di Piergiorgio Reggio
 
*In “Formazione & Cambiamenti”, numero 22, settembre 2003
 
 
Premessa
 
Numerose e significative sono le trasformazioni che hanno interessato, in questi anni, il panorama assai composito della formazione con gli adulti. Processi diversi - di ordine economico, organizzativo, sociale - hanno contribuito a generare innovazioni formative riguardanti contenuti, metodologie e finanche strategie complessive. In tal senso, ad esempio, competenze aspecifiche, trasversali si sono venute imponendo come traguardi significativi di percorsi formativi; le trasformazioni del lavoro e delle organizzazioni richiedono sempre più la padronanza, da parte dei soggetti, di capacità autonome non solo nell'esecuzione delle attività professionali ma nella definizione e nello sviluppo delle proprie competenze. Parliamo di "autoformazione" quando vogliamo riferirci non solo all'impegno del soggetto nello sviluppo delle proprie competenze ma quando intendiamo sottolineare l'importanza della direzionalità che egli può assegnare al proprio percorso. Tale sforzo di scegliere le proprie mete formative, privilegiare contenuti e metodologie, individuare tempi adatti è possibile se l'adulto possiede, utilizza e sviluppa una serie di competenze sottese all'agire formativo. Si tratta di una trama, un reticolo sul quale è possibile disegnare attività, itinerari, opportunità. Un' espressione quale "apprendere ad apprendere" è assurta a slogan di molte politiche formative dentro e fuori le organizzazioni proprio ad indicare una competenza che fa da trama a successive possibili acquisizioni. 
In tale prospettiva di innovazione formativa, si sono venuti moltiplicando - in questi anni - programmi e proposte metodologiche riguardanti lo sviluppo di competenze di apprendimento, pensiero, soluzione di problemi1. La formazione manageriale, quella professionale, i percorsi per i giovani in ingresso nel mondo del lavoro come le proposte di riqualificazione per lavoratori, sono alcuni degli ambiti di sperimentazione che sono stati maggiormente interessati dalla diffusione di questo genere di attività. Nonostante la significatività di molti interventi realizzati, resta significativo il divario tra consapevolezza teorica relativa all'importanza di tale innovazione e la concretezza degli interventi, spesso ancora - nel nostro Paese - contraddistinti da episodicità, assenza di condizioni di sperimentazione, disorganicità. 
Tra le proposte che si sono venute diffondendo uno spazio rilevante - da un punto di vista culturale e metodologico - è stato occupato dal Programma di Arricchimento Strumentale (PAS), elaborato dallo psicologo di origine rumena Reuven Feuerstein. In questo testo ci soffermeremo su alcuni aspetti di rilevante interesse di questa proposta, in ordine ad una più ampia prospettiva di innovazione formativa nel campo dell' "educabilità cognitiva", quale contributo alla qualificazione della formazione con gli adulti. 
   
 
1. Insegnare a pensare è possibile?
 
Questa domanda pare assolutamente legittima e, nel tempo stesso, assai ardua. Ancora più provocante essa risulta essere se riferita alla condizione degli adulti, alla quale di consueto associamo condizioni di rigidità, conformazione degli atteggiamenti e delle abitudini. Eppure è intorno ad essa che ruota la riflessione e la proposta di Feuerstein. Occorre premettere che le caratteristiche delle origini del Programma elaborato dallo psicologo allievo di Piaget erano radicalmente diverse da quelle dei contesti rispetto ai quali noi oggi ci poniamo la stessa domanda. E' richiesto, quindi, per consentire una riflessione adeguata e produttiva, uno sforzo significativo di  adattamento, innanzitutto culturale, che consenta di situare i contributi più significativi della proposta di Feuerstein nell'attuale panorama specifico della formazione degli adulti. Tale atteggiamento di adattamento critico, di contestualizzazione possono, d'altronde, permettere di evitare gli opposti rischi di enfatizzazione entusiastica, da un lato, e di svalorizzazione radicale dall'altro. Tali posizioni hanno, di fatto, spesso connotato dibattiti e analisi intorno al pensiero ed alle proposte di Feuerstein, impedendone una corretta valorizzazione2. Forse tra le ragioni di questo genere di barriere alla comprensione della proposta di Feuerstein è possibile considerare anche la stretta commistione, in essa presente, tra diversi livelli. La riflessione e la pratica proposte ormai da decenni in numerosi Paesi del mondo intrecciano infatti tre dimensioni:
 
