* In “Formazione & Cambiamento”, n. 17, 2003
 
1. Metacompetenze e modelli di organizzazione postindustriale
L'affermarsi dei concetti di conoscenza e di competenza è evidentemente legato al processo di evoluzione che ha interessato i modelli organizzativi e formativi della società contemporanea. All'interno del generale processo di cambiamento che sta interessando oggi le organizzazioni, osservano Telmo Pievani e Giuseppe Varchetta (1), la continua creazione di conoscenza tende a configurarsi come un fattore competitivo di grande rilevanza. Questo processo di creazione della conoscenza come vantaggio competitivo all'interno delle sfide, aperte dall'economia della globalizzazione, emancipa definitivamente la risorsa umana da variabile dipendente a variabile indipendente e riporta in luce le economie della mente, vale a dire l'economia della creatività, dell'incertezza, della complessità, in ultima analisi l'economia dell'uomo. Con lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione il lavoro è sempre meno descrivibile in termini di azioni fisicamente rappresentabili e sempre più in termini di processi cognitivi. "La globalizzazione ha scardinato i circuiti cognitivi chiusi ed ha aperto le soglie delle organizzazioni a una circolazione contaminante e contaminantesi di saperi originatisi in contesti lontani dove gli uomini e le donne pur compiendo gesti simili nutrono emozioni e pensieri diversi. È la transcontestualità, l'interazione tra contesti che alimenta la formazione delle competenze nei singoli luoghi dell'economia mondiale" (2) Le conoscenze e le competenze tendono a non stratificarsi in un solo punto ma a crescere trasferendosi da un punto ad un altro con un incessante interscambio di know-how e skill.
L'interpretazione dei fenomeni organizzativi tende dunque a spostare l'accento dai fattori realizzativi a quelli decisionali in misura tale che i momenti dell'informazione, della comunicazione e della decisione diventano prioritari. Le organizzazioni tendono a non avere luoghi fisici di riferimento ed a configurarsi come sistemi di informazione, vale a dire di interazione e di scambio tra tecnologie dell'informazione. La dimensione fondamentale della realtà organizzativa diventa la dimensione concettuale, cognitiva, legata alla creazione ed alla diffusione del sapere.
"E' evidente - come osserva Paolo Serreri (3) - che siamo di fronte a una rivoluzione che investe in primo luogo la sfera della mentalità e della filosofia che impronta la produzione, i consumi e gli stessi stili di vita. In un contesto caratterizzato dalla forza e dalla rilevanza dell'innovazione tecnologica, quindi dalla scomparsa di tutte le figure prevalentemente legate al rapporto diretto con determinati tipi di utensili o di macchinari e dall'emergenza di figure dotate di competenze più allargate, appare chiaro che le nuove professionalità destinate ad avere sempre più spazio vanno intese in senso relazionale-informativo-decisionale. Tutto ciò porta in primo piano i valori e gli elementi che stanno alla base della competenza, a partire dal quadrinomio sapere, saper-fare, sapere-essere, saper vivere insieme".
Dal punto di vista del management delle risorse umane, la gestione delle competenze tende a diventare un obbligo sempre più vincolante per le imprese. Tanto quanto quelle delle risorse tecnologiche e proprio questo fatto ha suggerito ad Aubret che "la gestione delle competenze si situa esattamente nell'interfaccia tra il management delle risorse umane e il management delle risorse tecnologiche" (4).
 
L'importanza e l'ampiezza del problema legato alla creazione ed alla crescita delle competenze è legata al fatto che questo problema interessa sia l'individuo che l'impresa, sia la scuola che la famiglia. A questo si aggiunge il fatto che le competenze costituiscono l'esito di un processo di apprendimento continuamente mutevole e che proprio per questo devono essere scoperte, stimolate, indirizzate, conservate e coltivate.
E' all'interno di questa prospettiva che Jacques Delors colloca la definizione di competenza all'interno di uno dei quattro pilastri dell'educazione per il XXI secolo: l'imparare a fare. Gli altri tre pilastri, cui il primo è fortemente legato, sono l'imparare a conoscere, l'imparare a vivere insieme e l'imparare ad essere. L'obiettivo di Delors è evidentemente quello di dare sostanza alle coordinate strategiche della società della conoscenza ed in tal senso la competenza è la materia prima dell'imparare a fare: di un imparare a fare che nel terzo millennio sarà molto diverso da come lo abbiamo inteso in passato in quanto legato, come si è già detto, alla supremazia dell'elemento cognitivo e informativo come fattore chiave dei sistemi di produzione. Con la fine della società industriale è destinata a tramontare definitivamente l'idea di abilità professionale, in relazione alla capacità astratta di eseguire un compito, per fare spazio a quella di competenza essenzialmente intesa sotto il segno della personalizzazione, della multilateralità e della poliedricità (5).
Il concetto di metacompetenza finisce per configurarsi nei termini della capacità, propria ad ogni individuo, di adattarsi e riadattarsi alle dinamiche evolutive del suo sistema ambientale e relazionale di riferimento, costruendo e trasformando continuamente i propri modelli di conoscenza e di azione.
Questa interpretazione del concetto di metacompetenza, di natura strettamente costruttivista, tende fortemente ad avvicinarsi a quel concetto di competenza strategica che Aureliana Alberici definisce in termini del saper apprendere lifelong. Competenza che, nelle sue molteplici dimensioni, si fonda sulla categoria concettuale dell’apprendere ad apprendere e sulle sue implicazioni formative (6).
