* In “Formazione & Cambiamento”, n. 57, 2009
 
1.Il patrimonio soft delle organizzazioni
Il mutamento del ruolo della conoscenza e dell’apprendimento nel contesto competitivo è stato analizzato da diversi studiosi, che distinguono tra economia dell’apprendimento (learning economy) e società dell’informazione (information society). L’apprendimento, infatti, non è un semplice trasferimento delle informazioni e non può essere ridotto ad un mero processo di scambio. Presuppone invece una trasmissione di conoscenza che va ad arricchire il patrimonio soft delle organizzazioni inducendole ad imparare dimensioni tacite non facilmente trasferibili.
Le dinamiche mondiali, dalla globalizzazione dei mercati alla globalizzazione della crisi, dalla terziarizzazione all’esternalizzazione, dai sistemi interorganizzativi (reti esterne ed interne) alle integrazioni aziendali (acquisizioni, fusioni, partecipazioni), dalla deregulation alla pervasività della tecnologia e del web 2.0, confermano e accentuano il passaggio dalla società dell’informazione all’economia dell’apprendimento. Infatti, queste dimensioni spingono le aziende ad aumentare la propria capacità competitiva anche tramite strategie basate sull’apprendimento. 
Oltre ad investire in nuovi business e in nuove tecnologie, le imprese puntano sulla capacità interna di sviluppare processi di apprendimento ricorrendo non semplicemente a strutture ad hoc, come gli uffici studi od i laboratori di ricerca e sviluppo, o a società di consulenza. Coinvolgono sempre di più le molteplici risorse professionali interne per determinare effetti positivi e  innovare processi e prodotti, valorizzando il patrimonio aziendale.
In questo processo di miglioramento e potenziamento delle competenze svolge una funzione fondamentale la formazione. Essa ha l’obiettivo di permettere l’accesso all’apprendimento durante l’intero ciclo di vita e offre il diritto alla qualificazione e all’arricchimento professionale. La formazione costituisce la palestra, attraverso la quale acquisire continuamente conoscenze, ma anche modi di pensare, modelli, capacità, motivazioni.
 
2.Mobilitare le competenze degli individui
Solitamente nella progettazione e nell’organizzazione di un’iniziativa di formazione è necessario definire se l’oggetto è il Sapere, il Saper fare o il Saper essere. Questa distinzione deve essere aggiornata al fine di prevedere anche il Saper agire e il Voler agire: Sapere, Saper fare e Saper essere sono fondamentali, ma è altrettanto rilevante essere in grado di agire in diversi contesti in base alle situazioni che si presentano. Saper agire e Voler agire implicano la capacità di attivazione delle competenze e la volontà di mobilitazione delle competenze stesse da parte degli individui. Le persone che lavorano nelle organizzazioni devono essere in grado di agire e devono voler agire, coerentemente con le situazioni e i processi lavorativi in cui sono inseriti, attivando nel migliore dei modi il kit di conoscenze, competenze e capacità di cui sono in possesso e ottenendo un comportamento lavorativo efficace.
In questo senso la valorizzazione dell’individuo non può basarsi solo su metodi didattici tradizionali o di tipo operativo e simulativo. Vanno messi a punto approcci e metodi che richiedono l’integrazione tra accademia e bottega, tra teoria e pratica, ma che spostano soprattutto il focus della formazione da un’impostazione top-down ad una bottom-up: nonostante la rilevanza del ruolo del formatore e del committente nella definizione e gestione del percorso formativo, è basilare il coinvolgimento e la partecipazione dei componenti di un’organizzazione per la crescita e lo sviluppo aziendale.
In questo ambito le metodologie partecipative possono essere un interessante punto di riferimento. Si tratta di strumenti che stimolano processi di interazione e confronto fra i partecipanti, utilizzando percorsi strutturati e tecniche di visualizzazione che aiutano a organizzare, razionalizzare e comunicare le idee. Queste metodologie possono essere utilizzate per guidare il lavoro di gruppo, le simulazioni e i gruppi di discussione. Inoltre, stimolano la creatività, la riflessione e la contestualizzazione di piani di intervento articolati in problemi, strategie, soluzioni.
Il punto di partenza di un processo formativo bottom-up è individuare progetti che le organizzazioni ritengono di dover elaborare ed implementare per individuare innovazioni significative nel prodotto, nel processo, nell’organizzazione e per poter migliorare la motivazione del personale. Il secondo passaggio è coinvolgere attivamente i dipendenti, in quanto “esperti” e portatori d’interessi sia rispetto ai problemi che alle possibili soluzioni, rivolgendo loro iniziative di formazione specifiche. L’esperienza diretta dei partecipanti consente di identificare le basi per elaborare e gestire, in maniera condivisa, soluzioni, idee e azioni. Infatti, questo tipo di esperienze ha evidenziato che è possibile raggiungere innovazioni particolarmente significative e sostenibili nel tempo tramite un approccio bottom-up che valorizza le conoscenze, le competenze e le capacità degli individui e coinvolge attivamente i dipendenti nella ricerca delle criticità e nell’individuazione delle possibili soluzioni. 
I partecipanti sono chiamati a partecipare attivamente al percorso formativo, mettendo in campo le loro competenze professionali e la specifica esperienza lavorativa e sviluppando nuove competenze e capacità legate all’oggetto dell’intervento formativo. 
Le imprese realizzano quindi percorsi di sviluppo del capitale umano che integrano approcci teorici e metodologie attive, ricorrendo contemporaneamente alla formazione d’aula e alla formazione attiva, all’accademia e alla bottega. 
La formazione sta reinterpretando il suo modo di essere, superando lo schematismo dell’impostazione classica, evitando l’approccio accademico ed eccessivamente teorico e andando oltre il puro aggiornamento di conoscenze. La formazione diventa sempre di più capacità di allenare le persone e sempre meno capacità di plasmare, perché gli individui sono in possesso di un patrimonio personale che va valorizzato e utilizzato.
 
