1.    L'apprendimento è parte integrante dell'essere al mondo ed è essenziale per la sopravvivenza, l’adattamento e lo sviluppo.
L’apprendimento si fonda sulla relazione tra persone e tra persone ed ambiente.
A differenza della maggior parte degli animali, l’essere umano non è legato a un ambiente specifico: a lui si offre l’intero pianeta e si sa adattare in contesti diversi.
Ogni essere umano al momento della sua nascita è del tutto ignaro del mondo in cui è stato “gettato”. Per poter sopravvivere e crescere in quella realtà è necessario appropriarsi di essa, cioè letteralmente ap-prenderla, farla propria. Si tratta di una realtà che ci pre-esiste e si pone davanti alla nostra esperienza con tutte le sue oggettivazioni (il linguaggio, le regole, le istituzioni, le tradizioni, gli oggetti materiali, ecc.) che costituiscono il punto di riferimento per l’azione di tutti. In quanto soggetti conoscenti, per diventare attori sociali capaci di stare al mondo con pertinenza, noi siamo chiamati a confrontarci con tale realtà per appropriarcene, ossia per apprendere ciò che è rilevante per noi. Dunque, l’apprendimento altro non è che il modo del tutto particolare con cui l’esperienza del soggetto entra in relazione con il mondo, e con gli altri soggetti, che sono al mondo e del mondo fanno esperienza.

 

2.    La conoscenza non è “qualcosa” che si possa travasare da qualcuno che la possiede a qualcun altro che ne è privo e quest’ultimo non è un contenitore
Bisogna andare oltre le visioni cristallizzate nella cultura delle nostre società che – con deplorevole inerzia e pigrizia intellettuale – sono troppo spesso ancora ferme alla didattica riassunta dall’immagine emblematica dell’”imbuto di Norimberga” che raffigura la relazione tra un insegnante e un allievo nei termini di un travaso da un recipiente (saldamente in mano all’insegnante) che versa – con la mediazione di un imbuto – una quantità indistinta di lettere e numeri nella testa di un ragazzo che, docile e sottomesso, accoglie quanto gli è riversato. Occorre, per contro, assumere l’ottica secondo cui, come suggerisce William B. Yeats, “Educare non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco”. Il senso di una simile prospettiva segnala la necessità di mettere al centro l’apprendimento inteso come capacità del soggetto di appropriarsi letteralmente degli oggetti su cui si focalizza la sua attenzione e si orienta il suo interesse. La centralità del soggetto riconfigura la sua relazione con il sapere e con quanti sono preposti a sostenere la sua tensione ad apprendere: essa non è più fondata sul primato di un’autorità superiore (accettata o subita), ma su una dinamica intersoggettiva in cui entrano in gioco simultaneamente l’acquisizione di conoscenze (ma anche di saperi pratici) e la costruzione dell’identità individuale e sociale e ambientale di chi è implicato nel processo. I soggetti, nella relazione, coevolvono ovvero apprendono anche in eventuale posizione passiva o reattiva.

 

3.    Apprendere è anche capacità di dis-apprendere per tornare ad apprendere e per questa via continuamente cambiare
Quanto l’individuo apprende si struttura depositandosi in un bagaglio cognitivo e di competenze altamente sensibile all’ambiente che lo circonda, che sono parte integrante della sua esperienza e del modo in cui si rapporta con il mondo dando luogo a routine e schemi interpretativi che orientano il suo comportamento e la sua capacità di adattamento alla realtà. Tali routine e schemi interpretativi “funzionano” fino a quando non ci si trovi davanti ad una “situazione problematica” (Dewey) difficilmente affrontabile con le risposte consolidate e gli strumenti di cui il soggetto dispone. In questi casi la soluzione del problema non può che passare attraverso una serie di tentativi, prove ed errori ripetuti fino a quando non sarà trovata una modalità soddisfacente di venir fuori dalla “crisi” (al tempo stesso cognitiva ed emozionale). Un simile processo di riconsiderazione dell’esperienza dà luogo ad una ristrutturazione delle routine che di fatto coincide con un nuovo set di quadri cognitivi che orienteranno i successivi comportamenti. La capacità (e la volontà) di dis-apprendere è il prerequisito senza il quale diventa quasi impossibile superare la “persistenza” di comportamenti consolidati ancorché inefficaci davanti ad un problema di difficile soluzione. La disponibilità a dis-apprendere è il fondamento dell’innovazione e del cambiamento.
 

4.    L’apprendimento è solo in parte legato alla dimensione cognitiva. Emozioni ed esperienze giocano un ruolo cruciale
Se non mi succede nulla nella vita non mi succede nulla nella mente” (A. Gramsci).
Le complesse interazioni tra noi e gli ambienti con i quali siamo costantemente in contatto costituiscono il nucleo generativo di una dinamica in cui emozioni (paura, stupore, rabbia, gioia, piacere, ecc.) ed esperienze (intese nel senso di ex-per-ire, ossia andare vagando a partire da un luogo senza una direzione prestabilita) alimentano i processi di interiorizzazione mentale e del sensibile di quanto vissuto fissandone i contenuti in “quadri” concettuali, di aspettative, affettivi e cognitivi stabilizzati (pronti comunque ad essere destrutturati e ristrutturati in occasione di nuove esperienze – vedi la precedente tesi n. 3).