La nozione di competenza strategica ha precise implicazioni sul piano operativo, nella misura in cui chiama in causa quelle abilità/dimensioni che sono, appunto, strategiche perché un individuo sia in grado di sapere apprendere in diversi contesti e lungo tutto l'arco della vita. Da ciò deriva la qualità strategica che si attribuisce a questo tipo di competenze-risorse. Da ciò emerge egualmente la possibilità di indicare come nuovi contenuti dell’apprendimento non solo i contenuti di conoscenze specifiche, non solo le procedure della “cognizione”, ma gli stessi saperi taciti, che consentono lo sviluppo della dimensione proattiva delle competenze, in specifico di quelle strategiche per il lifelong.
 
A partire dalla definizione della competenza nei termini di un mix e del modo in cui questo mix si mobilita e si ridefinisce nelle situazioni e nelle relazioni della vita sociale e del lavoro, anche Giampiero Quaglino specifica che la competenza è legata a quelle abilità di un individuo date dall'insieme delle sue conoscenze, capacità, doti personali e doti professionali di comportamento sociale e di attitudine al lavoro, di iniziativa e di disponibilità ad affrontare rischi, di capacità di affrontare e di risolvere conflitti.
La competenza strategica finisce dunque per evocare una pluralità di dimensioni: cognitive, emotive, sociali, linguistico-narrative. Essa riguarda in definitiva una disposizione fondamentale, flessibile e adattiva, legata a capacità individuali relazionali, affettive, di responsabilità, orientamento, progettazione e intervento sul reale. Si tratta di ciò che in altri termini si può definire la metafora degli “attrezzi del mestiere per comprendere e per poter essere attori sociali nella Knowledge Society"  (7).

2. Teorie della conoscenza e dell'apprendimento nella nascita della Knowledge Society
E' possibile cogliere un nodo essenziale di discussione dei temi relativi alla natura della conoscenza e dell'apprendimento in corrispondenza alla realizzazione delle prime macchine intelligenti, intorno agli anni '50. La ricchezza e la rilevanza dei temi trattati in questo momento, all'interno di questo nodo epistemologico, appare tanto più significativa se si pensa che tali temi vengono affrontati in relazione alla costruzione dei primi calcolatori e dunque, per molti aspetti, proprio in relazione alla nascita di quella che verrà definita la Società della Conoscenza.
E' all'inizio degli anni '50 che, negli Stati Uniti come in Europa, diversi rappresentati delle nascenti scienze cognitive prendono parte alla realizzazione di un importante progetto di ricerca. Il progetto è finalizzato alla costruzione delle prime macchine intelligenti e vede la collaborazione di studiosi quali W. Ross Ashby, Gregory Bateson, Warren McCulloch, Heinz von Foerster, Humberto Maturana, John von Neumann, Jean Piaget, Artur Rosemblaueth, Herbert Simon, Conrad Waddington e Norbert Wiener.
In questi anni si discute dunque approfonditamente della natura della conoscenza e di fatto tra i primi teorici di intelligenza artificiale, impegnati negli Stati Uniti, e gli studiosi europei, raccolti soprattutto intorno al centro Internazionale di Epistemologia Genetica di Ginevra, si instaura una stretta collaborazione: collaborazione volta non solo alla costruzione di alcuni tipi di macchine intelligenti, ma anche all'istituzione dei primi corsi di Intelligenza Artificiale nell'insegnamento accademico.
I paradigmi della ciberentica e dell'epistemologia costruttivista nascono e si sviluppano dunque all'interno di due universi molto distanti l'uno dall'altro: un universo sociale in rapido mutamento ed un universo teorico soprattutto legato all'antica tradizione filosofica europea. Il primo paradigma si configura, già dalla sua nascita, come un progetto pratico volto a potenziare le dimensioni dell'intelligenza umana e ad offrire delle applicazioni socialmente utili; il secondo trae la sua origine da riflessioni di natura essenzialmente teorica. Tuttavia pur avendo origini diverse questi due paradigmi si incontrano più volte, nel corso della loro evoluzione, in relazione a temi fondamentali per la nascita e lo sviluppo della società contemporanea.
Rispetto all'incontro di due paradigmi così diversi tra loro è significativo sottolineare come questo incontro sia legato nello stesso tempo al caso ed alla necessità. Così, da un lato, sembra una coincidenza significativa che negli anni '50, dall'una e dall'altra parte dell'Atlantico, si studino i meccanismi della conoscenza nell'uomo e nella macchina; d'altro canto, come osserva Guy Tiberghien (8), il fatto che arrivato ad un certo stadio della sua evoluzione l'uomo abbia preso la sua attività di conoscenza come oggetto di studio è soprattutto una necessità storica: il problema della conoscenza diventa ad un certo punto centrale per la vita dell'uomo, delle organizzazioni e delle istituzioni, della società intera.
I ricercatori impegnati per primi nel dominio dell'intelligenza artificiale hanno il comune obiettivo di approfondire lo studio dei meccanismi della conoscenza umana; tuttavia, sin dall’inizio, la loro collaborazione vede delinearsi una profonda frattura tra due diverse prospettive epistemologiche: se alcuni di essi interpretano infatti la conoscenza come un’attività di problem solving, gli altri la considerano essenzialmente come un’attività di learning (9).