- teorico-scientifica, relativa alle concezioni di apprendimento e sviluppo sviluppate da Feuerstein a partire da un'impostazione originariamente piagetiana ma, successivamente, affine anche ai contributi di Vygotsky
- educativa, con la proposta di un Programma (PAS) strutturato e codificato, includente definizione di obiettivi, predisposizione di strumenti, ruolo del formatore…
- etica, interessante la sfera dei valori proposti attraverso il programma. Si può pensare, in tal senso, alla fiducia nello sviluppo di tutte le persone, al riconoscimento di elementi comuni di dignità di ogni appartenente alla specie umana
 
In particolare, la presenza significativa del terzo livello genera  effetti sia sul piano scientifico, come su quello educativo, risultandone, ovviamente, a sua volta, influenzata. La pratica originariamente riabilitativa ed educativa di Feuerstein è ispirata da una forte intenzionalità, una fiducia profonda nelle possibilità di sviluppo di ogni persona ed, inoltre, da una fiducia nell'educazione come modalità per consentire lo sviluppo. Per Feuerstein “L’Uomo è il solo essere capace di decidere la direzione che vuole prendere nella propria vita (Feuerstein, 1990, p.151). Egli si muove in un orizzonte di “perfettibilità umana” (Hadji, 2000), secondo il quale – in base ad una decisione etica – l’Uomo diventa obiettivo in sé, soggetto attivo del proprio sviluppo e non semplice oggetto. Significative sono anche le tracce del pensiero ebraico in questa impostazione etica e culturale (Kopciowski Camerini, 2002), così come rilevanti sono le implicazioni pedagogiche di questo approccio: se gli esseri umani vengono visti come perfettibili, anche la persona concreta che stiamo educando lo è. In quanto educatore, io mi riconosco in grado di modificare la persona che educo, così come l’esperienza educativa modificherà me stesso; analogamente la società nel suo insieme è soggetta a processi di modificazione e perfettibilità. Tra educazione e sviluppo, così come tra apprendimento e sviluppo, Feuerstein stabilisce un nesso circolare, frutto di influenzamenti reciproci, rimandi (Blagg, 1991). Lo sviluppo può avvenire grazie alla capacità del soggetto di cogliere circostanze, opportunità nella vita quotidiana ed assumerle quali esperienze di apprendimento. In tale prospettiva diventano strategiche le capacità di pensiero, lo sviluppo di consapevolezza circa le proprie modalità cognitive, la competenza nell’affrontare problemi e nell’adottare strategie efficaci di apprendimento. Ma tali competenze sono realmente insegnabili? A  questa domanda cruciale,  Feuerstein risponde attraverso la proposta di alcuni elementi fondanti:
- necessità di una valutazione dinamica delle potenzialità cognitive, alla quale ha risposto attraverso l'elaborazione di un modello nato in aperta opposizione alla logica all'epoca imperante degli IQ. LPAD (Learning Potential Assessment Device) è un sistema di valutazione dinamica delle potenzialità cognitive dei soggetti
- concetto di modificabilità cognitiva strutturale, come fondamento della visione del soggetto in apprendimento
- proposta dell'esperienza di apprendimento mediata, quale strategia formativa fondante.
 
In considerazione del nostro interesse specifico, in questa sede prevalentemente di natura formativa, ci concentreremo sugli ultimi due aspetti.  
 
L’interrogativo centrale intorno al quale è impostato il Programma di Arricchimento Strumentale (P.A.S), messo a punto da Reuven Feuerstein, è costituito dalla domanda se sia possibile, e come, suscitare negli individui cambiamenti significativi delle modalità di uso del pensiero (Feuerstein, 1980). Il contributo di Feuerstein, in questa prospettiva di ricerca, prende le mosse dalla focalizzazione di due elementi fondanti l’intera impostazione del Programma.
 
L’apprendimento scaturisce dalla risposta ad uno stimolo ma ciò non avviene in modo meccanico: tra stimolo e risposta è centrale il comportamento del soggetto, dell’organismo che apprende. A quest’ultimo, quindi, e al contesto nel quale è inserito vanno rivolte specifiche attenzioni quando ci preoccupiamo di rendere più efficace l’apprendimento. Nell'esperienza di apprendimento mediato si viene ad attuare un cambiamento della natura stessa dello stimolo e nel soggetto che apprende. 
 
