* In “Formazione & Cambiamento”, n. 17, 2003
 
0.Premessa
Si è svolto a Roma, gli ultimi due giorni di gennaio, il convegno Antinomie dell’educazione nel XXI secolo con la promozione della Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi Roma Tre. All’interno della sezione Globale/Locale il sociologo Luciano Gallino, in un intervento intitolato Società in Rete e formazione universitaria (1), ha svolto una stimolante riflessione sul senso dell’università in un’epoca in cui sono profondamente mutati i modi di produzione della conoscenza. Richiamiamo qui tale riflessione riprendendone e sviluppandone alcuni spunti.
 
1.L’università corrosa dalla Rete
Per Gallino è la Rete, intesa sia come tecnologia che come metafora organizzativa, ad aver scosso più di ogni altra cosa i presupposti su cui si è fondata per secoli la formazione universitaria. La tecnologia della Rete secondo Gallino ha infatti accelerato mutamenti fondamentali a livello del sistema mondo, dei sistemi economici, culturali, tecnici e psichici che vanno ad inscriversi in una revisione globale dell’antropologia umana. Questa viene a essere oggettivamente modificata dalla Rete.
Per tramite del Web e di Internet, di queste tecnologie della cultura, la società intera è stata trasformata in una grande Rete operante in tempo reale. Quella della Rete come sostiene Gallino è dunque una metafora attraverso la quale restituire la complessità raggiunta dai processi che caratterizzano le odierne relazioni sociali e produttive. 
“Protagonista in ogni senso dei mutamenti in atto sono le reti, la società divenuta Rete. Si produce in Rete, si lavora in Rete, si fa ricerca in Rete, si studia in Rete. E lo strumento mediante il quale si intersecano e si sorreggono tutte le reti del pianeta sono ovviamente le tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, tra loro ormai profondamente integrate”. Tuttavia, mette in guardia Gallino, non bisogna credere che le reti del mondo, le reti della società in Rete, “siano composte esclusivamente dalla infrastruttura tecnologica chiamata Internet, insieme con l’archivio planetario di documenti chiamato Web”. La Rete piuttosto, dice Gallino, è diventato il modello organizzativo predominante.
Gallino fa bene a evitare di concentrare troppo l’attenzione sulla pervasività globale della Rete. Non è questo il vero elemento di novità, quanto il processo di circolazione ed elaborazione della conoscenza che avviene al suo interno. Già la modernità infatti si distinse per il progetto di avvolgere tutto il mondo in reti (di comunicazione, di trasporti etc. cfr. Mattelart 2000), ma in queste reti l’informazione prodotta da un centro doveva giungere alle periferie immutata. Attraverso queste reti l’informazione irradiava dal centro alle periferie con somma equità e razionalità. O almeno questo era il progetto moderno. La Rete illuminista avrebbe distribuito universalmente gli oggetti prodotti da un centro razionale evitando mutazioni e distorsioni e inondando così l’imperfezione del mondo della perfezione della conoscenza razionale.
Questo stesso modello di comunicazione si viene ad affermare nel modello organizzativo taylorista caratterizzato da un accentramento delle funzioni di pianificazione e progettazione, da un sistema di trasmissione top-down, da una rigida divisione di progettazione ed esecuzione. Per Gallino il modello superato è appunto quello fordista e taylorista di organizzazione del lavoro in cui “ciascun operatore corrisponde ad un segmento del processo produttivo, il quale, collocato tra un segmento precedente ed un segmento successivo, fa avanzare in modo lineare il processo produttivo verso la sua conclusione”.
Nel modello di circolazione e elaborazione della conoscenza implicito nella Rete, le cose funzionano in modo molto diverso: “Ciascun operatore rappresenta un nodo nel quale affluiscono da diverse direzioni materiali ed informazione, e dal quale defluiscono in altre direzioni materiali ed informazione da esso trasformato in qualche modo e misura. Da diversi punti di vista si potrebbe dire che le reti non abbiano né principio né fine; ovvero non è dato sapere dove esattamente comincino e dove esattamente finiscano”.
A ben vedere ciò che cambia è il luogo dell’innovazione, un tempo accentrato e ora invece diffuso. La rielaborazione continua dell’informazione fa sì che la geografia e l’organigramma della Rete muti di continuo. Cosa è infatti la Rete se non la metafora della relazione che lega gli attori coinvolti nel processo di produzione di conoscenza? La Rete coinvolge tutti gli attori sociali, anche se con quote di potere diverse. La Rete si rimodula di continuo fluttuando insieme all’attività degli attori coinvolti in un costante e problematico processo di soggettivazione ed oggettivazione. In questo processo ciascun attore “riflette” sul suo percorso e sulla sua attività. Ciascun attore cartografa la nuova configurazione della Rete, almeno della porzione con cui ha a che fare, e progetta e performa la sua risposta, non la sua mera reazione ma la sua azione creativa e promotrice di ulteriori assetti della Rete. Dunque ciascun attore può avere collocazioni variabili e mai del tutto prevedibili all’interno della Rete.