Questa diversa concezione della conoscenza divide da subito i due padri fondatori della cibernetica, John von Neumann e Norbert Wiener, e suggerisce evidentemente due diversi modelli per la costruzione delle macchine intelligenti. Da una parte, c'è chi interpreta i computer come sistemi di computo delle informazioni, per l'elaborazione e la manipolazione di simboli, allo scopo di costruire una rappresentazione formale del mondo esterno. D'altra parte, c'è chi interpreta i computer come strumenti capaci di simulare il cervello ed il sistema flessibile delle interazioni esistenti tra i neuroni: secondo questa seconda prospettiva la cognizione è intesa soprattutto come un'azione autocreatrice e la macchina intelligente, ispirata ad un principio vitale e biologico, si pone come un'entità estremamente flessibile e adattiva.
La prospettiva di natura costruttivista assume quindi la natura biologica della conoscenza come metafora di riferimento, e si pone come obiettivo fondamentale quello di costruire dei modelli che simulino il funzionamento del cervello e dell'organizzazione del vivente. Nel momento in cui si considera la conoscenza come un prolungamento dei meccanismi biologici di adattamento essa diventa un processo iscritto nell'evoluzione naturale, una forma di vita in divenire i cui processi di sviluppo hanno ben poco di meccanico e di lineare, un'attività radicata in un corpo che vive, si muove, agisce e percepisce il mondo che lo circonda (10).
La lotta che oppone questi due diversi punti di vista sulla natura della conoscenza porterà alla sconfitta del secondo, già dalla metà degli anni '60, e bisognerà attendere gli anni '80, con l'emergere della teoria epistemologica della complessità e del connessionismo, perché la mente venga nuovamente concepita come una forma di vita capace di costruire attivamente il proprio rapporto con l'ambiente. Così, da un lato, le teorie sui sistemi complessi elaborate da studiosi quali Ilya Prigogine, Heinz von Foerster, Umberto Maturana e Francisco Varela affermano la natura attiva del rapporto che l'individuo costruisce con il proprio universo di riferimento; d'altro canto, osserva Domenico Parisi (11), il connessionismo emergente nel dibattito sulle scienze dell'artificiale riscopre la concezione biologica ed olistica della mente: l’intelligenza viene di nuovo concepita nei termini di un processo di adattamento la cui comprensione è affidata ai meccanismi della sua costruzione e della sua genesi. All'interno di questa prospettiva e grazie soprattutto all'utilizzo delle simulazioni, la vita artificiale studia il comportamento dell'organismo nel proprio ambiente ritenendo che l'organismo agisce sull'ambiente tanto quanto il secondo agisce sul primo.
Ne emerge una concezione dell'apprendimento nei termini di un processo biologico e dunque vitale, continuamente mutevole e continuamente rinnovantesi grazie alla sua capacità di confrontarsi con gli inputs del mondo esterno, di svilupparsi e di evolvere nella scelta delle risposte ritenute più adeguate a questi inputs e nell'esigenza di adattarsi alle mutevoli condizione del mondo circostante. D'altro canto, questo modello di apprendimento non si configura nei termini di un semplice e lineare processo cognitivo di elaborazione delle informazioni, ma chiama in causa l'identità del sistema nella sua interezza interessando, in tal modo, tutte quelle componenti cognitive, affettive, coscienti e incoscienti che costituiscono il fondamento del rapporto tra l'individuo e il mondo. L'immagine della conoscenza che ne deriva non corrisponde ad un modello cristallizzato bensì ad un modello dinamico che si definisce nel processo stesso della sua costruzione: costruzione legata nello stesso tempo ai poli del soggetto e dell'oggetto, dell'individuo e del mondo.

3. Le metacompetenze e la teoria costruttivista della conoscenza
Nella nostra prospettiva è estremamente significativo osservare la vicinanza dei concetti di conoscenza e di apprendimento, come si definiscono oggi nelle scienze della formazione anche in relazione al tema delle competenze strategiche, con il modo in cui questi concetti sono stati trattati da una parte degli studiosi partecipanti al dibattito sulle scienze artificiali. Nei progetti teorici e operativi di questi studiosi, come abbiamo visto, sono già presenti in nuce molti di quei temi che, con la piena affermazione della società e dei modelli di organizzazione postindustriali, diventeranno centrali nel discorso sulla conoscenza e sulla formazione. Si tratta evidentemente di temi relativi alla concezione dell'uomo come artefice del proprio sapere, alla convinzione che le dinamiche di interpenetrazione tra scienza fondamentale, scienza applicata e tecnologia hanno contribuito nella più ampia misura a disegnare il volto della società contemporanea; infine alla definizione di un modello attivo di apprendimento e di conoscenza definiti nei termini di processi vitali ed adattivi capaci, al pari delle competenze strategiche, di costruzione e di ridefinizione continua.
Nel più recente dibattito così come in quello passato si sottolinea la natura biologica, flessibile e adattiva dei concetti di conoscenza, apprendimento e competenza. Essi sono sempre descritti in termini di abilità continuamente rinnovantesi capaci di permettere all'individuo di evolvere, di apprendere sempre e lungo tutto l'arco della propria vita, di conoscere intervenendo ed agendo in modo attivo sul reale.
All'interno di questa ridefinizione della conoscenza riacquistano valore e significato molte teorie di impostazione non cognitivista quali la teoria di Dewey, la psicologia di Piaget e di Vygotskij, la psicologia ecologica di James Gibson, ma anche i modelli pedagogici di Freinet e Montessori.