Le componenti dell’atto mentale sono, anche per Feuerstein, "Input, Elaborazione, Output". La sottolineatura significativa di Feuerstein è però relativa al fatto che, nel caso di difficoltà sul piano cognitivo, la nostra attenzione viene subito posta spontaneamente sulle possibili carenze della fase di Elaborazione. In tal senso si va spesso alla ricerca, ad esempio, di disfunzioni dei processi logici. In soggetti normodotati, che danno vita a quotidiane prestazioni cognitive di livello soddisfacente nella vita quotidiana, le difficoltà nell’affrontare problemi complessi, situazioni difficili rimandano piuttosto a carenti funzionamenti nella gestione delle fasi di Input e Output. Si può trattare, ad esempio, a livello di Input di difficoltà nella percezione chiara e precisa dei dati di una questione, di imprecisione e inesattezza nell’acquisizione degli stessi dati. A livello di Output, invece, possono esistere difficoltà quando la nostra modalità di comunicazione è egocentrica e non rivolta agli interlocutori, oppure quando incontriamo blocchi nella espressione degli esiti del processo cognitivo che abbiamo effettuato. Queste e altre sono le carenze individuabili nelle fasi di Input e Output; da tali inadeguatezze scaturiscono spesso, anche per soggetti con una vita professionale e sociale ben integrata, prestazioni non pienamente soddisfacenti oppure, più semplicemente, diseconomie nell’uso del pensiero. Proprio la constatazione della crucialità di una corretta gestione delle funzioni cognitive correlate alle fasi di Input e Output dell’atto mentale apre possibilità di intervento formativo e di possibile cambiamento del soggetto, che  può essere sollecitato a riconoscere e modificare quanto riesce ad osservare concretamente.
 
Prendendo le mosse, come si è detto, dal modello piagetiano  "stimolo-organismo-risposta" l'attenzione di Feuerstein si rivolge maggiormente all'irrinunciabilità di predisporre situazioni di apprendimento mediato. Per attuare tali situazioni, il formatore - operando una trasposizione verso i contesti formativi rispetto ai quali stiamo ragionando - individua, enfatizza, interpreta elementi del contesto in modo che i soggetti in apprendimento possano costruire una propria visione del mondo attribuendo significati validi all'esperienza che hanno fatto (Blagg, 1991, p.18). La mediazione assume caratteristiche, quindi, di esplicita intenzionalità educativa ed agisce tra soggetto ed esperienza nel contesto. Riferendoci all'apprendimento degli adulti nelle situazioni professionali (o di preparazione alle professioni) potremmo dire che la mediazione consente ai soggetti di avvicinare il contenuto di apprendimento (la competenza professionale, un determinato argomento, un problema…) attraverso la padronanza delle proprie funzioni cognitive, cioè del proprio modo di pensare. Il fatto che tali contenuti siano spesso percepiti dai soggetti come difficili, complessi, non interessanti, lontani da sé richiede, appunto, forme di mediazione, cioè di interpretazione contestualizzata dell'oggetto di apprendimento. In sostanza, il formatore si interpone tra soggetto e contenuto di apprendimento proponendosi come mezzo per accedere alla comprensione. La sua funzione è, però, essenzialmente metodologica, paradigmatica di un modo di procedere dinanzi alla conoscenza, non riguardando il versante dei contenuti. Il PAS propone una serie di strumenti formativi che consentono di predisporre situazioni di apprendimento mediato e che non  contengono, di fatto, se non in minima parte, contenuti culturali; non richiedono, cioè, basi culturali e di istruzione quali requisiti per l'utilizzo. Tale caratteristica ne consente l'applicazione in situazioni diverse e con persone di differente condizione culturale, sociale, professionale. 
Un'osservazione critica, derivata dall'esperienza diretta, che è possibile formulare, a questo proposito, è relativa al rischio implicito, sia pure non presente nell'intenzionalità del formatore che propone situazioni di apprendimento mediato, di proporre "il" modello di pensiero, inteso quale la via ottimale per impiegare le funzioni cognitive in modo efficace, economico, produttivo. Pur riconoscendo che si danno differenti modalità, ad esempio, per stabilire comparazioni, come per utilizzare la deduzione o l'induzione, oppure per stabilire nessi temporali o causali…è presente il rischio di assolutizzare la modalità che, a titolo paradigmatico, viene proposta alle persone in formazione. Ad essi, infatti, è lasciata la responsabilità, una volta acquisito il paradigma, eventualmente di discostarsene in base alle proprie propensioni, attitudini, come alle specificità del contesto nel quale si trovano ad utilizzare quella determinata funzione. Sappiamo, però, quanto tale autonomia del soggetto sia ardua da conquistare e come evidente sia la tendenza, dei giovani come degli adulti, a riprodurre modalità sperimentate, ancor più se "validate" dalla situazione formativa vissuta. Il rischio è quello di indirizzare, sia pure contro la propria intenzionalità formativa, ripeto, verso acquisizioni fortemente convergenti, modellizzanti proprio mentre si dichiara di muoversi in un orizzonte di autoformazione, centralità del soggetto, autonomia dell'apprendere. In realtà la consapevolezza di questo rischio è presente in Feuerstein, che utilizza il concetto di "flessibilità cognitiva" proprio ad indicare la capacità di applicare le competenze ed i comportamenti acquisiti in modo non rigido, stereotipato ma, anzi, sempre adattato alle situazioni (Guetta, 2001) Forse radici di questa contraddizione, che personalmente trovo ricca di sollecitazioni critiche e, quindi, da accettare e non rimuovere, possono essere individuate nell'accettazione - da parte  di Feuerstein - del concetto vygotskyano di    "trasmissione culturale e sociale".
 