 
L’università rimane spiazzata di fronte a questi mutamenti e fatica a ritrovare il senso sotteso al suo ruolo perché attraverso la Rete sono state scosse, o “corrose” come preferisce dire Gallino, le basi del sodalizio società-università.
“Tra i presupposti della formazione universitaria le cui stesse basi appaiono oggi minate troviamo anzitutto l’idea che il mondo fosse comprensibile o che fossero immediatamente disponibili i vari modelli del mondo che lo rendevano comprensibile”. La funzione primaria della formazione universitaria, dice Gallino, consisteva nella esplicazione di tali modelli e nella loro trasmissione, nella loro irradiazione, ai giovani. Oggi, tuttavia, “laddove la comprensibilità del mondo richiedeva l’individuazione di confini, l’idea stessa di questi viene nella Rete a svanire”. L’incomprensibilità del mondo coincide con l’incontrollabile geografia dell’innovazione della Rete.
Prima al centro della Rete illuminista, per molti versi vi era proprio lei, l’Università. Un tempo la conoscenza era conoscenza del Reale e l’Università era ad un tempo scopritrice e custode dell’universalità e dell’oggettività di questo sapere. Gli oggetti e i soggetti che uscivano dalla sua istituzione erano ammantati di questo valore di sacralità, indiscutibili al di fuori, al di là delle pareti della loro istituzione, dei laboratori-network in cui tale conoscenza veniva prodotta (al cui interno vigevano presumibilmente gli ancor più sacri dogmi della scientificità, gli alambicchi che distillavano i costrutti accademici). Dunque l’Università era portavoce del Reale, ciò con cui tutti gli altri soggetti non universitari, avrebbero dovuto fare i conti. Da qui scaturivano ruolo e status dei dotti accademici. All’interno della comunità scientifica venivano prodotti degli oggetti che poi avrebbero circolato nel mondo, dal centro verso la periferia, come e vere e proprie scatole nere (2), indiscutibili espressioni provenienti non da umani ma dalle viscere segrete della Natura (di cui i dotti e solo loro conoscevano il linguaggio). Il mondo parlava, si rendeva pensabile, comprensibile e quindi disponibile all’interazione con gli umani attraverso la mediazione del metodo degli universitari.
Quando, con il trionfo della modernità, della razionalità tecnica opposta alla fissità della tradizione, il mondo non è stato più pensato come immutabile ma come coinvolto in un processo di produzione, l’università si è collocata al piano più alto della funzione ricerca e sviluppo. Conoscendo il linguaggio del mondo, sia naturale che sociale, essa poteva avvistare e scoprire il senso intimo di nuovi fenomeni del mondo imbrigliandoli per tempo, comprendendoli e inventando i modi di metterli al servizio delle produzione, rendendoli produttivi, canalizzando in senso produttivo le forze potenzialmente dirompenti della natura e della società (3).
Ora dubita anche di questo. Sì perché è proprio questo processo di scoperta e invenzione che oggi si dà come molecolarizzato, diffuso e per certi versi del tutto autonomo nei tempi e nei modi di produzione (4).
 
Quale è dunque il ruolo dell’università in un mondo che conosce, innova, si comprende autonomamente (anche se in modo molto frammentato)?
Le tecnologie, i mezzi di comunicazione e di produzione inventati hanno sconvolto l’ordine delle relazioni tra gli attori. Questi sanno (e possono venire a conoscenza di) cose prima inaccessibili, e sempre attraverso nuove tecnologie possono organizzarsi tra loro e produrre effetti imprevedibili. Ciascun attore con le nuove tecnologie a disposizione (ma non è detto che l’accessibilità di queste possibilità tecnologiche sia così equamente distribuita) può fare quello che prima facevano solo i dotti: scoprire, inventare, reipotizzare relazioni tra cose diverse, far circolare le proprie invenzioni. Ciascun nodo raccoglie dalla Rete e rimette in Rete le sue rielaborazioni. Questo fa sì che la Rete sia in costante fluttuazione. Quanti e quali oggetti possono prodursi, e a quale velocità!