Tra i filosofi, Dewey ha asserito chiaramente che le azioni non rappresentano solo reazioni agli stimoli ma azioni sugli stessi stimoli. Tra gli psicologi, scrive Parisi (12), Piaget ha sottolineato nel modo più chiaro il ruolo dell'esperienza e dell'attività nello sviluppo cognitivo. "Per Piaget non è l'individuo che risponde agli stimoli provenienti dalla realtà ma è la realtà che risponde agli 'stimoli' costituiti dalle azioni dell'individuo" (13). L'intelligenza e la conoscenza della realtà cominciano proprio dalle interazioni senso-motorie e lo stesso linguaggio trae significato da queste interazioni.
Si afferma quindi in primo luogo quel concetto di "learning by doing" cui Dewey aveva già fatto riferimento. Si tratta evidentemente di un modello attivo di apprendimento legato non alla ricezione passiva di stimoli e di informazioni dal mondo esterno, ma alla concezione del soggetto conoscente quale artefice dei propri sistemi di esperienza e di conoscenza. Dewey aveva sottolineato tra i primi il ruolo dell'esperienza nell'apprendimento e difatti, secondo molte teorie attuali sull'apprendimento e sulla formazione, l'esperienza si configura come lo strumento privilegiato di apprendimento già nella vita di tutti i giorni in cui si conosce la realtà guardandola direttamente, misurandola, agendo su di essa e osservando le conseguenze delle proprie azioni. In una prospettiva per molti aspetti analoga, Piaget interpreta il problema dell'apprendimento in stretta connessione con il discorso epistemologico sulla natura della conoscenza. Nella misura in cui si ammette che la conoscenza è una costruzione continua, essa appare strettamente legata all'agire dell'individuo sulla realtà: conoscere un oggetto significa agire su di esso e trasformarlo per afferrare i meccanismi della sua stessa trasformazione.
Il carattere di utizzabilità che ci lega originariamente alle cose, scrivono S Manca e L. Sarti (14) fa sì che il mondo sia un mondo agito prima che contemplato, dischiuso dal saper fare proprio di ogni pratica. Il nostro rapporto con il mondo è quindi un rapporto immediato e originario che ci lega alle cose tramite una comprensione più pratica che teorica. "All'origine del pensiero, del linguaggio e delle parole c'è… quella trama densa e complicata di pratiche intrecciate che consente la comprensione e l'interpretazione del mondo in modo intelligente …sono queste pratiche che scheggiano la pietra, incidono le rupi e le caverne, costruiscono armi e utensili, edificano le abitazioni, elaborano abiti linguistici, inventano sistemi di scrittura, in una parola l'insieme di ciò che noi chiamiamo civiltà o cultura, con le sue pratiche intelligenti e sensate" (15).
 
Riguardo la convergenza tra alcune teorie attuali sulla formazione e sulle competenze e l'epistemologia soprattutto di stampo non cognitivista, è importante ancora sottolineare come ambedue gli orientamenti offrano una definizione estremamente ampia del concetto di conoscenza e di competenza. Il concetto di competenza strategica, come osserva Aureliana Alberici, comprende allo stesso tempo saperi espliciti ed impliciti, esso fa riferimento ad un vasto repertorio di strumenti cognitivi, affettivi, relazionali grazie ai quali ogni individuo è capace di orientarsi nell'universo che lo circonda, di attribuire significati, scegliere, comunicare, progettare e soprattutto di ridefinire continuamente le proprie capacità a seconda delle diverse esigenze della sua realtà esistenziale e professionale.
"L'idea costruttivista secondo cui l'apprendimento è sempre frutto di un lavoro di costruzione avente l'obiettivo di elaborare azioni e concetti viabili, cioè appropriati ai contesti in cui vengono usati, e non di scoprire una realtà ontologica di cui produrre copie o immagini mentali - scrivono S. Manca e L. Sarti (16) - ha infatti progressivamente sostituito il modello tradizionale del trasferimento di conoscenza". Quest'idea costruttivista si trova oggi sempre più spesso legata a quella di apprendimento come processo dialogico, sociale e culturale, in cui ogni singolo individuo, quale membro di un gruppo, apprende soprattutto all'interno di un contesto interattivo, come del resto già sostenuto da Vygotskij, ricevendo cioè sostegno e motivazione dalla sua zona di sviluppo prossimale.
Nella complessità del suo sviluppo, la conoscenza non si configura dunque come un processo oggettivo, né appare legata soltanto alla realtà storico-sociale nella quale si costruisce. Essa chiama in causa diverse componenti, più o meno profonde, della personalità umana e del suo rapporto con il mondo. Ed è significativo ricordare, a tale proposito, come già nella prospettiva dell'epistemologia genetica la vita nella sua interezza si configura come un sistema, cognitivo e affettivo, in equilibrio con il proprio universo di riferimento; lo sviluppo dell'intelligenza e delle conoscenze può essere favorito o ostacolato da particolari condizioni di affettività. D'altro canto, il concetto fondamentale della teoria piagetiana, l'equilibrio, trae origine dai rapporti dell'autore con la psicoanalisi e compare, per la prima volta, in un romanzo autobiografico del giovane Piaget rimasto a lungo inedito: Recherche. Qui l'individuo viene definito come un "sistema di organizzazione tra il tutto e le parti" continuamente teso verso un delicato stato di equilibrio, nello stesso modo in cui "pur essendo malmenato dalla roccia che l’ingloba, un cristallo tende verso una forma ideale; oppure la traiettoria irregolare di un astro obbedisce ad una legge ispirata ad un moto regolare". (17)
E ancora significativo sottolineare relativamente a queste note piagetiane di psicologia dello spirito come, in Italia, la teoria di Piaget abbia toccato in primo luogo l'interesse dello psicoanalista Cesare Musatti. Già negli anni '50, Musatti percepisce infatti la teoria di Piaget "come uno sguardo profondo rivolto alla vita interiore dell'individuo" e vede nel concetto di equilibrio un modello filosofico "capace di dare spazio e respiro all'anima dell'individuo concepita nella sua interezza", in contrasto con le teorie comportamentiste allora estremamente diffuse (18).

