontari internazionali, credo che tutti ci siamo sentiti più europei e abbiamo capito cosa vuol dire essere europei.

L’esperienza svolta nell’associazionismo giovanile volgeva al termine, era ora di passare la palla ai giovani dei quartieri di periferia con cui avevo lavorato e spostarmi in altri ambiti professionali, alla consulenza, al capacity building.
Sette anni passati nel Partenariato Orientale in un periodo storico coronato da crisi e sfide politiche e guerra e gli albori del confronto tra due scuole di pensiero: una scuola russa che punta al protezionismo economico, al nazionalismo, all’intolleranza e all’autoritarismo; ed una via europea rivolta al libero mercato, alla partecipazione attiva della società civile e alla democrazia. In tutti i paesi del partenariato orientale, confrontandomi sia con ministri che con piccole comunità lontane, l’Europa, o meglio la UE, è vista come un barlume di speranza. Speranza di liberarsi dal giogo dei piccoli tiranni locali e da truppe di eserciti stranieri che occupano con prepotenza le loro case, speranza di vivere in una società più partecipata, speranza di uno sviluppo economico sostenibile e speranza di mobilità per studio, svago e lavoro. Tantissime cose che noi, nati in queste generazioni, diamo per scontate ed ovvie.
Fino ad arrivare alla rivoluzione ucraina per la dignità, erroneamente chiamata Euromaidan: cittadini che spontaneamente, inizialmente pochi e poi a centinaia di migliaia, rivendicavano i valori dell’UE e manifestavano il loro dissenso al modello ottocentesco di stato-nazione proposto dal Cremlino. Una scelta che tutt’ora pagano con l’occupazione della Crimea e la guerra ibrida del Donbass. Sono stato testimone di giovani che con orgoglio e speranza sventolavano una bandiera blu a dodici stelle, che per loro significa libertà, mentre per molti di noi ha perso significato, ed è addirittura osteggiata. Solo lì ho capito che i nostri valori condivisi europei sono sotto attacco, nel caso ucraino, militare.

Qui finisce questa breve autobiografia: è il marzo 2018, in Italia vince democraticamente e con ampio sostegno una forza che personalmente non sostengo, ma che, secondo le regole democratiche ha diritto di governare ed a cui io come cittadino romano-italiano-europeo ho diritto di fare opposizione con i mezzi che ho a disposizione – la formazione, il coaching, la consulenza ed in parte l’attivismo politico – per far sì che l’Europa e l’UE non collassino, nè facciano passi indietro nella storia, ma che vadano avanti e diventino realtà più trasparenti, democratiche, coese, unite e partecipate.
Per questo nel settembre del 2018 ho rassegnato le dimissioni dal progetto EuropeAid in cui lavoravo e sono tornato in Italia: l’Europa ha fatto tanto per me, è ora di fare la mia parte.

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

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