Il modello Flip

CONDIVIDI SU:

Negli ultimi anni il settore del digital learning in Italia sta conoscendo una crescita oltre le aspettative e probabilmente sta giungendo ad una piena maturità.
Nella prima fase di espansione dell’e-learning nel nostro Paese, tutti gli operatori si sono prevalentemente concentrati sull’aspetto dell’efficienza.
Oggi abbiamo quindi strumenti e infrastrutture tecnologiche diffuse e performanti: le potenzialità e le funzionalità degli LMS si allargano sempre più, ci sono in commercio numerosi tool di sviluppo pensati appositamente per la creazione di corsi digitali.
Tuttavia, questa visione “tecnocentrica” ha probabilmente lasciato in secondo piano l’aspetto più importante, visto che parliamo di formazione: l’efficacia.
Infatti, una buona parte della formazione on line in questo momento è ancora costituita da corsi che seguono un approccio di tipo tell-test.
Questo è un meccanismo tipicamente push in cui il discente digitale “subisce” la spiegazione di numerosi concetti, spesso senza alcuna attenzione al carico cognitivo e soprattutto senza alcuna possibilità di interazione.
L’unica interazione è a valle del percorso e consiste solitamente in un test che usa come strumenti di verifica esclusivamente domande a risposta multipla, come se qualsiasi area di conoscenza possa essere verificata tramite quiz a opzioni.
Se è vero, come ci insegna Malcom Knowles, il massimo esperto di andragogia nel suo manuale “Quando l’adulto impara”, che “le persone tendono a sentirsi impegnate in una attività in diretta proporzione alla loro partecipazione o influenza sul processo decisionale che la riguarda”, allora è vero che molti corsi per adulti non sono progettati in base alle caratteristiche del loro target, cioè sono function focused anziché human focused.
Qual è la differenza? Chi adotta il function focused design progetta con l’unico scopo di ottenere un obiettivo nel minor tempo possibile. La catena di montaggio e l’approccio taylorista ne sono un tipico esempio. La parola chiave è efficienza. Questo approccio ha però un punto debole: non considera che gli esseri umani non sono automi ma provano emozioni e hanno pensieri autonomi. L’unico approccio realmente efficace è quindi quello che ottimizza la progettazione in considerazione del fattore umano, tenendo conto di emozioni, motivazioni e coinvolgimento perché questo dà la garanzia di un risultato a prescindere dalla coercizione e dal controllo.
A proposito di coercizione e controllo, il filosofo olandese Huizinga nel suo libro “Homo ludens” affermava “Ogni gioco è anzitutto un atto libero”. E non è un caso che proprio l’industria del gaming sia stata la prima ad adottare lo human focused design. Perché? Perché questo settore si fonda sul coinvolgimento e sulla motivazione dell’utente. Ed ecco perché probabilmente ha qualcosa da insegnare anche a noi che ci occupiamo di formazione.
Sì, perché è evidente a tutti: la sfida della formazione oggi non può più limitarsi a trasmettere delle informazioni ma è guadagnare l’attenzione dei discenti, coinvolgerli, metterli al centro dei loro percorsi d’apprendimento, in altre parole «ingaggiarli».
Nel corso dei miei 13 anni di attività professionale come instructional designer ho indagato a fondo questo campo e stratificato un modello didattico che sfrutta alcuni dei principi del game design per ribaltare l’approccio didattico di tipo tell-test mettendo al centro il discente e favorendo la sua autonomia nell’esplorazione dei contenuti, in coerenza col ruolo che Knowles riconosce al formatore nel campo andragogico di “facilitatore dell’apprendimento”, in contrasto con il tipico del modello pedagogico di un’istruzione diretta dal docente e che lascia al discente solo il ruolo subordinato di seguire le istruzioni dell’insegnante.
Seppure i corsi a cui è stato applicato il modello fanno riferimento agli ambiti più disparati e differenti tra loro (formazione di prodotto in ambito hardware, skills di vendita, training normativo sulle procedure per Informatori scientifici del farmaco) è vero che lo schema metodologico applicato rimane costante e presenta alcune caratteristiche chiave che proverò qui a sintetizzare per fornire non certo una “formula magica” ma un esempio applicativo concreto delle strategie della gamification al digital learning.

I pilastri del modello Flip

#1 Performance based

“man mano che gli individui maturano, il loro bisogno e la loro capacità di essere autonomi, di utilizzare la loro esperienza nell’apprendimento, di riconoscere la loro disponibilità ad apprendere, e di organizzare il loro apprendimento attorno ai problemi della vita reale, cresce costantemente […]” afferma Knowles.
Questo mi ha portato a riflettere su come spesso nel mondo della formazione aziendale e in generale della formazione per adulti manchi un nesso con la pratica e l’esperienza lavorativa dei discenti e i corsi sono incentrati sempre sulle nozioni e sulle informazioni, anche quando in realtà l’obiettivo finale è l’apprendimento di un saper-fare.
Il termine FLIP indica un capovolgimento, un ribaltamento. Il primo switch da fare è passare dai corsi information-based a quelli performance-based che sono basati su prestazioni o decisioni che devono essere eseguite e misurate.
A differenza del tipico approccio tell-test, il palcoscenico deve essere occupato dalla performance e non dai contenuti teorici che, per restare in metafora, devono rimanere nel backstage.