 

5.    Dubbi, ostacoli, conflitti, freni, complessità sono parte integrante di ogni processo di apprendimento
La “dissonanza cognitiva” è descritta da Leon Festinger come la tensione e il conflitto, il disagio di cui siamo letteralmente preda quando davanti a un problema le nostre risorse cognitive sono insufficienti o del tutto inadeguate, quando abbiamo idee incompatibili tra loro, quando le nostre più consolidate opinioni entrano in conflitto con il nostro agire. In simili situazioni, superato il momento critico e il malessere provocato dall’inatteso disagio, siamo obbligati (come spiega John Dewey nella sua teoria dell’inquiry) a misurarci con il problema ed il suo contesto attivando le risorse euristiche di cui siamo dotati allo scopo di venirne a capo e in genere ciò avviene mediante un processo di “prova ed errore” grazie al quale l’esperienza (intesa nel senso descritto nella tesi n. 4) gioca un ruolo determinante. La dissonanza, da questo punto di vista, deve essere (ac)colta come un’occasione preziosa di apprendimento. Nel caso particolare della complessità, si determina uno stato permanente di dissonanza e di disagio, per l’impossibilità di cogliere il sistema con logiche immediatamente riconducibili ai singoli costituenti. La composizione e ricomposizione avviene sia per via sensibile e percettiva che per via cognitiva e concettuale.

 

6.    Si apprende solo se c’è motivazione e ciò che si apprende ha un senso per chi apprende
Le “pressioni” verso l’apprendimento sono in genere legate a desiderio o a mancanza, a limiti soggettivi da cui si cerca di uscire. Eros e spinta potente alla mimesi (cfr. il “desiderio mimetico” René Girard), esigenza di soddisfare un bisogno, inter-esse nel doppio senso utilitaristico e intersoggettivo (cioè “interesse” per sé e interesse verso gli altri) sono altrettanti fattori che sollecitano e favoriscono esperienze efficaci di apprendimento. Quanto maggiore (e sentita) è la mancanza e quanto più acuto è il desiderio di un oggetto (di conoscenza) di cui appropriarsi/arricchirsi, tanto più efficace è l’apprendimento. Il senso di tale esperienza (e dei suoi contenuti) è soggettivamente determinato ed unicamente riconducibile alla soddisfazione dei bisogni/desideri che hanno generato l’impulso ad apprendere.

 

7.    Ogni soggetto, in ragione della sua irriducibile unicità, ha una propria strategia di apprendimento.
Le strategie di apprendimento, in quanto riconducibili ad esigenze, bisogni, desideri, sentimenti, ecc. maturati in chi apprende sono irriducibilmente soggettive. La loro unicità riporta tuttavia ad uno stile non cristallizzato nel tempo ma soggetto piuttosto a mutabilità nel corso della vita a seguito delle esperienze che in essa si susseguono e alle modalità con cui le affrontiamo.
La soggettività ed unicità delle strategie di apprendimento è trasversale rispetto a differenze individuali (di genere, di condizione sociale, di cultura intesa in senso antropologico, ecc.) ma nel contempo condizionata da tali variabili per i modelli introiettati da ciascuno.  Detto altrimenti, ciascuno costruisce i propri percorsi di apprendimento in funzione delle preferenze e delle inclinazioni che gli sono proprie e dei contesti in cui interagisce.
 

8.    Apprendimento formale, non formale e informale
L'apprendimento è solitamente legato a processi formali che prevedono l’”istruzione” di bambini, giovani e adulti in contesti riconosciuti da normative nazionali e regionali.
L'apprendimento è altresì connesso a tutti quei processi che hanno l'obiettivo di informare, formare, istruire, affiancare in contesti non necessariamente istituzionali, ma comunque riconosciuti come ambienti di apprendimento non formali.
Inoltre, è possibile apprendere in situazioni informali, quali la società, le organizzazioni, le reti amicali e sociali, anche dove non è presente un'offerta formativa strutturata.
L'apprendimento è quindi un processo che può essere supportato da politiche e strategie delle organizzazioni, nei casi dell’apprendimento formale e non formale; nel caso dell’apprendimento informale è anche un processo destrutturato, circolare e non standardizzabile.