 
2.L’università che apprende ad interagire nella Rete
Quando Gallino dice che il presupposto fondamentale della comprensibilità del mondo viene meno allude alla ingovernabilità del ritmo delle innovazioni e soprattutto delle dinamiche sottese alla sua circolazione e traduzione (nel senso di trans-ducere) (5). 
L’università, scalzata dal suo ruolo di unica scopritrice e produttrice (specialmente in Italia dove scarseggiano i fondi necessari a questa funzione) deve rimettersi in gioco in un panorama del tutto mutato dove l’innovazione proviene, ed è gestita, da attori sempre imprevisti. Bisogna chiedersi se e in che misura in questi tentativi essa cerchi comunque di continuare a ritagliare per sé una posizione di distacco e di superiorità del suo sguardo. E quanto cerchi di salvare la sua alea di prestigio scientifico, ovvero di disinteresse, di oggettività con cui si guarda ai diversi fenomeni che si vanno producendo. 
Tale sguardo può consentire, se gli altri attori ne accettano la legittimità, un ruolo di certificazione delle conoscenze cumulate altrove. Con i propri modelli di riferimento l’università potrebbe così spendersi oggi nel valutare e correggere, dalla sua posizione sopraelevata, le imperfezioni di associazioni che si sono sì formate autonomamente ma in modo disordinato.
Su questo versante sembrerebbe attestarsi lo stesso Gallino, la cui proposta poggia anch’essa su una posizione sopraelevata dello sguardo universitario. Gallino propone per l’Università più o meno lo stesso ruolo di giudice. L’Università dall’alto, con la sua impermeabilità alle dinamiche esterne, può monitorare la genealogia di ciascun oggetto o categoria prodotto dagli umani fuori e dentro l’università. L’Università può cioè mettere in guardia dai rischi dell’utilizzo acritico di oggetti e categorie. Anche questa è infatti una funzione dei certificatori: consapevoli del percorso del prodotto, delle reti umane e non umane che hanno condotto alla sua creazione, consapevoli della composizione, l’Università può indicare date di scadenza, posologia, effetti collaterali, abbinamenti da evitare per ciascun oggetto circolante. L’Università può accedere di nuovo e solennemente al dibattito tra attori molteplici rivendicando questo suo esclusivo ruolo di giudice. Ma chi è il giudice se non chi padroneggia, solo lui, degli strumenti indiscutibili? Chi svolge le sue osservazioni in un laboratorio inaccessibile ai profani? E poi, quale tipo di legittimazione è prefigurabile per quel suo ruolo? E chi sarebbe, nel caso, il soggetto legittimante e secondo quali modalità avverrebbe la legittimazione?
Non è difficile immaginare le ipotesi di corruzione dei giudici, di collusioni con sponsors di diverso tipo che tale ruolo dell’università porterebbe inevitabilmente con sè. Di fatto il ruolo ufficiale di certificatore corrisponderebbe ad un ruolo reale di sponsor legittimatore, portavoce di una linea evolutrice del mondo, di specifiche reti.
 
Eppure, ci sembra, nessuna soluzione potrà essere trovata se non si prende atto definitivamente del venir meno di un altro presupposto dell’università, la sua impermeabilità. Essa non può essere vista come una cittadella assediata che deve ancora rendersi conto di cosa è cambiato al suo esterno. Essa invece è già immersa nei cambiamenti suddetti. L’Università è inverata dagli attori che la abitano, gli universitari,  i quali, come tutti gli altri, sono già coinvolti nelle dinamiche della Rete e non ne possono uscire magicamente qualora varchino la soglia dell’università. Al di là dei processi ufficiali di produzione e trasmissione del sapere dell’università vi è la circolazione e elaborazione del sapere tra gli universitari reali, gli attori che la abitano. Costoro sono nodi della Rete che rielaborano e producono sapere e relazioni (Lipari 2002), che dunque spendono i saperi che li attraversano in diverse direzioni.
Per i soggetti e gli oggetti che transitano l’università valgono infatti le stesse proprietà che abbiamo visto valere nelle reti. Tra gli attori il processo di circolazione e trasformazione dell’informazione non è lineare e ciascun nodo può assumere in momenti diversi ruoli e diversi in modo mai del tutto prevedibile; gli oggetti processati sono sempre riconfigurabili, e reinterpretabili dagli attori incontrati.