#2 Go micro

I contenuti oggetto dell’intervento formativo vengono sintetizzati e segmentati in piccole porzioni creando delle pillole didattiche di facile e veloce consultazione: questo aspetto chiama in causa anche il microlearning e l’esigenza di evitare il sovraccarico cognitivo dei discenti. Tutte le pillole vengono indicizzate e posizionate in una sorta di manuale virtuale accessibile in ogni momento e in ogni punto del corso. In questo modo il discente è invogliato a consultare i contenuti (in modo pull e non push) perché diventano essenziali per raggiungere un obiettivo.

Esempio di manuale interattivo dei contenuti. L’immagine di proprietà di ASUS è a solo scopo rappresentativo e non può essere riprodotta o condivisa esternamente o utilizzata per altri fini.

#3 Storydoing

Il discente appena entra nel corso non si imbatte in una elencazione di concetti da memorizzare ma viene proiettato in una storia che contiene una missione di cui lui non è solo spettatore ma protagonista influenzando con le sue azioni lo svolgersi degli eventi.


Esempio di missione. L’immagine di proprietà di Daiichi Sankyo è a solo scopo rappresentativo e non può essere riprodotta o condivisa esternamente o utilizzata per altri fini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

#4 Vincere la sfida

Per superare questa missione e raggiungere la meta (qualunque essa sia) deve affrontare una serie di sfide costruite come scenari di apprendimento. Ogni sfida verte su una competenza e il discente deve dimostrare di possederla scegliendo il comportamento corretto tra una serie di comportamenti possibili. La valutazione in questo modello non è un momento singolo relegato al termine del percorso didattico e separato dall’apprendimento ma le due componenti vanno di pari passo.

Esempio di momento decisionale. L’immagine di proprietà di ZEGNA è a solo scopo rappresentativo e non può essere riprodotta e condivisa esternamente o utilizzata per altri fini.

 

 

 

 

 

#5 Learning by doing

Se il discente sbaglia sperimenta le conseguenze delle proprie azioni, compreso il fallimento in cui deve ricominciare da capo (game over). Se il discente sceglie il comportamento giusto, allora prosegue nel suo percorso verso la meta.
Il discente non apprende solo tramite la consultazione dei contenuti ma anche attraverso le prove e gli errori che compie. Il feedback del sistema è uno strumento di apprendimento a tutti gli effetti che stimola il learning by doing. Le conoscenze apprese in questo modo sono “conoscenze operative” e per questo sono più memorabili rispetto alle “conoscenze figurative” ossia astratte.

Esempio di game over. L’immagine di proprietà di COOP è a solo scopo rappresentativo e non può essere riprodotta e condivisa esternamente o utilizzata per altri fini.

#6 Autonomia

L’utente sceglie autonomamente quando studiare i contenuti e quando mettersi alla prova. Il corso smette di essere un oggetto monolitico che viene subito dal discente e si crea uno spazio di autonomia che lascia il posto a strategie di apprendimento differenti. Alcuni discenti preferiscono affrontare direttamente le sfide e (in caso di fallimento) studiare la nozione. Altri, invece, sono più metodici e preferiscono prima studiare e poi mettersi alla prova. Dunque, in base alle competenze inziali in possesso e allo stile di apprendimento ogni discente si muove in modo differente.
L’utente non è MAI obbligato in nessun modo a consultare i contenuti perché se riesce a superare gli scenari di apprendimento significa che già è in possesso di quelle nozioni e non ha senso obbligarlo a formarsi su qualcosa che già sa perché questo è frustrante e (per certi versi) poco rispettoso.

Analisi dei core drives

Parlando di applicazioni della gamification, non possiamo non fare riferimento al Framework Octalysis sviluppato dal guru del settore Yu-Kai Chou. Questo modello, in sostanza, ci dice che il comportamento e la motivazione di ogni persona è influenzata e trainata da 8 istinti primari, chiamati Core Drives o dinamiche di gioco. Se impariamo a sfruttarle a nostro vantaggio anche nei percorso formativi, massimizzeremo l’attenzione e il coinvolgimento dei discenti. Ognuna di queste dinamiche può essere soddisfatta/remunerata attraverso strumenti concreti (chiamati meccaniche di gioco) che si inseriscono nel percorso.
Andiamo ora a vedere su quali di questi elementi si basa FLIP. Per un focus sul significato dei core drive e sulle relative meccaniche rimando al sito di Yu-Kai Chou.

