* In “Formazione & Cambiamento”, n. 27, 2004 
 
Il testo qui proposto è la traduzione in italiano di una video-intervista al Prof. Yrjo Engestrom e condotta dal Prof. Chris Jones (1) il 16 gennaio 2002 presso il CSALT (Centre for Studies in Advanced Learning Technologies), Lancaster University, Gran Bretagna, http://csalt.lancs.ac.uk/alt/engestrom/.
L’intervista, con un piacevole tono informale, introduce in modo semplice alcuni concetti fondamentali del pensiero e dell’attività del professore finlandese. Chi ne conosce già la produzione potrà notare invece come altri concetti (es. il boundary-crossing) non vengono esplicitamente spiegati nell’intervista ma affiorano a più riprese dimostrando come essi costituiscano degli strumenti versatili, utilizzati in modo fluido da Engestrom nella sua attività.
Come emerge dall’intervista stessa, la riflessione di Engestrom procede a partire dal recupero e dallo sviluppo dell’opera di russo Vygotskij e della sua scuola, vedendo così il processo di apprendimento come legato alla partecipazione ad un sistema concreto di attività e coestensivo al processo storico, mai lineare e a-problematico, di trasformazione di reti di soggetti e di artefatti culturali, cognitivi e materiali, orientate a intervenire su specifici aspetti del reale (2).
L’importanza del contributo di Engestrom è riconducibile da un lato al crescente interesse per i temi dell’apprendimento situato (3); dall’altro al fatto che l’approccio suggerito fornisce strumenti utili alla riflessione e alla sperimentazione riguardanti i fenomeni di apprendimento e di innovazione che possono aver luogo nelle comunità di pratica.
Si ringrazia il Prof. Yrjo Engestrom per la gentile autorizzazione a tradurre e pubblicare il testo dell’intervista.

Chris Jones: Benvenuto al CSALT presso la Lancaster University. Ci piacerebbe che per prima cosa ci raccontassi qualcosa su di te e sulla fase attuale della tua ricerca e del tuo lavoro.
 
Yrjo Engestrom: Lavoro in due luoghi differenti: presso l’università di Helsinky dove dirigo un centro chiamato Center for Activity Theory and Developmental Work Research e a San Diego presso la University of California, Department of Communication e in particolare sono coinvolto nelle attività del Laboratory on Comparative Human Cognition. Si tratta di un movimento sia in senso geografico, tra due paesi molto differenti, sia di un movimento tra discipline diverse. A Helsinky, infatti, la mia homebase è l’Education e più specificamente la Adult Education, mentre a San Diego sono nel dipartimento di comunicazione e la mia cattedra è in comunicazione. Si tratta di una combinazione piuttosto strana e difficile. Tuttavia penso che entrambe le discipline, educazione e comunicazione, nella loro versione migliore, sono molto multidisciplinari. Mi trovo dunque ad un incrocio tra differenti scienze sociali, dove è possibile mettere insieme il micro ed il macro, la agency e la struttura, il processo e la struttura, per così dire, e farle parlare l’una con l’altra. Sento di trovarmi ad una sorta di linea di confine. E’ un luogo un po’ rischioso in cui situarsi perché, sai, potresti finire in una sorta di terra di nessuno, di solitudine; d’altra parte è un buon posto se puoi muoverti attraverso quei confini perché hai modo di incontrare un pubblico, di interlocutori e idee, in molteplici campi.
 
Chris Jones: Hai parlato della Activity Theory con cui sei stato strettamente identificato. Puoi spiegare come utilizzi tale approccio ed in che misura esso può essere utile nel comprendere l’apprendimento, in particolare per quanto riguarda le nuove tecnologie?
 