A venir meno è l’immagine del discente che attraversa periodi di apprendimento passivo prima di uscire dall’università e produrre. La formazione universitaria non è più staccata dal momento produttivo degli universitari. Non solo infatti perché già adesso gli universitari, anche unicamente nel ruolo di discenti passivi, si danno però come forma di vita con le proprie caratteristiche di aggregazione e di consumo che ne fanno un soggetto massimamente appetibile e reale per altri attori culturali ed economici al di fuori dall’università. Gli universitari, inoltre, sia discenti che collaboratori delle cattedre, entrano già, per sostenersi o per fare esperienze utili, come nodi produttivi e quindi possibili produttori di innovazione all’interno di reti socioeconomiche tra le più diverse, che a volte poco o nulla hanno a che fare con il percorso di studi, ma che invece spesso sono intrecciate in un modo o nell’altro al proprio campo di studio. 
Inoltre in un futuro, si spera non troppo lontano, che vedrà la costruzione di un sistema integrato della formazione permanente, la distinzione tra universitario discente e soggetto produttivo sarà sempre più labile ed insostenibile. Ancora di più l’impermeabilità della cittadella universitaria sarà una leggenda.
L’università può essere attraversata da soggetti diversi in diversi momenti della propria vita. Soggetti che attraverso l’Università possono incontrarsi con altri soggetti, oggetti e temi, su piani difficilmente accessibili altrove durante la normale attività professionale.
Già ora, nelle sperimentazioni e nelle esperienze che prefigurano contatti ricorrenti degli studenti/lavoratori (si metta davanti il termine che si preferisce) con l’università, spessissimo gli attori coinvolti sottolineano l’utilità e addirittura la necessità del momento di riflessività consentito dall’università a fronte delle esperienze professionali troppo appiattite sul qui ed ora. La formazione universitaria può restituire il senso, o meglio ancora un ventaglio di sensi, di pratiche professionali e dei discorsi che li sottendono, delle criticità che queste stanno vivendo, delle poste in gioco e delle possibili ipotesi di network che potrebbero affermarsi. Soggetti già immersi nei flussi produttivi possono ricorrere continuamente all’università per guadagnare visioni più ampie, ipotesi sul futuro, contatti con soggetti lontani che lavorano nella stessa direzione.
La formazione universitaria può non essere dunque incompatibile con il processo di conoscenza degli operatori-nodi della Rete in quanto può intervenire nella loro vita in tre attività che si danno oggi come molecolarizzate: 
- cartografare la trasformazione attorno a sé ovvero leggere e comprendere la mutazione continua della Rete e dunque essere aggiornati sulle sue diverse configurazioni; 
- rinvenire il proprio sé la propria interpretazioni all’interno di tale trasformazione, cioè non limitarsi ad adattarsi alla mutazione continua ma in essa saper ogni volta scorgere la propria posizione ed il senso che essa potrebbe assumere nel mutamento in corso;
- affermare tale interpretazione creando nuove relazioni ossia darsi le possibilità di operare nuove configurazioni della Rete e dei rapporti in cui si è coinvolti. In tal senso i soggetti possono porsi come vettori dell’innovazione.
I soggetti che operano e vivono nella Rete corrono oggi il rischio costante di svolgere tali attività in completa solitudine e angoscia, esposti al rischio di completa sconnessione da coloro che potrebbero riflettere sulle stesse questioni non conoscendo così né le innovazioni cui questi già potrebbero essere giunti e comunque perdendo l’opportunità di costruire insieme innovazione. L’esperienza di tali rischi, si traduce in costi pesanti per l’individuo e per le organizzazioni in cui esso si muove portando il suo cervello e le sue emozioni.
A maggior ragione l’università, allora, non può più pensare di educare i nodi trasmettendo tali competenze una volta per tutte. La formazione universitaria dovrebbe piuttosto sforzarsi di favorire e supportare continuamente il costituirsi di relazioni in cui il sapere degli attori si invera. In questo senso essa dovrebbe costituire ambienti di apprendimento, network e contesti attraverso cui tali competenze possano realizzarsi, in cui gli attori incontrandosi nel luogo dell’università (anche virtualmente) possano guadagnare insieme riflessività rispetto al qui ed ora, e quindi, specularmente alle tre attività viste sopra :
- esplicitare la conoscenza autonomamente acquisita; 
- ridiscuterla collettivamente valutandone le alternative; 
- avere a disposizioni strumenti ed informazioni che aumentino le opportunità di far cooperare produttivamente i soggetti che perseguono la stessa innovazione. 
La formazione universitaria potrebbe dunque fornire delle risposte ai rischi cui è esposto chi produce conoscenza nella Rete. Non trasmettendo unidirezionalmente e una volta per tutte un sapere ad un soggetto staccato dai flussi produttivi bensì continuando a far incontrare soggetti i quali, comunque immersi nei flussi produttivi, già valorizzano e rinnovano le loro conoscenze, e che connettendosi in diverse occasioni ai network d’apprendimento dell’università possono farle circolare collettivamente potenziandole. 