 
2. La strategia formativa del PAS
 
Il programma si basa sulla sollecitazione sistematica di funzioni cognitive, il cui corretto esercizio si presenta come propedeutico e preliminare rispetto alle stesse operazioni, così come sono state individuate da Piaget.
I 14 strumenti che compongono il programma sono dedicati ciascuno allo sviluppo di una determinata funzione cognitiva, anche se - ovviamente - un unico strumento sollecita, nel tempo stesso, diverse modalità di uso del pensiero, quindi anche altre funzioni3.
Gli strumenti del programma sono disposti secondo una logica di crescente complessità. Il primo strumento (“Organizzazione dei punti”) ha carattere preliminare, orientativo e diagnostico e consente di intraprendere successivi percorsi anche differenziati. 
Solo in rari casi di formazione di lunga durata vengono proposti tutti gli strumenti. Normalmente il formatore progetta un percorso che si muove attraverso più strumenti e, all’interno di questi, ne utilizza parti specifiche. Ogni strumento è composto da un numero variabile di pagine (da 20 a 30), riunite in unità accomunate dalla focalizzazione su un particolare aspetto di una determinata funzione cognitiva.
Anche le unità sono ordinate secondo una logica crescente di complessità e difficoltà. I partecipanti vengono, quindi, impegnati nella gestione di processi mentali sempre più elevati.
In tal senso la strategia adottata da Feuerstein utilizza il concetto di “Zona Prossimale di Sviluppo” elaborato da Vygotsky (Vygotsky, 1978). L’apprendimento proponibile con possibilità di successo è quello che va ad occupare (e conseguentemente incrementare) la zona di sviluppo più vicina alle condizioni del soggetto in quel particolare momento. Si configura una concezione di apprendimento non riducibile ad una semplice successione di cambiamenti, ma simile piuttosto a un processo dialettico, caratterizzato da regolarità e periodicità, trasformazioni qualitative.
 

Il PAS si presenta come uno strumento didattico “carta e matita”; a questa semplicità di utilizzo corrisponde, però,  uno sforzo significativo di progettazione didattica. Il formatore si appresta alla programmazione delle sessioni formative – solitamente della durata di 3-4 ore – considerando, in particolare, due aspetti determinanti: da un lato, gli obiettivi dell’intervento formativo e, dall’altro, le caratteristiche cognitive dei partecipanti. Lo strumento principale di programmazione didattica delle sessioni è la cosiddetta “carta cognitiva”. Si tratta di una guida di criteri ai quali fare riferimento per decidere il percorso di una singola sessione come di un intervento complessivo. La carta cognitiva è lo strumento che permette al formatore di adattare (mediare) gli strumenti del Programma ad un gruppo specifico in formazione.

I criteri contenuti nella carta cognitiva sono i seguenti.
 
-> Contenuto proposto. Sebbene il Programma, come detto,  sia impostato senza riferimento a contenuti disciplinari specifici,  ogni strumento (e, all’interno di esso, ogni pagina) ha comunque un proprio tema. Ad esempio, lo strumento “Relazioni familiari” propone contenuti relativi ai legami di parentela, “Orientamento spaziale” alle coordinate di orientamento (punti cardinali, destra-sinistra, alto-basso...). In fase di progettazione è importante considerare il livello di familiarità dei partecipanti con i contenuti che verranno proposti, il loro possibile atteggiamento psicologico nei confronti dei temi.
 