Yrjo Engestrom: Sì...La Activity Theory, o Cultural Historical Activity Theory come è il suo nome per intero, fu originata in Unione Sovietica negli anni ’20. Il suo padre iniziale fu Lev Vygotskij e i suoi stretti collaboratori Luria e Leont’ev. La loro agenda era di rivoluzionare la psicologia, di andare oltre il comportamentismo e oltre gli approcci ispirati dalla biologia, portare il concetto di cultura nella comprensione del modo di funzionare umano, e vedere l’uomo come mediato culturalmente, sempre preso attivamente in una particolare attività con i suoi specifici strumenti, il suo specifico linguaggio, le sue specifiche comunità. In questo senso, penso, per quanto mi riguarda, che l’Activity Theory nel suo stadio attuale è un approccio che prova a espandere radicalmente la nostra nozione di quella che è propriamente la specifica unità d’analisi di certi processi di apprendimento. Per esempio, l’apprendimento non è limitato a ciò che accade sotto la pelle, all’interno di in un singolo individuo. L’apprendimento dovrebbe essere compreso, e tutte le parti del processo dovrebbero essere comprese come qualcosa che è distribuito tra gli individui, tra i loro colleghi e collaboratori, tra i materiali, gli artefatti, gli attrezzi e le risorse semiotiche. In questo modo si espande l’unità d’analisi dell’apprendimento. Per esempio, inizi a guardare in modo diverso alla domanda “chi apprende?”. Ad apprendere non è soltanto l’individuo ma qualcosa come un preciso sistema d’attività funzionante, in moto.
 
Chris Jones: Tu usi il termine Expansive Learning. Potresti raccontarci qualcosa riguardo ciò che implica tale termine e quali differenze marca rispetto le tradizionali visioni dell’apprendimento?
 
Yrjo Engestrom: Sì. Ehm....E’ cruciale, io credo, che si veda l’apprendimento come un fenomeno che agisce su più livelli, non c’è una unica singola spiegazione dell’apprendimento. Molto utile per me è l’opera di Gregory Bateson. Bateson distingue tra apprendimento 1, apprendimento 2, apprendimento 3... L’apprendimento 1 riguarda il condizionamento: la gente impara ad agire in modo appropriato nell’ambiente attraverso le sue reazioni venendo rinforzata e altre volte punita. E’ un tipo fortuito, passivo, non cosciente, di apprendimento. Poi c’è una sorta di secondo strato che lui chiama apprendimento 2 che significa che noi apprendiamo anche le regole del gioco. Noi non apprendiamo soltanto attraverso i professori.... Chi apprende, apprende anche come diventare studente. Per esempio, noi apprendiamo a comportarci, apprendiamo ad acquisire un carattere, apprendiamo a essere socievoli e a stare con gli altri in quello specifico contesto, apprendiamo ad affermarci etc. Apprendiamo tutte queste cose che non sono nel curriculum esplicito, ufficiale. Così questo sarebbe l’apprendimento 2 in cui noi apprendiamo anche a sperimentare un po’ nel nostro ambiente, per vedere quanto possiamo piegare le regole, quanto possiamo deviare etc. Così questo tipo di apprendimento 2 è sempre implicato in tutto ciò che proviamo ad apprendere. Ma quello che è più rilevante per la mia personale ricerca è l’apprendimento 3, ed quello che chiamo expansive learning o learning by expanding. Questo si riferisce a processi in cui gli esseri umani a volte finiscono in situazioni altamente contraddittorie nei sistemi di attività, dove le richieste o i messaggi che sono loro diretti sono in conflitto in modo che in una certa misura ti senti preso in un “doppio vincolo”: qualsiasi cosa tu faccia è sbagliata, ah ah [ride] e non puoi farla giusta. In tali situazioni le persone qualche volta intraprendono quello che è chiamato apprendimento 3. Si allontanano dalla superficie e dal contesto per costruire una immagine più grande, un contesto più grande, per “espandere” il contesto. Ad esempio uno studente che è disturbato dalle tensioni prodotte dalla scuola, può essere capace di distanziarsi per vedere che “Oh, la scuola è in effetti solo una sorta di istituzione ma c’è di più...” Io credo che questo è, ad esempio, il modo in cui emerge il movimento radicale degli studenti, gli studenti vogliono andare “oltre” l’informazione data. Learning by expanding o apprendimento 3 è in gran misura andare oltre l’informazione data per costruire un nuovo set di criteri, una più vasta immagine, un più vasto oggetto di attività in cui liberarsi dai limiti del particolare setting in cui stai funzionando rendendoti in grado di creare nuovi criteri. Così l’apprendimento 3 o expansive learning riguarda molto l’apprendere qualcosa che non è ancora lì, dove apprendi mentre costruisci una nuova attività.

Chris Jones: Quelle tre forme di apprendimento… le vedi come incrementali, poggiandosi l’una sull’altra, o le vedi come combinate in una attività complessiva?
 