4. Apprendimento e nuove tecnologie dell'informazione: il modello della simulazione
In questo processo di trasformazione dei modelli dell'organizzazione e della formazione, segnato dalla centralità e dalla crescita della conoscenza, un ruolo fondamentale è giocato dalle possibilità di diffusione e di trasmissione del sapere offerte dalle nuove tecnologie della comunicazione. Il computer, scrive al riguardo Parisi (19), rappresenta un elemento centrale nel discorso sulla modernità e sulla razionalità della società occidentale nella misura in cui esteriorizza nelle macchine quella razionalità che precedentemente aveva trovato posto solo nella mente umana e dentro le organizzazioni sociali degli esseri umani.
"Forse già tremila anni fa la cosiddetta arte del Paleolitico superiore… è stata una conseguenza ma anche una causa di un ampliamento delle nostre capacità cognitive di immaginare, prevedere, ricordare, sentire da soli e insieme agli altri. Certamente, l'adozione della scrittura alfabetica … ha avuto un ruolo importante nell'emergere della civiltà greca e quindi di quella occidentale. La permanenza e l'oggettività delle parole scritte, rispetto alla volatilità di quelle dette, ha accresciuto le possibilità della memoria e l'accumulazione della conoscenza ed ha … contribuito alla comparsa della filosofia, della scienza e della democrazia politica nella Grecia classica. Quasi un millennio dopo, l'avvento della stampa ha reso possibile il crearsi di comunità estese di ricercatori e scienziati, distanti nello spazio e anche nel tempo, con scambi facilitati e accelerati dalla riproducibilità meccanica dei libri" (20).
Il computer rappresenta una tecnologia cognitiva dalle potenzialità infinitamente più grandi e innovative rispetto ad altre tecnologie vecchie e nuove come l'arte, la scrittura e la stampa ma anche il telefono, la radio e la televisione. Il computer costituisce un fondamentale e innovativo strumento di conoscenza, nella misura in cui crea i primi artefatti cogniti e comunicativi con cui è possibile interagire. Se la realtà è ciò con cui interagiamo possiamo dire che il computer allarga e crea un più di realtà mentale e sociale, esso ci presenta delle informazioni e reagisce alle nostre azioni proprio come fanno la nostra mente e in buona misura le altre persone (21).
Le tecnologie cognitive pre-computer erano profondamente diverse: un libro si poteva leggere, si poteva scriverci sopra, metterci un segnalibro; al telefono si poteva ascoltare o parlare, al cinema si potevano vedere immagini in movimento, ma è con il computer che si sono moltiplicate le interazioni tra l'uomo e l'artefatto; interazioni che si sono amplificate all'infinito grazie ad internet dal momento che in ogni istante in questo universo si aggiungono nuove informazioni, nuove forme di socialità, nuovi modi di comunicare e di interagire.
Ma ciò che è più importante sottolineare oltre al potere di comunicazione che esso conferisce è il fatto che il computer può essere uno specifico ed importante strumento di apprendimento. Fino ad oggi si imparava leggendo un libro o interagendo con un insegnante, ascoltando le sue lezioni o dialogando con lui. Ma si può imparare anche interagendo con un computer ed è proprio in questo senso che si realizza l'apprendimento attraverso l'esperienza.
"Ci sono due modi di imparare, cioè di conoscere e capire la realtà: si impara attraverso il linguaggio, perché qualcuno ci racconta come è fatta la realtà e ce la spiega, e si impara attraverso l'esperienza, osservando la realtà e interagendo con essa. Conoscere e capire la realtà attraverso le parole è stata fino ad oggi la modalità di apprendimento dominante nelle società moderne. Oggi però gli sviluppi delle tecnologie informatiche stanno aprendo nuove possibilità all'altro apprendimento, quello che passa attraverso l'esperienza, e forse questi sviluppi consentiranno all'apprendimento attraverso l'esperienza di competere con quello attraverso il linguaggio nelle società del futuro" (22).
Lo scenario tipico dell'apprendimento attraverso il linguaggio è la lezione del docente o la lettura di un libro. Lo scenario tipico dell'apprendimento attraverso l'esperienza è invece la vita di tutti i giorni. Esistono importanti differenze tra il fatto di imparare attraverso il linguaggio ed il fatto di imparare attraverso l'esperienza. Attraverso il linguaggio si può apprendere su tutto, sul passato, su ciò che è lontano nello spazio e nel tempo, su ciò di cui non si può fare esperienza diretta perché è infinitamente piccolo o infinitamente grande. Qualunque aspetto della realtà può essere descritto e spiegato usando le parole. Imparare attraverso l'esperienza possiede invece un limite essenziale, dovuto all'impossibilità di fare esperienza diretta di quegli aspetti della realtà che non possiamo osservare con gli occhi o con gli altri sensi e sui quali non possiamo agire direttamente.