3.L’utilizzo delle metodologie attive
Le metodologie partecipative sono utilizzate prevalentemente per la pianificazione urbana e lo sviluppo territoriale, per la progettazione e la gestione del cambiamento organizzativo, per l’elaborazione e la gestione di piani e programmi con ampie partnership. Sempre di più vengono adottate anche in progetti di sviluppo organizzativo e in esperienze di formazione, che hanno come obiettivo principale quello di trasferire ai partecipanti i modelli e gli strumenti per operare quotidianamente, dalla comunicazione all’organizzazione, dal marketing al commerciale, dalle strategie alla gestione del personale. 
L’intervento formativo prevede l’utilizzo di metodologie attive nei lavori di gruppo e nei gruppi di discussione: i partecipanti, guidati dal docente, realizzano analisi ragionate al fine di evidenziare le dimensioni specifiche del focus di intervento. In particolare, il lavoro di gruppo guidato utilizzando le metodologie partecipative valorizza gli apporti individuali facendo emergere le competenze professionali, sociali e relazionali. Inoltre, il lavoro di gruppo produce un risultato ed un lavoro comune, generando anche creatività, produttività, efficienza ed efficacia. Attraverso l’interazione e il coinvolgimento dei partecipanti vengono elaborati documenti con particolare riferimento ai problemi, agli obiettivi, agli strumenti. 
Nel dettaglio un formatore-facilitatore guida il lavoro di gruppo, in base ad una gerarchia di priorità, nella definizione e schematizzazione di un documento articolato in:
problemi generali e organizzativi riscontrati, legati naturalmente al focus di intervento scelto;
obiettivi futuri da perseguire per migliorare la situazione attuale e superare i problemi;
strumenti sviluppati dai singoli gruppi in quanto possibili soluzioni.
Il primo step consiste nell’identificare e analizzare i problemi nell'ambito rispetto al quale si sta intervenendo; il formatore in questo caso svolge il ruolo di facilitatore aiutando i partecipanti a far emergere i problemi (relativi ad aspetti organizzativi, strategici, comunicativi, progettuali, commerciali). L’obiettivo di questa fase è creare una mappa delle varie problematiche, definendo una scala di priorità o urgenza. 
Il secondo step consiste nel focalizzare gli obiettivi che possono portare a superare i problemi. La ricerca di soluzioni può, infatti, condurre al superamento dei problemi o ad un miglioramento della situazione analizzata. In questa fase è indispensabile che i partecipanti valorizzino la loro esperienza ed esprimano fantasia ed intelligenza proprio perché è necessario individuare soluzioni valide per il contesto di appartenenza.
Il terzo step è identificare quali strumenti devono essere sviluppati per raggiungere gli obiettivi individuati nel secondo step. I partecipanti, infatti. devono indicare quali azioni si possono intraprendere affinché vengano superati i problemi riscontrati e raggiunti gli obiettivi di miglioramento. In questo step è fondamentale il ruolo del formatore-facilitatore che deve illustrare preventivamente le specificità di possibili situazioni, presentandone i punti di forza e di debolezza, mentre i partecipanti devono a loro volta scegliere i possibili strumenti ed esplicitare i criteri di scelta.
Il facilitatore è un po’ come l’artigiano che operava nelle botteghe rinascimentali: segue i suoi allievi guidandoli nel loro percorso di crescita, consapevole che potranno andare incontro all’errore e che sarà necessario procedere per aggiustamenti progressivi. 
Questo tipo di processo consente di rafforzare il senso di appartenenza, il consenso, l’identità. Le esperienze formative realizzate, infatti, evidenziano come attraverso questa metodologia è possibile conoscere colleghi, in alcuni casi sconosciuti, ed impararne gli interessi e le competenze. In queste esperienze solitamente i partecipanti sviluppano una maggiore attenzione alle esigenze degli altri, una capacità di intervento collettiva ed un orientamento a lavorare in gruppo.
Il risultato di questo processo è un lavoro di gruppo che produce un documento composto di analisi dei problemi, individuazione degli obiettivi e sviluppo di una strategia d’azione. 
Attraverso questo approccio viene legittimata soprattutto la capacità di espressione degli individui in termini di creatività e innovazione. Anziché rivolgersi a società di consulenza o ad istituti di ricerca, le aziende valorizzano i contributi degli individui e dei gruppi e legittimano l’innovazione interna, puntando su un approccio bottom-up
 