Yrjo Engestrom: Io credo che l’apprendimento 1 e l’apprendimento 2 avvengono sempre, in ogni momento, che noi lo vogliamo o no. L’apprendimento 3 è un’occasione rara. Vediamo nel tempo una sorta di piccoli inizi di apprendimento 3, che prendono forma di interrogativi e devianza. Rendere possibile o sopprimere una devianza individuale è il modo in cui la devianza si dà. Vediamo sostanzialmente marginalizzare, stigmatizzare, a volte mettere a silenzio questi fenomeni perché l’apprendimento 3 è pericoloso, le persone potrebbero impazzire, essere viste come strane, incapaci di funzionare normalmente... Così è essenziale che, per avere successo, l’expansive learning richieda che tu crei una alleanza o un network. L’espansione deve essere anche espansione sociale. Un processo individuale è infatti troppo rischioso. Sai, diventi pazzo nel senso che la maggioranza ti definirà pazzo perché la tua concezione di ciò che è rilevante e giusto è così radicalmente diversa dalle norme esistenti che.... E’ davvero essenziale qui che l’apprendimento 3, nella misura in cui diviene parte della vita normale, con effetti continui nel tempo, richiede un sostegno e una cura molto speciali perché come ho detto la cosa più comune cui si assiste è la soppressione.
 
Chris Jones: Tu usi il termine Network e noi usiamo il termine Network Learning .. Come vedi cambiare attività ed educazione in relazione all’introduzione di tecnologie in rete?
Yrjo Engestrom: Vedo un fenomeno a due facce. Da una parte vedi questa radicale immersione ed inclusione nel senso che puoi essere immerso ed incluso in una enorme varietà di interazioni e di link con altre persone, di attività e risorse culturali. E’ il lato ottimistico della cosa. Allo stesso tempo, sai, la logica del mercato, la logica di operazioni strettamente individualiste nei network è terribilmente forte al momento, anche nel campo dell’educazione. Così c’è molta pressione nel trasformare le tecnologie di rete in meri meccanismi di mercato, luoghi del mercato, in cui ognuno è lì solo per guadagnare qualcosa per se stesso. In cui ognuno è lì solo per avvicinarsi, vedere e forse comprare o vendere qualcosa ma non c’è comunità, nessun genuino, diciamo... “sforzo collaborativo” attorno al produrre qualcosa. Se si tratta solo di vendere e comprare, dov’è la produzione del nuovo? Così il rischio di questa potente tecnologia di rete è che tende a mercificare, o almeno permette la mercificazione della conoscenza in pacchetti che sono comprati e venduti individualmente. Per superare questo fenomeno, o almeno controbilanciarlo, si ha bisogno, credo, di fare particolare attenzione a questioni come la creazione di comunità, nei networks... così che i nodi e networks non sono solo individui ma anche formazione di comunità. In questo senso credo che sia davvero molto importante studiare non solo la versione di mercato del network ma anche il movimento opensource attorno a Linux. La creazione del sistema operativo Linux è un buon esempio di un fenomeno interessante dove c’è una genuina formazione di comunità. Sai, puoi parlare di comunità di interesse e di comunità di pratica che forse, in un certo senso, producono una sorta di activity system. Radicalmente disperse nel tempo e nello spazio ma continuando a condividere un oggetto attorno al quale producono qualcosa di nuovo e non solo consumo e scambio. Così penso che si ponga questa questione che suona un po’ “Come assicurarsi che le tecnologie di rete permettano la produzione di nuovi valori d’uso? Come assicuriamo che non siano orientate individualisticamente andando invece oltre il consumo, oltre il solo comprare e vendere e oltre nodi definiti solo come individui?” Queste sono le sfide e penso sia un campo decisamente molto eccitante.
 
Chris Jones: Se noi dessimo una cornice temporale a tutto questo, quali dovrebbero essere i temi principali che dovrebbero emergere nell’apprendimento in rete nei prossimi due o tre anni?

