Ho imparato che le persone possono dimenticare ciò che hai detto, 
le persone possono dimenticare ciò che hai fatto, 
ma le persone non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire.
Maya Angelou
 
 
Nella facilitazione didattica il valore aggiunto di questo periodo inflazionato di online e remote è che sempre più – per fare qualcosa che davvero abbia senso, impatto, utilità – dobbiamo pensare a come si sentiranno le persone a cui ci rivolgiamo. O meglio, a come vogliamo che si sentano. È più dell’empatia; è un viaggio ipotetico e ispirato nell’esperienza, immaginata, di un momento di comunicazione, di una riunione, di una sessione formativa. È una ribalta del tema delle emozioni, una nuova attenzione al vissuto oltre che al risultato, che restituisce al mestiere del formatore senso, valore e impatto, in tempi di feroce e talvolta un po’ sciatta disintermediazione dei contenuti.
 
La linea e l’onda
Ci abbiamo messo più di qualche settimana, in Evidentia (di cui Letizia Migliola è Co-Founder, ndr), durante i primi mesi del lockdown, a trovare la chiave per un approccio di facilitazione che fosse, dal nostro punto di vista, efficace in tutte le sue nuove accezioni. Perché dentro l’efficacia c’è la “linea” e c’è l’”onda”. 
 
C’è la “linea”, che punta dritto all’obiettivo e che richiede, nel design, chiarezza, focalizzazione, sapiente regia dei tempi. Si preoccupa della scelta degli strumenti. Ha padronanza della dinamica di apprendimento e consapevolezza del cambiamento di setting e dei suoi risvolti. La “linea” presidia la chirurgica definizione del perimetro del risultato atteso e il disegno accurato dei relativi percorsi convergenti.
E poi c’è l’”onda”. Sentire il “sentire del partecipante” e partire da lì, ripercorrendo i possibili saliscendi dell'attenzione, la trappola della frustrazione del nuovo, la solitudine di una connessione solo digitale. Immaginare gli ingredienti che possono nutrire la motivazione individuale, alla base di partecipazione e apprendimento: come, ad esempio, scoprire nuovi modi di interagire e imparare a farlo. O avere la piacevole sorpresa di trovare, in questa nuova forma di interazione, spazi inaspettati di partecipazione, come alzare una mano virtuale quando a quella reale non sarebbe stato mai permesso.
In questo senso, centrale è anche la scelta degli strumenti. Per lavorare insieme, riproducendo la dinamica d’aula, in Evidentia utilizziamo le lavagne digitali collaborative, come Miro o Mural. Sono spazi di lavoro versatili, ricchi di risorse, che supportano diverse modalità di interazione e tipologie di esercitazioni, sia in modalità flare, per attivare divergenza, che focus, per facilitare un processo convergente.
Nella nostra esperienza, la vera sfida della facilitazione virtuale sta più nella ricerca dell’efficacia emotiva dell’”onda” che nella lucida traiettoria della “linea”. 
Come stimolare allora nei partecipanti alcune emozioni o stati d’animo, per far sì che qualcosa accada in termini di coinvolgimento e apprendimento? E, prima ancora, come vogliamo che si sentano?
In fase di progettazione dobbiamo capire quali sono queste emozioni e creare le condizioni che le rendano possibili, in termini di struttura e dinamica dell’incontro. Ecco alcune emozioni per noi centrali e le soluzioni di facilitazione che abbiamo adottato.
 
Vogliamo che i partecipanti si sentano ISPIRATI 
Spesso non ti aspetti ispirazione in una sessione formativa. A maggior ragione a distanza! Conoscenza certo, esperienza sì, magari pure innovazione. Ma ispirazione vuol dire cogliere la scintilla, scoprire, risuonare. Ha a che fare con un’”onda” che ci pervade e assomiglia al respiro, perché ci dà ossigeno vitale.
Stimolare ispirazione nella facilitazione vuol dire, per noi, guidare le persone ad attivare uno sguardo diverso sul quotidiano professionale, una apertura di pensiero, la scoperta di altre storie professionali che possono dire qualcosa, che risuonano, che fanno sobbalzare. È uno stimolo guidato all’osservazione del mondo. Lo facciamo sempre, in ogni sessione. Per aprire uno squarcio su certezze e comfort dal quale entra spesso la luce della sorpresa e il guizzo dello spiazzamento. Lo facciamo in maniera diversa, a seconda dell’obiettivo, del tempo a disposizione, della tipologia di partecipanti. Possono essere contributi portati dal facilitatore, sui quali ci si confronta. Esperienze e storie che sempre vengono da prospettive diverse di business e da linguaggi e modelli di pensiero del mondo della scienza, dell’arte, del sociale. In una “ContAnimazione” che spesso abbatte silos e stereotipi personali e professionali.
Può essere un lavoro di ricerca e condivisione fatto dagli stessi partecipanti, come quello che vedete in figura. Un esercizio guidato che insegna come poter attivare una ricerca online che incroci e moltiplichi i percorsi. Insomma Apprendimento nell’apprendimento.
 