-> Modalità di espressione del compito (linguistica, iconica, numerica...), che può creare alle persone maggiore o minore facilità di approccio ed esecuzione.
 
-> Fase del processo cognitivo sul quale la pagina richiede di lavorare: input, elaborazione o output.
 
-> Operazioni cognitive che vengono implicate.
 
-> Livello di astrazione della pagina (e dello strumento). Alcuni strumenti costringono ad un maggiore livello di utilizzo del pensiero logico-astratto rispetto ad altri. E’ il caso di strumenti quali, ad esempio, Relazioni Transitive o Sillogismi. Questa caratteristica va tenuta in considerazione per una impostazione graduale e intenzionale dell’iter formativo.
 
-> Livello di complessità del compito proposto dalla pagina. Come si è già detto, la logica di strutturazione degli strumenti è ordinata dal semplice al complesso. Il grado di complessità della pagina va quindi riconosciuto in fase di progettazione.
 
-> Livello di efficienza con cui è richiesto ai partecipanti di eseguire il compito e, di conseguenza, livello di efficienza dell’utilizzo della funzione cognitiva implicata.
 
Procedendo nella fase di gestione didattica del Programma, assume centralità la già considerata funzione di “mediazione”. Questa funzione, viene esercitata, all’interno del gruppo, prevalentemente dal formatore. In fase avanzata di una attività formativa possono essere sollecitate - sempre dal formatore - anche  forme di mediazione reciproca tra i partecipanti. Riferendoci per ora al ruolo specifico del formatore evidenziamo come egli agisca principalmente una mediazione tra compito (situazioni - stimolo proposte) e soggetti. Tale mediazione è rivolta sostanzialmente a:
 
favorire il riconoscimento da parte dei soggetti delle strategie mentali impiegate, la comprensione della natura e dell’utilità dei processi cognitivi. A questo proposito Feuerstein usa il termine insight in un’accezione di progressiva presa di coscienza;
consentire l’individuazione degli errori e delle strategie di superamento;
sostenere le persone nello sforzo dinanzi alla risoluzione del compito, sviluppando il loro sentimento di competenza;
aiutare la individuazione delle potenzialità personali e delle risorse da valorizzare;
sollecitare la capacità di “trascendere” dal compito generalizzando e trasponendo le indicazioni in esso contenute dal punto di vista cognitivo verso altri contesti, situazioni;
far apprezzare i vantaggi reali della mediazione ai fini della risoluzione del compito e della consapevolezza rispetto ai processi cognitivi;
sollecitare i partecipanti a stabilire “bridging”, collegamenti, analogie tra i “principi” di miglioramento delle funzioni cognitive individuati in aula e situazioni della vita lavorativa o quotidiana. In tal modo si tende a favorire la trasposizione consapevole delle acquisizioni formative nei contesti operativi.
 
La funzione di mediazione si presenta, in tal senso, come una forma di sostegno individualizzato – il gruppo, infatti, è strumentale – allo sviluppo di capacità di metacognizione, riflessione sui processi mentali attivati.
In estrema sintesi, i principali criteri della mediazione secondo Feuerstein possono essere così riassunti.
 