4.Il ruolo composito del formatore: progettista, ricercatore, facilitatore 
L’analisi dei fabbisogni è l’attività preliminare per progettare un adeguato intervento formativo, che, infatti, deve essere elaborato e tarato analizzando la situazione delle specifiche organizzazioni in cui si interviene. È fondamentale analizzare il contesto aziendale, le strategie, l’assetto organizzativo, il sistema professionale, i punti di forza e di debolezza. L’analisi del fabbisogno va, inoltre, sviluppata definendo un patto formativo con il committente dell’iniziativa: oltre a rilevare gli obiettivi aziendali è indispensabile prospettare le ricadute e la necessità di un impegno concreto dell’organizzazione nel coinvolgimento dei suoi dipendenti. È altrettanto importante che il formatore sensibilizzi il committente sui possibili effetti attesi e non attesi. Infatti, realizzare un’iniziativa di formazione che ha un impatto organizzativo significa anche produrre effetti sulla motivazione dei dipendenti e sulle dinamiche interne.
In un intervento di questo tipo è, inoltre, necessario andare più a fondo, direttamente sul campo, vedere chi si ha di fronte e considerare le specificità individuali. I partecipanti sono sempre diversi ed ogni volta è necessario ritarare l’intervento, se si vuol garantire veramente un apprendimento efficace. L'orientamento alle persone e la capacità di ascolto sono indispensabili per cogliere le caratteristiche e i bisogni reali degli individui coinvolti nei processi di apprendimento. Il punto chiave è valorizzare il kit di conoscenze, competenze e capacità e facilitarne l’utilizzazione. Così come avveniva alcune centinaia di anni fa nelle botteghe il formatore-facilitatore supporta i suoi allievi, guidandoli in un percorso fatto di scelte e quindi anche di errori.. Questa è la metacompetenza fondamentale del trainer. 
L’obiettivo del formatore, dunque, deve essere quello di coniugare l’obiettivo istituzionale con un obiettivo di contestualizzazione e di efficacia: da un lato, gli obiettivi formativi classici, come il trasferimento di conoscenze e lo sviluppo di competenze e capacità, dall’altro, l’obiettivo di contestualizzazione dell’intervento, raccogliendo indicazioni che provengono dai partecipanti per mirare ancora di più l’iniziativa. Il patto d’aula, in questo senso, serve a capire quali sono le aspettative ma anche i contesti dai quali provengono gli individui, integrando l’obiettivo formativo definito con il committente con le indicazioni dei partecipanti. 
 
5.Integrare accademia e bottega per promuovere lo sviluppo del capitale umano 
La formazione si innova quanto più riesce a promuovere percorsi di sviluppo del capitale umano che integrano accademia e bottega: è necessario puntare sul trasferimento di conoscenze, così come sullo sviluppo di competenze professionali e relazionali, ma soprattutto sulla capacità dei lavoratori di saperle e volerle utilizzare.
Le esperienze di formazione realizzate attraverso le metodologie partecipative possono essere analizzate per comprendere quali aspetti utilizzare per avviare azioni di innovazione. L’obiettivo deve essere, infatti, di condividere le esperienze e sviluppare ipotesi di miglioramento, soprattutto se sono esempi di buone pratiche.
In particolare progetti simili possono avere, innanzi tutto, la caratteristica della riproducibilità: è possibile cioè replicare l’intervento formativo come risposta a problemi analoghi che si presentano nello stesso contesto di lavoro. Questi progetti possono essere, inoltre, trasferibili: è possibile cioè riprodurre l’intervento formativo in quanto risposta a problemi di diverso tipo ed in contesti differenti. Infine, è possibile che abbiano la caratteristica della sostenibilità: alla fine dell’intervento formativo i benefici dovrebbero permanere e sopravvivere nel tempo.
La formazione si innova tramite l’utilizzo di metodologie attive e partecipative. Allo stesso tempo capitalizza i risultati delle esperienze migliori, se queste sono caratterizzate da riproducibilità, trasferibilità, sostenibilità.
Questa è una sfida per le organizzazioni: il futuro dipenderà molto dalla capacità di migliorare i processi lavorativi, di individuare le soluzioni che supportano i cambiamenti di approccio al mercato e dei modelli formativi, di essere flessibili e motivati in contesti sempre diversi. Una sfida che può essere affrontata se si punta sulla costruzione di percorsi comuni di crescita che valorizzano esperienze fondate sul contributo delle persone e sulla partecipazione e co-progettazione.
L'ambiente economico e sociale in cui viviamo si modifica sempre più e quindi le aziende così come gli individui dovranno incrementare la capacità di ascolto, l’apertura mentale, la consapevolezza di sé e degli altri, promuovendo innovazione e creatività attraverso un approccio bottom-up, che integra accademia e bottega.
 
 
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