Vogliamo che i partecipanti si sentano PROTAGONISTI 
Vuol dire far sentire le persone non solo connesse ma anche presenti sul palcoscenico, con il loro spazio di partecipazione fatto a misura di ognuno.
Se parliamo di coinvolgimento, la facilitazione a distanza non ha ricette così diverse da quella in presenza. L’aggancio cognitivo ed emotivo passa per la capacità di prevedere una varietà di stimoli che incontrino i diversi stili di apprendimento oppure costringano a spingersi oltre il proprio consueto modo di guardare, ascoltare, esprimersi. Ora familiari ora sfidanti, interazioni a geometria variabile – plenaria, sottogruppo, coppie. Con una necessità di maggiore rigore progettuale, perché il tempo “on-air” non permette improvvisazione o approssimazione, ed è molto più “denso”.
Per far sì che tutti si sentano on stage, l’input progettuale è che ognuno dei partecipanti possa avere un ruolo da scegliere e giocare all’interno della sessione. A seconda dei casi può essere un “superpotere”, dichiarato in fase di presentazione iniziale e giocato nella sessione in diverse attività: tenere il tempo, sintetizzare output, dare istruzioni, etc. Oppure agito all’interno del prework, in una sorta di co-creazione di una sezione del corso nel quale essere on stage.
Qui l’attenzione nella progettazione sta nel considerare gli approcci personali variabili tra piacere e disagio del mettersi in mostra e in gioco, prevedendo possibili ruoli e azioni tra cui i partecipanti possano scegliere.
Partecipare attivamente, essere on stage, è parte dell’esperienza che le persone non dimenticano.
 
Vogliamo che i partecipanti si sentano ACCOLTI
Sentirsi accolti è forse il bisogno più forte nella interazione in presenza e a distanza, oggi in misura maggiore. Dove appunto il distacco fisico genera, anche tra i più estroversi, esitazioni, timori di esposizione e la necessità di sentirsi fin da subito parte del gruppo.
Le soluzioni che abbiamo adottato nei nostri corsi per facilitare questo aspetto si pongono su diversi piani: 
- ACCOGLIENZA - Prevediamo sempre un benvenuto di tipo individuale e personale, con un check-in informale per raccontarsi e anche per esprimere il proprio stato d’animo del momento.  L’apertura iniziale data dalla domanda “come stai?” genera sempre uno scambio rapido e significativo di informazioni personali che scalda il gruppo e facilita le interazioni successive. 
- TECNOLOGIA - Costruiamo spazi e momenti di “allenamento” degli strumenti da utilizzare nel corso. Apriamo il corso 15 minuti prima e li dedichiamo ad assicurarci che non ci siano problemi tecnici e a fare i primi semplici passi nello strumento: così si evitano perdite di tempo successive e soprattutto si salvaguardano le persone da frustrazioni e difficoltà che non predispongono bene allo scambio e alla partecipazione. Un’altra possibile soluzione è mandare il link allo strumento in precedenza e inserire qualche semplice gioco o task da fare, proprio in logica di primo allenamento.
 
- INFORMALITA’ - Il recupero della dimensione informale può essere realizzato attraverso icebreaking nei quali anche gli strumenti (videocamera, microfono, backgrounds) diventano parte del gioco. Questi brevi momenti ludici si possono utilizzare anche alla riapertura dopo le pause del corso, con la funzione di ridare energia al gruppo. 
 
 
 
Vogliamo che i partecipanti si sentano LIBERI 
Una attenzione importante nel design e nella pratica della facilitazione è dedicata all’inclusione, alla creazione di processi, attività, interazioni, che non lascino indietro o fuori nessuno. Mentre in presenza, nel contatto fisico, i modi di “esserci” e di “sentirsi dentro” sono molteplici all’interno della connessione diretta e del non verbale, nella distanza ci sono più rischi. In particolare, per il partecipante di sentirsi escluso e non in sintonia mentre per il facilitatore di non riuscire a intercettare i segnali spesso deboli della presenza-non-presenza.
C’è poi la difficoltà di sentirsi esposti nell’essere inquadrati e spesso un diffuso disagio nel non piacersi. 
Abbiamo scoperto che un modo efficace per superare queste difficoltà e far partecipare tutti è chiedere ai partecipanti di scrivere i propri pensieri e contributi invece di dirli a voce. Questa modalità mette tutti sullo stesso piano, dà la possibilità di riflettere individualmente, abbatte il group thinking. Soprattutto nei brainstorming o nelle interazioni in plenaria.
Un'altra soluzione nelle nostre sessioni è prevedere due facilitatori, in modo che uno si dedichi al processo e all'interazione con i partecipanti e l’altro all’utilizzo degli strumenti e alla facilitazione tecnica. Questo evita coni d’ombra per i facilitatori e autoesclusioni per i partecipanti.
 
Anche l’estetica dell’ambiente di lavoro ha un impatto positivo sulla partecipazione attiva: abbiamo scoperto che creando setting creativi coerenti con l’attività richiesta le persone si sentono più coinvolte e stimolate a dare il contributo loro richiesto.
La facilitazione a distanza è per noi l’ennesima occasione di espressione individuale, che è la strada per intercettare e coltivare il proprio talento e per ritrovarsi, positivamente, in quello che si fa tutti i giorni.
Per questo è importante che i partecipanti si sentano ispirati, protagonisti, accolti, liberi. 
La distanza c’è. Ma possiamo fare in modo che non attenui lo “human touch”, che rende le esperienze di apprendimento efficaci, durature, talvolta memorabili.