Epic Meaning&calling
Narrative

Il primo Core Drive su cui FLIP si basa è la narrazione epica attraverso sui il discente è sempre chiamato ad immedesimarsi nel protagonista. Sin dai tempi dell’antica Grecia l’uomo cerca la gloria e se sente che può partecipare a qualcosa di eroico, allora il suo coinvolgimento e la sua motivazione aumentano.
In uno dei corsi che ho sviluppato il protagonista era un esploratore intrappolato in una giungla la cui unica speranza di fuga era ritrovare una mongolfiera, posta al termine di un lungo percorso pieno di enigmi (didattici) all’interno della foresta. Questa ad esempio è una tipica “escape story”. In questo modo, si colloca l’azione dell’utente all’interno di una cornice narrativa, la si arricchisce di uno scopo, un fine “alto” che funge da traino motivazionale. Attenzione: questo non vuol dire che bisogna necessariamente ricorrere a mondi altri o a metafore. In alcuni casi, i corsi erano ambientati sul posto di lavoro: ad esempio in un punto vendita in cui una commessa neoassunta deve fare i conti con dei clienti particolarmente esigenti e ha bisogno dell’aiuto del discente per soddisfarli.
In ogni caso, in qualsiasi progetto gamificato la componente dello storytelling è imprescindibile. Per approfondire questo tema consiglio di dare una occhiata alla bibliografia di Andrea Fontana, probabilmente il massimo esperto di storytelling in Italia.

Accomplishment
Progress bar

Un altro istinto forte in ciascuno di noi è la voglia di progresso. A pensarci bene, tutta la nostra vita è organizzata come una continua evoluzione verso obiettivi di difficoltà crescente. E noi, come uomini, abbiamo bisogno sempre di nuovi stimoli e di vedere che stiamo riuscendo a progredire.
Questa dinamica si concretizza nella presenza di tool che indicano lo stato del nostro avanzamento nel percorso gamificato chiarendo cosa abbiamo conquistato e cosa ci resta da conquistare per raggiungere l’obiettivo. Nei corsi di vendita, ad esempio, la barra indica lo stato del cliente: se la barra è vuota il cliente è insoddisfatto, man mano che progrediamo la barra si riempie. In altri tipi di corsi può rappresentare la percentuale di esplorazione del mondo o di enigmi risolti sul totale.

Esempio di progress bar. L’immagine di proprietà di COOP è a solo scopo rappresentativo e non può essere riprodotta e  condivisa esternamente o utilizzata per altri fini.

 

 

 



Esempio di statistiche di gioco. L’immagine di proprietà di MODULA è a solo scopo rappresentativo e non può essere riprodotta e condivisa esternamente o utilizzata per altri fini.

Fanno riferimento a questo Core Drive anche tutti i meccanismi di leveling up ossia la presenza di livelli di difficoltà crescente che si sbloccano solo al completamento del livello precedente.


Avoidance
Progress loss

La paura della perdita è uno degli istinti primari umani più forti, anche nel mondo virtuale.
Sfruttando questa leva, il game over del nostro percorso gamificato può diventare una spinta a concentrarsi maggiormente per evitare la conseguenza negativa.
Ad esempio, in un corso per agenti di vendita se venivano usate le parole sbagliate durante la trattativa, la trattativa falliva e il discente era costretto a prendere un nuovo appuntamento col cliente e ricominciare. Proprio come avviene nella vita reale.
In questo senso, il game over è uno strumento prezioso perché avvicina l’esperienza formativa alla realtà lavorativa, rendendola quindi più efficace.

Una domanda sorge spontanea. Come mai sono stati applicati solo 3 degli 8 core drive?
Perché gamificare significa sfruttare solo alcuni degli elementi del game design e non tutti. Altrimenti non sarebbe gamification ma un gioco tout court.
Peraltro, la scelta delle dinamiche su cui puntare viene fatta in relazione agli obiettivi che si vogliono perseguire. Immaginiamo ad esempio di inserire nel nostro modello la meccanica del count down che fa riferimento alla scarsità (temporale). La pressione prodotta dall’assenza di tempo scoraggerebbe il discente dall’esplorazione dei contenuti aumentando il numero di tentativi a caso. Questo non è quello che vogliamo ottenere. Pertanto, non sono stati inseriti meccanismi di count down ma c’è il game over che funge appunto da “antidoto” contro i tentativi a caso scoraggiandoli (se il rischio è perdere e ricominciare da capo, evito di dare risposte non ponderate).
A riprova che qualsiasi progetto (e quelli gamificati non fanno eccezione) ha nell’analisi del target e degli obiettivi e nella progettazione il suo elemento più importante.

Infografia

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

Vindice Deplano