L'avvento del computer, osserva Parisi (23), ha reso comunque possibile un nuovo modo di conoscere la realtà, attraverso la creazione di una realtà virtuale, di una sua copia semplificata, vale a dire attraverso la sua riproduzione all'interno di una simulazione. Le simulazioni, quali strumenti attivi di conoscenza, rappresentano un'importante novità sia dal punto di vista epistemologico che dal punto di vista del concreto potere conoscitivo della scienza; non è un caso che esse vengano adottate in misura crescente in tutte le discipline scientifiche, dalle scienze fisiche e biologiche alle scienze cognitive a quelle sociali ed economiche.
In questa prospettiva, secondo Parisi, una differenza fondamentale tra l'apprendimento attraverso il linguaggio e l'apprendimento attraverso l'esperienza è legata al fatto che con le tecnologie cognitive e comunicative pre-computer tutto avviene nella nostra mente. "Naturalmente noi non siamo veramente passivi con gli artefatti cognitivi e comunicativi tradizionali, con i quadri, i libri, il cinema, la televisione… Leggendo un libro, guardando un quadro o un film o, più raramente, la televisione, la mente lavora e la nostra vita emotiva è in movimento. Ma il senso di avere a che fare con la realtà ce l'abbiamo quando ci accorgiamo che, agendo fuori di noi, quello che è fuori di noi cambia in risposta alle nostre azioni e ciò è possibile solo con il computer" (24).
E' proprio in questo senso che la simulazione è uno strumento di apprendimento (25), una volta che la simulazione è stata costruita uno studente può imparare a conoscere e capire quella parte della realtà interagendo con la simulazione; e questo come si è detto non solo e non tanto osservando passivamente quello che la simulazione presenta ma agendo sulla simulazione, cioè sui comandi del computer, e osservando come la simulazione reagisce alle nostre azioni.
La simulazione è dunque anche un laboratorio didattico virtuale; al suo interno si impara come è fatta la realtà agendo in condizioni controllate, vale a dire agendo sulla realtà e osservando le conseguenze delle proprie azioni. Il fatto che le simulazioni siano realtà costituisce una novità per la scienza. E questo assimila la scienza, che è un'impresa volta a conoscere e capire la realtà, alla tecnologia che è un'impresa volta a modificare la realtà e ad aggiungere ad essa dei nuovi elementi. In questa prospettiva le simulazioni sono importanti perché fanno penetrare più profondamente nella scienza e nel rapporto conoscitivo, che lega l'individuo al mondo, "la potente carica innovativa che il computer sta manifestando in ogni settore della vita sociale e individuale". (26)
Appare chiaro in definitiva come sia il linguaggio che la visualità siano potenti strumenti cognitivi degli esseri umani. Perciò il fatto che la visualità abbia avuto un ruolo così marginale nella conoscenza ha privato la conoscenza stessa di uno strumento cognitivo per cui gli esseri umani sembrano particolarmente dotati. Conoscere con la simulazione cambia questo stato di cose nella misura in cui il computer rende possibili le visualizzazioni. Una delle conseguenze più importanti del computer dal punto di vista della sua influenza sulle nostre capacità ed attività cognitive è che esso consente di visualizzare i processi e ci permette di interagire con le visualizzazioni, cioè di compiere azioni che modificano ed influenzano quello che vediamo.

5. Conoscenza, competenza e formazione
Grazie al loro ruolo centrale ed all'estensione delle loro funzioni le scienze e le tecnologie della conoscenza hanno saputo creare un nuovo legame tra uomo e natura, società e cultura, produzione e rappresentazione (27). Il potere di queste tecnologie va molto al di là dello stesso dominio tecnologico; i loro strumenti operativi sono infatti i mezzi dell'informatica, dell'elettronica e delle telecomunicazioni, ma le loro radici affondano nello sviluppo della conoscenza umana. In tal senso le nuove tecnologie appaiono legate contemporaneamente all'universo della produzione ed a quello della comunicazione; i loro mezzi di espressione sono la macchina, il linguaggio e il pensiero.
La società postindustriale è sempre meno caratterizzata dai processi di produzione e di distribuzione di oggetti materiali e sempre più dalla diffusione degli strumenti e delle tecnologie della conoscenza. Essa appare essenzialmente rivolta alla produzione di oggetti immateriali, simbolici capaci a loro volta di modificare l'universo dei bisogni, dei valori, degli orientamenti culturali che determinano l'azione umana. Ed è proprio all'interno di questa prospettiva che l'uomo ed il suo sapere si pongono al centro della società postindustriale.
Il sapere è oggi il principale fattore di creazione della ricchezza e questo costituisce un evento né inatteso né recente. Al contrario rappresenta l'ultimo anello di un lungo processo evolutivo. "In realtà - scrive Antonio Pilati (28) - …l'impiego intensivo della conoscenza come fattore produttivo non è una prerogativa esclusiva del novecento o del secondo dopoguerra: dall'esperienza pratica dei cacciatori preagricoli alle technai degli artigiani greci sino ai segreti tramandati nei mestieri medievali, il sapere - tecnico, organizzativo, previsionale - ha sempre svolto una funzione di primo piano nella trasformazione della natura".