Intenzionalità e reciprocità. Le situazioni - stimolo vengono scelte e proposte intenzionalmente dal mediatore; intenzionale è anche, da parte sua, la scelta di insistere su una specifica funzione cognitiva. Alla intenzionalità formativa del mediatore dovrebbe corrispondere una risposta sintonica dei partecipanti; in questo modo si sviluppa una situazione di reciprocità comunicativa e del processo formativo.
Trascendenza dalla situazione contingente rappresentata dal compito assegnato (la pagina di un determinato strumento) per accedere a obiettivi più lontani e generali. Ci si riferisce ad altre situazioni sperimentate personalmente dai soggetti; il mediatore facilita la formulazione di principi - guida generali per una gestione conveniente delle funzioni cognitive.
Mediazione del significato del compito assegnato per ognuno dei partecipanti. Pur non essendo riferiti, come abbiamo già evidenziato, a contenuti specifici di apprendimento, gli strumenti del Programma non sono neutrali ma assumono per le persone significati diversi in ordine a differenti reazioni affettive, motivazionali. Il formatore media tra contenuto dell’oggetto (compito) e significato ad esso attribuito dal soggetto, favorendo lo sviluppo di atteggiamenti produttivi delle persone nella situazione di apprendimento.
Mediazione del sentimento di competenza. Lo sviluppo del sentimento di competenza è requisito essenziale per una piena valorizzazione delle competenze cognitive. Il mediatore, con attenzioni e interventi individualizzati, sostiene i soggetti nel conquistare sentimento di competenza attraverso la riuscita (ed il riconoscimento) nell’affrontare i compiti.
Regolazione e controllo del comportamento individuale di apprendimento. Attraverso questa dimensione specifica della mediazione, il formatore si prende cura delle modalità individuali dei partecipanti nell’affrontare la conoscenza. Quando il mediatore fa osservare difficoltà, errori, incompletezze non svolge una funzione di tradizionale insegnamento ma di controllo del processo, teso a favorire lo sviluppo di modalità di autoregolazione da parte dei soggetti stessi. L’aspetto regolativo della mediazione è complementare a quello precedente dello sviluppo del senso di competenza: si corregge e apprezza realisticamente per dare credibilità ed efficacia all’esperienza di apprendimento mediato.
Comportamento di “sfida”. Si tratta di una attenzione specifica del mediatore, tesa a favorire l’adozione, da parte dei soggetti, di modalità attive, di coinvolgimento nel rapporto con il compito assegnato. Le pagine degli strumenti sono disposte, come si è detto, secondo un criterio di crescente complessità e presentano spesso situazioni impegnative sul piano cognitivo, che richiedono un buon utilizzo delle funzioni cognitive. Il sentimento di sfida,se adottato opportunamente e correlato ad altre dimensioni della mediazione, quali lo sviluppo del sentimento di competenza e la regolazione dell’apprendimento, produce motivazione nelle persone e predispone ad atteggiamenti positivi ed intraprendenti nei confronti delle situazioni di apprendimento.
Comportamento di cooperazione e condivisione. La formazione allo sviluppo delle competenze cognitive effettuata con l’utilizzo degli strumenti del P.A.S. si svolge in piccoli gruppi; si presenta tuttavia come un lavoro “in gruppo” ma non “di gruppo”. Si intende che rimane individuale la fase di risoluzione delle situazioni - stimolo proposte, mentre in gruppo viene effettuata la fase di condivisione e confronto delle strategie adottate, di individuazione delle difficoltà e delle modalità di superamento, di formulazione di principi - guida. Tutte queste attività possono avere maggiore efficacia se, attraverso adeguati interventi di mediazione effettuati dal formatore, vengono valorizzati i comportamenti cooperativi e di condivisione dei punti di vista, degli stili cognitivi.
Differenziazione psicologica. Un gruppo in formazione, sia pure di dimensioni ridotte, presenta una pluralità - talvolta assai ricca - di stili di pensiero, modalità comportamentali e comunicative, tratti di personalità. Pur centrando la propria attenzione sulle modalità di gestione -da parte dei soggetti - delle funzioni cognitive, il formatore prende in considerazione le principali caratteristiche dei partecipanti che richiedono opportune differenziazioni e adattamenti delle modalità formative.
Mediazione della ricerca degli obiettivi di pianificazione e loro realizzazione. Il processo attraverso il quale il soggetto si confronta con il compito trova un momento particolarmente delicato nella individuazione degli obiettivi che egli intende perseguire, nelle strategie di organizzazione (pianificazione) del percorso che sceglie di adottare. Il mediatore è attento alla facilitazione di questa operazione di focalizzazione di un piano orientato agli obiettivi e, successivamente, sostiene i partecipanti nella realizzazione della strategia scelta.
Mediazione della consapevolezza di essere modificabili e di poter cambiare. Il Programma si presenta come uno dei possibili strumenti da adottare per praticare la strada della “Educabilità cognitiva”, cioè di un processo di cambiamento, anche per gli adulti, delle proprie modalità concrete di utilizzo del pensiero. La mediazione in questa direzione è tesa, innanzitutto, a favorire lo sviluppo della consapevolezza di essere soggetti che possono modificare i comportamenti; la mediazione della modificabilità valorizza la motivazione personale e consente l’utilizzo delle risorse personali. Siamo, in questo caso, nell’ambito dei processi di self-empowerment sul piano cognitivo.
 
La mediazione all’interno del PAS fa anche riferimento a criteri più di ordine generale e valoriale che non sono di secondaria importanza ma che si collocano ad un livello di ispirazione di fondo del Programma. Si tratta della mediazione della alternativa ottimista, utilizzata per valorizzare le risorse individuali e orientarle al successo e la mediazione dell’appartenenza al genere umano, che esprime il valore antropologico e filosofico del Programma.
 