Mentre nel primo caso il compito della formazione universitaria rispetto al soggetto era quello di fornire conoscenza, di preparare ad un mondo di cui si custodiva la conoscenza (conosciamo il mondo in cui dovrai inserirti quindi devi apprendere ciò che ti diciamo), nel secondo la formazione universitaria deve tendere piuttosto a supportare la acquisizione e la produzione di conoscenza e di innovazione in un mondo in costante mutazione e del quale non si possiede il senso una volta per tutte. E forse, come insegna Gallino, per l’università la prova più difficile è proprio ammetterlo e trarne le dovute conseguenze.
 
Note
  1 L’intervento è scaricabile insieme alle altre relazioni del convegno presso il sito www.uniroma3.it/inevidenza/global_edu/relazioni_antinomie_educazione.pdf. Lo stesso intervento è comparso in una versione più snella nelle pagine culturali del quotidiano La Repubblica di giovedì 30 gennaio 2003 col titolo L’università corrosa dalla Rete.
  2 Col concetto di black box la Actor-Network theory di Bruno Latour allude a quegli oggetti trasmessi da un emittente che ha predisposto una serie di dispositivi tecnici e sociali allo scopo di renderli il più resistente possibile a tentativi di manomissione e ridiscussione concettuale. Tali oggetti possono essere accettati come black box, verità indiscutibili da accettare “a scatola chiusa” se ha funzionato il processo di costruzione della loro oggettività. Manomissione fisica e ridiscussione concettuale si fondono nel concetto di interpretazione operata dagli altri attori della Rete implicata nel passaggio, traduzione, dell’oggetto, in special modo il destinatario.
  3 La letteratura riguardante questo passaggio è, come noto, vastissima. Si veda almeno Giddens (1990), Berman (1982).
  4 Il riferimento, come è ovvio, è al passaggio al postmodernismo ed al postfordismo. Anche qui la letteratura è ormai vastissima ma rimandiamo almeno a Lyotard (1979) sul fronte filosofico, e a Romano-Rullani (1998) e Micelli (2000) su quello organizzativo.
  5 Il concetto di traduzione è centrale nella Actor-Network Theory di Latour e Callon. Ogni volta che l’innovazione passa attraverso nuovi attori questa può essere manomessa e ridiscussa, reinterpretata. Dunque la traduzione dell’innovazione è da intendersi qui in tutta la sua densità di significato. Cfr. nota 2.
 
Bibliografia
D. Archibugi, B.-A. Lundvall, The Globalising Learning Economy: Major Socio-economic trends and European Innovation policies, Oxford University Press, Oxford, 2001
M. Berman, All that is Solid Melts into Air. The Experience of Modernity, Simon and Schuster, New York, 1982, (trad. it. L’esperienza della modernità, Il Mulino, Bologna, 1985)
G. Capano, La politica universitaria, Il Mulino, Bologna, 1998
P. Conceicao, M. Heitor, Universities in the Learning Economy. Balancing Insitutional Integrity and Organizational Diversity, in D. Archibugi, B.-A. Lundvall (2001)
G. Delanty, Challenging Knowledge: The University in the Knowledge Society, Open University Press, Buckingham, 2001
A. Giddens, The Consequences of Modernity, Polity Press, Cambridge, 1990 (trad.it Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna, 1990
B. Latour, Science in Action. How to Follow Scientists and Engineers through Society,  trad it. La scienza in azione. Introduzione alla sociologia della scienza, Edizioni di Comunità, Torino,1998)
D. Lipari, Note su “formazione” e “processo formativo”, in Adultità n.16, ottobre 2002, pp.61-76
F. Lyotard, La condition postmoderne, Minuit, Paris, 1979 (trad. it. La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1994)
A. Mattelart, Histoire de la société de l’information, Editions La Découverte,Paris, 2001, (trad. it. Storia della società dell’informazione, Einaudi, Torino, 2002)
S. Micelli, Imprese, reti e comunità virtuali, Etas, Milano, 2000
L. Romano- E. Rullani (a cura di), Il postfordismo. Idee per il capitalismo prossimo venturo, Etas, Milano, 1998
E. Rullani, "Dai sistemi alle reti: economia e potere della conoscenza", in Reti. Scienza, cultura, economia, Transeuropa Edizioni, Bologna, 1993
D. Schiller, Digital Capitalism. Networking The Global Market System, Mit Press, Cambridge (Mass.), 2000