Il problema è capire per quali ragioni in alcuni momenti il peso della conoscenza è più incisivo. L'idea di un sistema produttivo fondato sui due perni della potenza cognitiva e della rapidità di connessione è oggi messa in pratica con clamore dalla Net Economy, ma almeno da un terzo di secolo era delineata da sociologi ed esperti di organizzazione che ne intravedevano sintomi incipienti in alcuni segmenti delle economie avanzate. "È lungo l'elenco di autori che da un lato identificano quale cardine dell'assetto sociale o economico qualche elemento legato alla costellazione cognitiva e dall'altro assumono tale fatto come una novità eclatante, una cesura drastica tra il passato che non lo contiene ed il futuro che lo vedrà completamente sviluppato (il presente ha in genere uno statuto ambiguo, di annuncio o di indizio)" (29).
 
In una prospettiva generale ciò che appare sempre più vitale e decisivo è la possibilità di applicare le capacità intellettuali alla ricerca, alla scoperta, all'invenzione e alla diffusione di soluzioni. I modelli organizzativi emergenti tendono infatti a privilegiare soluzioni che, da un lato, aiutino a fronteggiare l'instabilità dell'ambiente, la frammentazione dei mercati, la moltiplicazione dei soggetti e, dall'altro, siano in grado di sfruttare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie.
In questo contesto, scrive Lipari (30), matura anche l'esigenza di riorganizzare le attività ed i luoghi della formazione secondo una rinnovata logica dell'apprendimento. Si tenta di superare una nozione di adattamento meccanico dell'individuo all'organizzazione per approdare ad approcci centrati sull'esperienza concreta che gli attori contribuiscono a realizzare. In questo senso la conoscenza e la competenza tendono a configurarsi come situated knowledge, cioè come risultato delle occasioni di learning by doing che consentono l'affinamento e la messa in pratica di capacità intuitive.
La donna e l'uomo, scrive Varchetta, "ritornano" al centro degli eventi di coscienza, conoscenza e apprendimento, così come dentro il corso effettivo della loro vita …L'apprendimento lungo questa prospettiva diviene così motore e territorio della nostra identità, trasformandosi dall'apprendimento "in cui siamo", teatro di una soggettualità passiva e "esposta" all'ambiente, all'apprendimento "che noi siamo", con un soggetto "capace di condizionare e guidare la propria relazione con il mondo" (31).
I temi dell'apprendimento organizzativo e, più in particolare, quelli legati alle competenze, alle conoscenze tacite, alle comunità di pratiche, al valore delle forme intuitive del sapere diventano così motivi dominanti del rinnovamento della cultura e delle pratiche formative. L'apprendere (letteralmente afferrare e far proprio un oggetto in un contesto relazionale), come osserva Lipari, diventa il concetto cruciale a partire dal quale non solo si rivaluta la dimensione soggettiva di chi partecipa a un evento rendendosi protagonista di una dinamica in cui agiscono altri soggetti, ma mette anche in luce la rilevanza dell'interazione, dello scambio, del dialogo, dell'apprendere insieme.
Queste riflessioni sono connesse al fatto che non si può conoscere da soli. "Se conoscere …è imparare dalla realtà, si può imparare dalla realtà solo interrogandosi sul senso dei fatti e solo aprendosi a una dimensione intersoggettiva della conoscenza. In questo senso si collabora insieme ad altri e ad altre a costruire un significato comune, condiviso del significato del lavoro. Conoscere è necessariamente scambiare con gli altri. Coevoluzione è il processo con il quale specie interdipendenti tendono a evolvere generando nuove capacità" (32).
"Se infatti la competenza è riferita a un individuo, indipendentemente dal contesto in cui utilizzarla, essa non è altro che un attributo del soggetto che la possiede… Se invece la competenza è riferita agli individui e a ciò che fanno in contesti di azione organizzata, il problema della delimitazione del concetto assume altra rilevanza e complessità" (33). In questo caso l'intreccio tra dimensioni relazionali multiple che coinvolgono nello stesso tempo, gli individui, le regole e le procedure, i valori ed i linguaggi, "genera un campo cognitivo e di esperienze la cui specificità (e per molti versi unicità) da un lato …modifica e accresce le conoscenze e le esperienze degli individui, dall'altro alimenta il sapere collettivo dei gruppi e dello stesso ambiente organizzativo di contenuti il cui valore è vitale per la sopravvivenza e lo sviluppo dell'organizzazione" (34).

A partire da queste considerazioni, l'ottica delle competenze esercita importanti conseguenze sul versante di una prospettiva generale sul lavoro e sulla formazione. Si tratta come scrive Claudia Montedoro, di "dare corpo ad una prospettiva concreta e praticabile di apprendimento lungo tutto l'arco della vita (lifelong learning), che si pone con sempre maggior vigore come esigenza propria delle organizzazioni produttive, della vita economica e sociale, delle stesse istituzioni formative e degli individui. Dalla esigenza "semplice" di apprendere per lavorare con competenza, la visuale si amplia fino a ricomprendere in sé il rendere possibile, nella società della conoscenza disegnata dall'emergere della learning economy, il perseguimento di una realizzazione piena di sé da parte di chiunque, affermando il diritto all'apprendimento come esigenza centrale dei soggetti individuali e sociali, chiave di accesso ad una cittadinanza piena nel mondo contemporaneo" (35).