 
3. Formazione alle capacità di pensiero e innovazione formativa
 
Il PAS, come altri programmi in precedenza citati, ha goduto, in anni recenti, di una certa fortuna nell’ambito della formazione con gli adulti. La considerazione critica di queste esperienze consente oggi di tracciare alcune linee di sviluppo di interventi rivolti allo sviluppo delle competenze di pensiero, sia all’interno che all’esterno delle organizzazioni.  Consideriamo alcune prospettive, tentando di evidenziarne le principali implicazioni sul piano formativo, culturale e metodologico.
 
Arricchire le situazioni di apprendimento esperienziale nelle organizzazioni.
 
Diverse e sempre più diffuse sono le forme di apprendimento esperienziale che vengono realizzate nelle organizzazioni. Tutoring, coaching, affiancamento possono essere, di fatto, lette come soluzioni riconducibili ad una didattica della mediazione (Reggio, 2003), intesa come facilitazione del rapporto tra soggetto ed organizzazione, tra soggetto e contenuti professionali da acquisire o sviluppare. Spesso tale forma di mediazione avviene spontaneamente, in modo occasionale e dettato dalle condizioni organizzative; al contrario, essa può essere intenzionalmente proposta quale strategia che accompagna e rinforza le esperienze di apprendimento sul lavoro. Tutor, coach, personale esperto che viene affiancato possono accrescere l’efficacia formativa della propria azione sviluppando, innanzitutto, capacità di riconoscimento delle proprie modalità di pensiero e di insegnamento. Inoltre, una maggiore consapevolezza delle modalità di apprendimento delle persone ad essi affidate può consentire loro di individuare strategie di argomentazione, spiegazione più efficaci. Riconoscere come le funzioni cognitive vengono esercitate rappresenta il primo passo per aiutare i soggetti nel migliorare le proprie capacità di pensiero, di apprendimento ed anche lavorative. Analogamente, interventi di sviluppo delle competenze cognitive possono essere opportunamente proposti agli stessi neofiti, in modo da sviluppare le capacità di riconoscimento dei propri processi di pensiero e di individuazione delle strategie di apprendimento più adatte alle diverse situazioni.
   
Arricchire percorsi formativi rivolti allo sviluppo di competenze professionali.
 
Una delle tendenze maggiormente significative e da tempo in atto nella formazione alle professioni, consiste nel progressivo spostamento  da una forte attenzione ai contenuti da trasmettere/apprendere ai processi da padroneggiare. Competenze di vario ordine (comunicative, organizzative, decisionali, di innovazione ma anche di pensiero) risultano strettamente connesse all’apprendimento di contenuti professionali ed anzi  per permetterne l’acquisizione.
Percorsi formativi per personale neo-assunto come esperto, proposte formative per ruoli di coordinamento o manageriale possono contemplare la presenza di obiettivi e contenuti.  
Un’attività di  aggiornamento, formazione, training rivolta a contenuti di carattere tecnico - specialistico non può oggi prescindere da un’esplicita attenzione al processo di apprendimento che richiede ai soggetti di attivare. Formare oggi nelle organizzazioni significa porsi innanzitutto il problema di come le persone possano veramente imparare. Per questo motivo il processo di insegnamento e quello di apprendimento - che sono talvolta consonanti e vicini, talaltra assai divergenti - vanno fatti oggetto di attenzioni specifiche, tese a migliorarne l’efficacia. In altre parole, è necessario occuparsi non solo di cosa insegnare (contenuti), di come farlo (metodi di insegnamento)  ma anche di come le persone imparano o possono imparare (strategie, modalità, metodi e tecniche di apprendimento).
Da tali premesse discendono due piste di necessario investimento formativo:
 
- preparazione dei trainer, formatori, istruttori, docenti alla padronanza di competenze di diagnosi e sviluppo delle competenze di pensiero (proprie e degli “allievi”)
 
- attivazione di momenti formativi dedicati allo sviluppo delle competenze di pensiero (altrimenti dette “imparare ad apprendere”) come integrazione di percorsi formativi tecnici.
 
In tali prospettive il Programma Feuerstein rappresenta una possibile strada da percorrere accanto ad altri metodi e programmi di diagnosi e sviluppo delle competenze cognitive. Per le proprie caratteristiche specifiche, che abbiamo precedentemente descritto, il PAS si presta assai efficacemente ad un utilizzo nelle direzioni indicate. Infatti alcuni punti di forza e  potenzialità del programma sono:
- assenza di riferimenti a contenuti specifici di apprendimento; ciò consente di spostare l’attenzione delle persone sul processo di apprendimento per poi ritornare all’acquisizione (e alla trasposizione) di contenuti tecnici;
- presenza di un “repertorio” già predisposto di strumenti di lavoro, che richiede di essere di volta in volta utilizzato secondo una progettazione specifica. Tale caratteristica rende il Programma altamente flessibile e adeguabile a utenze e contesti differenti. 
 
