Chi ascolta una storia è in compagnia del narratore,
anche chi legge, invero, è in compagnia del narratore

W. Benjamin, Il narratore, Considerazioni sull'opera di Nikolaj Lescov

Vede, disse l'uomo seduto di fronte a me nel treno, - io mi occupo di polvere,
nient'altro che di polvere
Daniele Del Giudice – in Mania, L'orecchio assoluto

Sin dai dialoghi platonici, la con-vers-azione si mostra capace di condurci verso l'altro, di dar sponda all'altro per un suo pensare, di dispiegare il senso delle cose in un'azione che contempla e dichiara e che dà forma. E la forma del dir-si non è irrilevante e secondaria, “mi son fatto bello per andar bello da uno che è bello”, si legge nel Simposio.

Se da un lato il nostro agire sociale, sin dalla scuola per poi arrivare alle aule ed ai luoghi della formazione continua, si fonda sullo scambio, sulla condivisione orale e la trasformazione scritta di pensieri e visioni, emozioni e deduzioni, motivazioni e modelli soggettivi di relazione con la realtà donata, è per la memoria delle cose, per la loro trasmissione, conservazione, cura, che è possibile prefigurare una trasformazione vera che ridefinisca il mondo, rendendolo migliore.

A questo servono, io credo, la narrativa, la filosofia, il teatro, la poesia. Il cinema e la fotografia, e non da ultima la Street Art. A rammentare e ridire, a riproporre e lasciare alla lettura soggettiva, e poi a volte collettiva, la traccia solida, corporea, tangibile e duratura della polvere. Il nostro sguardo sulle macerie (per stare accanto a Benjamin), e il nostro sentimento della morte capace di fondare il sentimento della vita.

Le pratiche narrative per l'apprendimento e l'epistemologia hanno introdotto, recuperato per essere sinceri, quella componente di abilitazione all'ascolto e alla restituzione che era necessario riprendere e consolidare in contrapposizione a un'azione formativa, nella formazione degli adulti e nella consulenza alle organizzazioni, che rischiava di arenarsi nelle pratiche frontali e unidirezionali sulla scia di un sapere organizzativo e del lavoro asfissiato da mandati procedurali. Sono state, in questo senso, rivoluzionarie, perché hanno portato, condotto, invitato, non solo i partecipanti e clienti, ma anche e soprattutto i formatori, sul terreno così ricco di polvere dove i mandala si disperdono, e possiamo fare delle nostre esperienze, dopo averle vissute, quello che ancora non sappiamo. Ovvero, appropriarci di tutto quanto è accaduto, è stato detto, si è mescolato, per portare con noi (nel dopo) la memoria operativa, fertile e vivifica, delle parole e delle cose.

La parola narrazione, che dalle forme orali e di “trascrizione” apocrifa delle letterature, dai luoghi dell'epistemologia e della filosofia, è passata dal '900 ai luoghi tutti della comunicazione, del marketing e infine con convinzione nei linguaggi della politica (dalla Germania nazista dei Campi in avanti con terrificante vigore), entra di diritto, oggi, nelle pratiche di formazione e ricerca-azione come strumento capace di sostenere autonomia, crescita, consapevolezza e “saper dire”, restituendo alla formazione degli adulti e alla consulenza organizzativa quella missione di scavo, recupero, creazione e riconsegna che sola può consentire di far essere le persone e le imprese, i territori e i gruppi sociali, capaci di innovazione e cambiamento.

Nel pensare a come dire di queste pratiche, sulle cui radici potremmo dire di una letteratura sterminata, che si appropria di contributi che confluiscono nel sapere del nostro gruppo professionale di continuo rinnovate e vive, pur affondando in un rizoma millenario, ho cercato di rispettare due criteri di invito, per gli autori che ci portano, in questo numero, una traccia di quello che si conserva nella memoria delle persone e delle organizzazioni.

Da un lato, escludendo dal racconto contenuto in questo numero le pratiche di storytelling che propongono di fatto azioni di comunicazione interna mascherate da interventi narrativi autenticamente in ascolto (e dunque capaci di elaborazione virtuosa degli output).

Dall'altro, cercando di dare conto, nel piccolo di questa narrazione su rivista, delle intersezioni fra ambiti e saperi e lavorii, avendo sempre in mente che una narrazione è possibile là dove i contenuti sono amplificati, nella loro emersione lenta e continua nei progetti, dagli inneschi che prendono linfa dalle arti e dai mestieri, ovvero lì dove si va sul territorio di ciò che accade per davvero con un occhio all'infinito.

Ecco quindi, senza sconti a nessun ottimismo predefinito, carichi invece dell'ottimismo della ragione illuminata dal non pensato della poesia, che questo numero ospita:

  • I bambini le loro utopie, ascoltate e raccolte e vissute ne “La narrazione come esplorazione di itinerari possibili” da Luca Mori
  • I medici narratori e la medicina narrativa dei “Laboratori di scrittura autobiografica per operatori ospedalieri” di Matilde Cesaro
  • I formatori col calamo in mano, in Metamorfosi e Metafora, una proposta operativa ai formatori, di Enrico Maria De Palma
  • Un taccuino fotografico di Giuseppe Varchetta (che ringrazio in particolar modo) sul “Narrare i narratori”
  • Un racconto vero e proprio, di quelli che si leggono in treno o la sera, di Matilde Cesaro (che qui da formatrice e coach si presenta nella veste di scrittrice di racconti)
  • La presentazione di un progetto a cui lavoro da qualche anno, sul CV narrativo come strumento di self-coaching, e che sta per prendere il via in una dimensione di rete in una collaborazione con Francesco Lunelli, da anni attivo su Web ed attento e vigile verso il mondo delle narrazioni in virtuale.


Nella sezione recensioni, infine, un invito alla lettura di una ricerca a cui mi sento particolarmente vicina per l'attenzione ai temi del lavoro flessibile e del femminile, ascoltati e restituiti senza facili ottimismi, condotta e narrata da Sandra Burchi sulla realtà Toscana.

A tutti voi, l'augurio di utilizzare questo numero per allargare la narrazione, pensando alla Formazione&Cambiamento come un bacino a cui portare le altre narrazioni in vita nel nostro operare.

Un ringraziamento a Mimmo Lipari per avermi dato modo e spazio per pensare con voi, qui, ancora una volta, a questo “tema”, e per le tante esperienze negli anni vissute lavorando insieme o seguendo i suoi percorsi di ricerca.

Un altro, molto grande, agli autori ed autrici che qui hanno portato le loro voci e le loro pratiche.

Ogni poeta/laverà nella notte/ il suo pensiero/ne farà tante lettere/imprecise/che spedirà all'amato/senza nome
Alda Merini, Clinica dell'abbandono