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Ieri sera sono stato a cena da una coppia di amici, Hélène e Guglielmo, che sono da poco tornati a Roma: si erano conosciuti e messi insieme a Roma qualche anno fa, poi si sono trasferiti a Parigi e da qualche mese hanno deciso di rientrare in Italia. Abbiamo passato una bella serata, finendo inevitabilmente a parlare della Francia, dell’Italia, delle nostre esperienze di vita tra Roma e Parigi.
Stamattina sono arrivato in ufficio e ho trovato alla sua scrivania, di fronte alla mia, Lena: è lituana ma, come dico sempre, è più italiana di noi. Quando è nata, le repubbliche baltiche facevano ancora parte dell’Unione sovietica. Quando è venuta a studiare alla Bocconi, il suo Paese era da poco entrato a far parte dell’Unione Europea. Quando si è trasferita a Stoccolma per il dottorato, fortunatamente era aumentata l’offerta di voli low cost, che hanno consentito a lei e al suo ragazzo di Milano di continuare a vedersi e stare insieme.

Quest’anno, ad aprile, ci saranno molti ponti: con pochi giorni di ferie ci si può prendere un bel po’ di vacanze. Tornato a casa, ho guardato i voli su internet e le prime destinazioni che mi sono venute in mente sono quelle dove sono i miei amici. Potrei andare a Oslo da Mario, ma chissà se in quei giorni sarà lì o a Parigi: la sua compagna vive nella capitale francese e anche lui alterna periodi di lavoro in Francia e Norvegia. Potrei andare in Inghilterra, dove la mia amica Francesca si trasferirà per qualche mese per un visiting nell’ambito del suo dottorato – servirà il passaporto? Brexit sarà diventata realtà? C’è poi sempre quell’idea di andare in Olanda: ora che Thomas e la sua moglie canadese Clara sono tornati in Europa dopo qualche anno di lavoro negli Stati Uniti; sarebbe una bella occasione per vedersi.
Questo weekend ci sarà a Roma Giovanni, il mio compagno del liceo che da qualche anno vive a Milano. Ogni volta che torna è una buona occasione per organizzare qualcosa con il gruppo di quegli anni di studio; fortunatamente nel corso del tempo siamo riusciti a frequentarci, perché anche lui ha vissuto a Parigi nel mio stesso periodo. Era stato molto piacevole un weekend a Bruxelles, quando sono andato a trovarlo mentre lavorava lì.
In questo weekend dovrò anche preparare il divano letto, perché domenica arriva Cécile, la mia compagna d’università di Parigi, insieme ad una sua amica, e sono molto contento di ospitarle nel loro breve soggiorno romano. Il suo matrimonio con Jean, cui mi aveva invitato qualche anno fa, è stato proprio una bella festa.

Molto spesso, chi critica l’Europa dice che questa è l’Europa delle banche, delle lobby, dei burocrati di Bruxelles e invoca l’Europa dei popoli. In realtà, l’esperienza personale di ciascuno di noi ci dice che il vero futuro (ma che è già anche nel suo presente) dell’Europa è l’Europa delle relazioni. Nel nostro continente c’è già una fitta rete di relazioni – personali, economiche, lavorative, culturali, politiche – che ne costituisce la ragion d’essere, una solida base su cui poggiare la costruzione europea dei prossimi anni. C’era, in fondo, un legame personale tra Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi quando, confinati a Ventotene, scrissero il loro manifesto per un’Europa libera e unita. Dalle relazioni tra i padri fondatori della Comunità europea (Adenauer, Schuman, De Gasperi, Jean Monnet), che traghettarono i loro paesi fuori dalla seconda guerra mondiale, si avviò il processo per la firma del Trattato di Roma nel 1957.

Quando, nel 1992, il Trattato di Maastricht ha introdotto la cittadinanza europea, l’idea era proprio quella di rendere ciascuno di noi protagonista del progetto europeo: tutti hanno in tasca un passaporto con la scritta “Unione Europea” e possono sentirsi parte di quest’unica entità. L’Europa dei popoli presuppone l’avvicinamento di popolazioni caratterizzate da un proprio sentimento nazionale, con il rischio di escludere chi di quelle nazioni non fa parte. Nell’Europa delle relazioni, sono europei anche coloro che sono arrivati qui e fanno parte della comunità in cui vivono o coloro che, in ragione, ad esempio, della nazionalità dei loro genitori, non sono cittadini del paese dove si trovano ma hanno tutta una serie di legami con le persone che frequentano i loro stessi luoghi di vita. È nell’Europa delle relazioni che ciascuno di noi trova la bellezza, e anche i vantaggi, di far parte di un unico spazio di circolazione.

Sono queste le ragioni per cui non posso non sentirmi europeo. Quando nel 2009, al terzo anno di giurisprudenza, decisi di andare a studiare in Francia, avevo l’idea di andare a vedere cosa di meglio avesse da offrirmi un posto diverso da quello in cui ero nato e cresciuto. Lo stesso sentimento che muove milioni di persone nel mondo a spostarsi. Molti mi avevano messo in guardia: Parigi non è una città facile per chi viene da fuori, i parigini sono antipatici, faranno finta di non capire il tuo francese… non ho mai vissuto niente di tutto questo. I miei compagni di università, alcuni dei quali sono diventati dei buoni amici, mi hanno sempre fatto sentire uno di loro. Alcune ragazze francesi, che avevo conosciuto a Roma e seguivano il mio stesso percorso di studi “all’inverso”, le ho ritrovate lì e negli anni siamo stati accomunati non solo da una laurea franco-italiana, ma anche da un’amicizia franco-italiana. È poi anche vero che, quando si è fuori, si cerca di ricostruire un contesto familiare, frequentando le persone che si conoscono da prima: per fortuna, da questo punto di vista, Parigi è stata un punto di passaggio – per alcuni, di arrivo – di tante persone che conoscevo da tantissimo tempo. Tutti eravamo accomunati dall’idea di sentire casa un posto che casa nostra non era e al tempo stesso di ricreare lì alcune situazioni che di casa ci mancavano – penso ancora a dell’ottimo agnello mangiato a casa di amici italiani in qualche pranzo di Pasqua trascorso fuori dall’Italia.

Per me studiare in Francia è stata l’occasione di conoscere da vicino quello che, per motivi di studio (e oggi di lavoro), mi interessava di più: il funzionamento dello Stato, la cura della cosa pubblica, le regole che disciplinano l’azione dei pubblici poteri e l’interazione di questi ultimi con i soggetti privati. Ma è stata questa la ragione stessa che, in fondo, mi ha convinto a tornare: anche se in un contesto europeo, chi vuole occuparsi della cosa pubblica tende naturalmente a farlo per il proprio paese.

Penso che il percorso che io ho seguito sia comune a molti miei coetanei. All’inizio la curiosità per qualcosa di diverso. Poi, le opportunità che un’esperienza all’estero può offrire: io ho imparato molto nei miei studi di diritto pubblico e nelle esperienze lavorative, in studi legali ed enti pubblici, che ho potuto fare in Francia. Insieme alle opportunità, l’eterno dilemma: tornare o restare? Si sta bene fuori, si sta bene a casa propria. Alla fine, molti tornano, molti restano. Io sono tornato, enormemente arricchito per un’esperienza che non considero conclusa, perché fa parte di quel sentirsi pienamente europeo che ci permette di essere, anche in un luogo diverso da quello dove siamo nati, a casa.

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

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