La centralità della conoscenza, secondo Giuseppe Varchetta, ha importato nell’esperienza organizzativa problematiche di stile, di modalità distintive, un particolare modo di sentire e agire l’organizzazione. "L’organizzazione attraverso il metodo delle competenze invita a costruire professionalità composite, lontane dalla grigia, perpetua, inossidabile prevedibilità della posizione di ruolo dell’organizzazione tayloristica". Non si tratta di vaghezza e di imprecisione quanto di una apertura concreta alla integrazione interfunzionale, alla trasversalità, alla possibilità di costruire reti di professionalità articolata.
"La vita delle donne e degli uomini è da sempre una “frase infinita”. L’esperienza di lavoro dell’organizzazione taylorista aveva per i più creato per così dire una frattura, due mondi: le ore del non lavoro collocate dentro una “frase infinita” e le ore del lavoro sovente immerse in cesure, in coazioni a ripetere, senza spazio per l’ascolto e l’inatteso di forme indefinite e, come tali, da narrare. Il metodo delle competenze … può ora rompere questo confine tra il tempo del non lavoro e quello del lavoro, superando quella distanza che probabilmente per la nostra quotidianità è stata la più grande tragedia della modernità. Noi veniamo così restituiti, lungo la traccia dell’enigma contenuto nelle competenze, ad una possibile sola pulsione, capace di con-fondere non lavoro e lavoro e restituirci alfine ad un nostro possibile infinito" (36).
 
Note
1   Pievani, T. e Varchetta, G. (1999), Il Management dell'Unicità, Guerini e Associati, Milano, pp. 46 - 49.
2   Ivi, p. 50.
3   Serreri, P. (2000), "Competenza". In C. Montedoro (a cura di), La formazione verso il terzo millennio, Seam, Roma, pp. 90 - 91.
4   Aubret, J. Gilbert, P. Pigeyre, F citato in P. Serreri (2000), "Competenza". In C. Montedoro (a cura di), op. cit. p. 91.
5   Delors, J. (1997), Nell'educazione un tesoro, Armando, Roma.
6   Alberici, A. (1999), Imparare sempre nella società conoscitiva, Paravia, Torino.
7   Alberici, A. (2002), "Per una pratica riflessiva integrata. La progettazione curricolare orientata alle competenze nella dimensione del Lifelong Learning". In C. Montedoro (a cura di), Le dimensioni metacurricolari dell'agire formativo. Angeli, Milano.
8   Tiberghien, G. (1988). "Psychologie cognitive, science de la cognition et technologie de la connaissace". In AAVV Informatique et société, Presses Universitaires de Grenoble, Grenoble, pp. 83 - 85.
9   Ceruti, M. (1989b), “Una possibile reinterpretazione del concetto di sistema: i progetti della natura e della storia”, in D. De Masi e D. Pepe (eds) I modelli organizzativi tra conoscenza e realtà, Angeli, Milano, p. 198.
10 Pievani, T. (2001) "Il soggetto contingente". In Rivista italiana di Gruppo Analisi, vol. XV, n. 2, p. 11.
11 Parisi, D. cit. in D. Pepe (1997), La psicologia di Piaget nella cultura e nella società italiane, Angeli, Milano., pp. 312 - 313.
12 Parisi, D. (2000), Scuola@.it, Mondadori, Milano, p. 88.
13 Ibidem.
14 Manca, S. & Sarti, L. (2001). "Il rapporto tra comunità virtuale e apprendimento". In D. Bolghini (a cura di) Comunità in rete Net learning. Etas, Milano, p. 10.
15 Ivi.p. 11.
16 S. Manca e L. Sarti (2002) "Comunità virtuali per l'apprendimento e nuove tecnologie". In TD, numero 25, p. 11.
17 Piaget, J. (1918), Recherche, La Concorde, Lausanne, pp. 97 - 98.
18 Musatti, C. (1946), “Anima”, Archivio di Psicologia, Neurologia e Psichiatria, vol. VII, n. I, pp. 8 - 20.
Musatti, C. (1955), Introduzione a J. Piaget La rappresentazione del mondo nel bambino (trad. dal francese), Einaudi, Torino, pp. VII - XIII.
19 Parisi, D.(2000), op.cit., p. 41
20 Ivi, p. 54.
21 Ivi, p. 59.
22 Ivi, p. 72.
23 Ivi, p. 49.
24 Ivi, pp. 59 - 60.
25 Parisi, D. (2001), Simulazioni, Il Mulino, Bologna, p. 277.
26 Ivi, p. 257.
27 Busino, G. (1991), “Du naturel et de l’artificiel dans les sciences sociales”, In Cahiers Vilfredo Pareto: Revue Européenne des sciences sociales, XXXI, n. 41, pp. 65 - 80.
28 Pilati, A. (2000). Prefazione a Th. Davenport e L. Prusak. Il sapere al lavoro. Etas, Milano pp. VII - XII.
29 Ivi, p. VIII.
30 Lipari, D. (2002). Logiche di azione formativa nelle organizzazioni, Guerini e associati, Milano, pp. 123 - 124.
31 Varchetta, G. (2001a). "Tracce per una formazione ri-unificata". In A. Fontana (a cura di). Lavorare con la conoscenza. Guerini e associati, Milano, pp. 134 -135.
32 Varchetta, G. (2001b). "Il metodo delle competenze". Postfazione a G. L. Cepollaro (a cura di), Sapere pratico, Guerini & Associati, Milano, p. 315.
33 Lipari, D. (2002). op. cit., p. 124.
34 Ibidem. 
 

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