Yrjo Engestrom: Al momento credo che ecologicamente parlando, sai, quello che vediamo è certamente il radicale incremento della cosiddetta “mobile technology” che significa che l’estensione e le possibilità del network diventano molto più indipendenti da un luogo particolare. Venendo dalla Finlandia, vedendo quello che sta facendo la Nokia con i suoi sforzi per rendere internet accessibile da ognuno in ogni momento, da un lato credo ci sia molta propaganda di lancio, ovviamente, e forse molte aspettative irrealistiche, mentre per altri versi molto sta avvenendo realmente nella direzione di rendere le cose più mobili. Questa mobilità è molto importante e noi non siamo probabilmente ancora del tutto consapevoli delle sue implicazioni per l’educazione. Ad esempio, quando vedo mio figlio che è un abile skateboarder, ho un esempio di cultura della mobilità. Gli skateboarders non vanno più esclusivamente in un singolo posto come uno skatepark. Vanno per la città muovendosi come nomadi, mandandosi messaggi, sms... ( e nel futuro probabilmente si invieranno video)... mostrando che qui c’è un buon posto per fare skate, questa particolare rampa, questo particolare corrimano con cui è costruita questa scala di questo palazzo, ah ah (ride), è adatta per andarci con lo skate e tutto questo significa che c’è un riunirsi e disperdersi - riunirsi e disperdersi, una sorta di pulsazione sia dal punto di vista sociale che dell’informazione. Questo implica una nozione molto differente di network, non si tratta più solo di nodi stabili che sono connessi. I nodi stessi si muovono radicalmente. Credo sia un aspetto molto interessante cui dobbiamo fare molta attenzione nell’educazione. Noi nell’educazione pensiamo ancora in termini di “OK, qui ci sono i terminali così lasciate venire qui i ragazzi, ai terminali e iniziamo il network”. Ma se i terminali si muovono, qualcosa di importante cambia. “Che cosa” non è ancora del tutto chiaro ah ah
 
Chris Jones: Per finire, il pubblico di questa intervista sono networked learning practitioners che stanno sviluppando il loro lavoro per il dottorato. Quale potrebbe essere il tuo messaggio ai partecipanti se tu dovessi proporre loro una cosa in particolare su cui riflettere intensamente?
 
Yrjo Engestrom: Ok. Io direi, personalmente... è solo una mia osservazione personale e teorica... di essere consapevoli che l’apprendimento in network, i mondi virtuali e digitali, non dovrebbero essere concepiti come mondi chiusi e isolati. In altre parole ci sono aspettative enormi nel pensare questi network come completamente chiusi in se stessi, nel senso che...sai... ognuno può assumere qualsiasi identità, ognuno può recitare qualsiasi ruolo, ogni informazione è accessibile etc... Comunque esiste una connessione, una interfaccia con il mondo esterno, con la nostra esistenza fisica, in cui dobbiamo mangiare e camminare... e vivere con la gente reale. Tutto suona un po’ come sospeso o escluso,isolato, l’esperienza di un mondo chiuso. E’ una sfida… Penso che necessitiamo di mondi mischiati, mondi che attraversano quei confini e divengano ibridi. Così in un certo senso penso che un esempio può venire da un buon libro di narrativa fantastica come Harry Potter. Il mondo di Harry Potter è differente perché in effetti, nella vita quotidiana, nella loro scuola di maghi attraversano i confini. Non dovremmo costruire mondi isolati, dovremmo costruire scuole dei maghi in cui vi sono azioni problematiche che implicano riflessione affrontando problemi riguardanti la vita quotidiana, insieme e grazie a quei poteri e possibilità magiche offerte dal web. In questo senso ci sarebbe sempre un attraversamento dei confini. A volte penso ai MUD, multiusers dungeons, che “catturano” gli utenti per giorni e giorni, in un mondo isolato. Mi chiedo: Che cosa succede quando arriva l’ora di cena? Cose del tipo: Come ti relazioni al mangiare, come ti relazioni al tuo corpo? Come ci fai i conti? Oppure tutto scompare? Difficile...
Dovremmo prestare particolare attenzione a questo fenomeno di attraversamento dei confini. 
 
Note
1 (http://www.lancs.ac.uk/fss/edres/staff/jones/)
2 Tra la letteratura in italiano cfr. C. Pontecorvo, C. Zucchermaglio, A.M. Ajello (a cura di), I contesti sociali dell’apprendimento, Led, Milano, 1995;C. Zucchermaglio, Vygotskij in azienda. Apprendimento e comunicazione nei contesti organizzativi, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1996; A.M. Ajello (a cura di), La competenza, Il Mulino, Bologna, 2002; F. Roma,  Contesti lavorativi e apprendimento: il contributo dell’Activity Theory, in “Formazione e Cambiamento”, Anno IV , n. 26, marzo 2004 
3 Oltre ai testi già citati, Cfr. D.Nicolini, S.Gherardi, D. Yanow (a cura di), Knowing in Organizations: A Practice Based Approach, Armonk, NY, ME Shape, 2003.