 

9.    Il metodo nei processi di apprendimento è cruciale.
Il metodo nelle pratiche orientate a favorire l’apprendimento è cruciale. Tuttavia deve essere inteso non già come un insieme di procedure rigide da applicare pedissequamente in qualsiasi situazione, ma come una guida (flessibile) dell’azione. Come suggerisce Wright Mills: “Sii un bravo artigiano intellettuale ed evita di renderti schiavo di un codice procedurale rigido. Cerca soprattutto di sviluppare e usare l’immaginazione sociologica. Resisti al feticismo del metodo e della tecnica. Reclama la riabilitazione dell’artista intellettuale, semplice e senza arie, e siilo tu stesso. Lascia che ciascuno si dia il suo proprio metodo e la sua propria teoria. Lascia che teoria e metodo tornino a partecipare all’esercizio di un’arte” (C. Wright Mills, L’immaginazione sociologica, 1959, tr. it.: Milano, Il Saggiatore, 1962, p. 234)

 

10.    L’apprendimento è facilitato quando si riflette sul cammino percorso
La riflessività, in quanto capacità di arrestare il flusso ordinario dell’agire per interrogarsi sul suo senso, è il fondamento dell’apprendere. Da questo punto di vista tra i tanti strumenti disponibili uno in particolare può risultare molto utile e molto efficace: la scrittura riflessiva (diari di bordo, ecc.).

 

 

11.    Il gruppo favorisce l’apprendimento specie se tra i suoi membri ci sono coesione, condivisione, dinamiche e scambi utili alla costruzione comune delle conoscenze
La partecipazione alle esperienze di gruppo costituisce per ciascuno una preziosa opportunità di apprendimento nella misura in cui il contributo dei singoli alla soluzione di problemi comuni fornisce all’insieme non solo occasione di accrescimento delle conoscenze del gruppo, ma anche uno stimolo all’impegno reciproco alimentando in tal modo forme di apprendimento cooperativo.

 

12.    L’apprendimento è facilitato quando il contenuto è una specifica risposta a un problema legato ad un contesto
La conseguenza diretta ed immediata della precedente tesi n. 10 mette in evidenza l’importanza dell’apprendimento situato. Il costrutto “comunità di pratica” segnala come il fondamento dell’apprendere risieda nella partecipazione sociale ad una pratica, la quale può essere schematicamente tematizzata come l’insieme delle condotte degli attori sociali impegnati nelle più disparate attività di relazione con il loro contesto d’azione. Sono i problemi di una pratica contestualmente e socialmente determinata che rendono possibile, attraverso la loro soluzione ad opera di chi ne vive l’esperienza, apprendimento e rigenerazione dei saperi locali. Le comunità di pratica infatti, in quanto aggregazioni informali di soggetti che si costituiscono spontaneamente attorno a pratiche di lavoro comuni nel cui ambito sviluppano solidarietà sui problemi, permettono la condivisione di scopi, saperi pratici e linguaggi generando, per questa via, apprendimento e nuove conoscenze (oltre che forme di “strutturazione” dotate di tratti culturali peculiari e distintivi).

 

13.    L’apprendimento è facilitato dall’azione concreta
In coerenza con il contenuto delle tesi precedenti e in particolare come conseguenza delle tesi precedenti, un utile sostegno ai processi di apprendimento (individuali e collettivi) è senza dubbio rappresentato dalle action methodologies, ossia da quegli approcci fondati sulla partecipazione ad esperienze e ad interventi concreti finalizzati a promuovere cambiamenti in campi d’azione determinati. Tali approcci si pongono come alternativa alle didattiche tradizionali basate sulla logica dell’insegnamento (che come è noto – si veda la precedente tesi n.2 - si focalizzano sulla centralità dell’”aula”, metafora paradigmatica delle modalità trasmissive della conoscenza fondate sull’autorità e la gerarchia; sulla riduzione dei soggetti a meri contenitori; sulla trasmissibilità meccanica del sapere; sull’ipotesi dell’adattamento passivo degli attori al messaggio del “maestro”) e si fondano sul postulato della capacità degli attori di elaborare l’esperienza (di sé, del rapporto con gli altri, del mondo) che diventa la fonte principale di conoscenza. In questa prospettiva si collocano i metodi basati sull’intervento, sulla partecipazione, sull’azione tra i quali quelli più noti sono la ricerca-azione (e le sue riformulazioni in chiave didattica come ad esempio l’action learning proposta da Reginald Revans) e la ricerca partecipativa elaborata da Paulo Freire.

 

14.    Il lavoro nell'apprendimento come professione
La definizione, progettazione e gestione dei processi di apprendimento deve essere presidiata da un professionista in possesso di un set di conoscenze, competenze e capacità che configurano profili di “mestiere” altamente differenziati e specializzati.
Il professionista dell'apprendimento deve aver realizzato un percorso impegnativo e ininterrotto di studi ed esperienze legittimato e riconosciuto dalle istituzioni e dalle organizzazioni. Tale legittimazione è indispensabile per evitare che uno spazio professionale così delicato sia occupato da non specialisti impegnati nella realizzazione di attività improvvisate e senza il necessario spessore tecnico, oltre che non basate su teorie, metodologie e strumenti di riconosciuto valore.
Il professionista dell'apprendimento, dunque, è un consulente interno o esterno alle organizzazioni, in grado di analizzare il contesto di riferimento e orientare le scelte strategiche e manageriali.