Sostenere percorsi formativi di transizione verso il lavoro.  
  
Sia nel caso di giovani che si preparano, da un punto di vista formativo, per entrare nel mondo del lavoro come nel caso di adulti che passano da una condizione lavorativa ad un’altra o, ancora, rientrano al lavoro dopo un periodo di inattività, l’adozione del PAS può offrire un valido contributo al potenziamento delle risorse cognitive ma, nel tempo stesso, motivazionali. I moduli di sviluppo delle competenze cognitive possono essere proposti in modo autonomo oppure inseriti nel percorso didattico di tipo tecnico-professionale. In tal caso, è necessario uno sforzo di progettazione didattica per correlare in modo corretto contenuti professionali a contenuti cognitivi. In questo genere di interventi, la mediazione assume un più ampio valore di accompagnamento ad una nuova situazione di socializzazione lavorativa ed impegna il mediatore in uno sforzo di comprensione e “traduzione” didattica degli elementi del contesto di destinazione delle persone in formazione. Anche tale sforzo ha evidenti implicazioni sul piano cognitivo e necessita la padronanza di modalità di pensiero coerenti e produttivi. Le situazioni di transizione rappresentano momenti di potenziale conoscenza di sé, autoconsapevolezza riguardo le proprie propensioni, modalità di affrontare questioni e problemi ed, infine, ridefinizione delle strategie usualmente adottate. Imparare a pensare rappresenta una prospettiva di accompagnamento del soggetto nei diversi passaggi che egli affronta.
 
 
Note
 
In ambito francese si segnalano i programmi Activolog, ARL (Atelier de Raisonnement Logique); di provenienza statunitense sono, invece, il programma CoRTdi sviluppo della creatività di De Bono e il programma Philosophy for Children di Lipman . Una sintetica rassegna di alcuni metodi si trova in Demetrio D.- Fabbri D. – Gherardi S., Apprendere nelle organizzazioni, Proposte per la educabilità cognitiva in età adulta, in partic. cap.8 "Educabilità cognitiva e problemi per la formazione nelle organizzazioni", NIS, Roma, 1994 e in Blagg, 1991
Disponiamo peraltro, oggi, di dati significativi rispetto a valutazioni di interventi formativi condotti con l’impiego del Programma di Arricchimento Strumentale, vd. Blagg, 1991
Gli strumenti del PAS sono: Organizzazione dei Punti, Orientamento spaziale (1 e 2), Comparazione, Percezione analitica, Classificazione, Relazioni familiari, Relazioni temporali, Progressioni numeriche, Consegne, Sillogismi, Relazioni transitive, Pochoirs, Illustrazioni.
 
 
Bibliografia
 
Ben-Hur M (ed.), On Feuerstein’s Instrumental Enrichment: a Collection, Palatine, Illinois, IRI/Skylight, 1994
 
Blagg N., Can we teach intelligence? A Comprehensive Evaluation of Feuerstein’s Instrumental Enrichment Programm, Hillsdale, Erlbaum Ass. 1991 
 
Feuerstein R. , Le PEI, in Paravy G (Ed.), Pédagogies de la mediation, Lyon, La Chronique Sociale, 1990
 
Feuerstein R., Instrumental enrichment. An intervention program for cognitive modifiability, University Park Press, Baltimora, 1980
 
Guetta S., Il successo formativo nella prospettiva di Reuven Feuerstein, Napoli, Liguori 2001
 
Hadji, Ch., "Science, Pedagogy and Ethics in Feuerstein’s Theory and Applications", in Kozulin A. Rand Y (Ed.), Experience of Mediated Learning. An Impact of Feuerstein’s Theory in Education and Psychology, Amsterdam, Pergamon 2000, pp.21-33
 
Reggio P., "Sviluppo di competenze cognitive e formazione degli adulti", in FOR, nn.34-35 1997, pp.71-92 
 
Reggio P., L’esperienza che educa, Unicopli, Milano 2003
 
Vyogtsky L.S., Il processo cognitivo, Boringhieri, Torino, 1980 (ed.orig.1978)