Green washing e digitale… intransitivo

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Nel corso di questi ultimi due anni alcuni importanti strumenti di finanziamento per la formazione si sono concentrati principalmente sui temi del cosiddetto “green” e della transizione digitale.  Tra questi, oltre ad alcuni Avvisi di importanti Fondi Interprofessionali, è evidente il caso del Fondo Nuove Competenze (FNC), che addirittura rende praticamente obbligatori questi temi per richiedere il relativo contributo, tranne alcuni casi specifici di concertazione sindacale prevista dall’Avviso, peraltro molto rari.


Green e digitale obbligatori: ha senso?

Il sistema della formazione continua finanziata quindi è stato in parte obbligato a sviluppare esclusivamente questi temi, così descritti ad esempio nello Sportello FNC 2022 / 2023. Per la transizione digitale si indicano infatti come unici temi formativi finanziabili quelli legati a innovazioni nella produzione e commercializzazione di beni e servizi che richiedono un aggiornamento delle competenze informatiche, mentre per la parte di sostenibilità aziendale (cd. “green”) sono richiesti quelli relativi a: innovazioni aziendali volte all’efficientamento energetico e all’uso di fonti sostenibili; innovazioni aziendali volte alla promozione dell’economia circolare, alla riduzione di sprechi e al corretto trattamento di scarti e rifiuti, incluso trattamento acque; innovazioni volte alla produzione e commercializzazione di beni e servizi a ridotto impatto ambientale; innovazioni volte alla produzione e commercializzazione sostenibile di beni e servizi nei settori agricoltura, silvicultura e pesca, incluse le attività di ricettività agrituristica; promozione della sensibilità ecologica, di azioni di valorizzazione o riqualificazione del patrimonio ambientale, artistico e culturale.

Certamente questi sono i temi del mainstream degli interventi indicato anche nel PNRR e dalle linee guida della UE, tuttavia è evidente quanto questa sia un’impostazione molto dirigistica, che non tiene conto di numerosi fattori che possono contribuire a ridurre questi interventi a puro movimento di contributi, perdendo cosi una preziosa (e costosa) occasione per l’aggiornamento professionale dei lavoratori su temi sicuramente più concreti che, specie in questo momento, possono concorrere ad una ripresa della produttività e della competitività delle aziende italiane.

Tra l’altro, questa è la prima volta che grandi contributi per la formazione continua entrano così pesantemente nel merito dei temi formativi. Normalmente i contributi pubblici erano sempre partiti dai fabbisogni aziendali rilevati, anziché imporre scelte sulle materie, salvo alcuni interventi su tematiche particolari (ambiente, sicurezza, etc.), ma sempre dal peso economico limitato.


Una forzatura giustificabile ma eccessiva

Non siamo certamente negazionisti del climate change né abbiamo nulla né contro la sensibilità verso l’ambiente, oggettivamente molto importante anche e soprattutto, in ambito produttivo né tantomeno sulla necessità di diminuire il digital divide tra i lavoratori italiani, caratterizzati da un’età media elevata e da un livello di istruzione mediamente più basso delle nazioni concorrenti.

Tuttavia, ci lascia perplessa questa forzatura “dall’alto”, quando in molti settori i fabbisogni più sentiti (e considerati dal mondo dell’economia e del lavoro più urgenti) sono quelli legati alla competitività ed alla riduzione del mismatch tra offerta e domanda di lavoro.

Molte imprese infatti hanno rinunciato a FNC non trovando alcun vantaggio nelle tematiche indicate come obbligatorie, perché, dovendo fermare la produzione dei lavoratori per 200 ore, probabilmente molte vogliono portare in casa il vero know how aggiornato sui temi più vicini al loro business, al fine di rendersi più competitive sul mercato.


C’e' molto altro da fare

L’esperienza che si sta facendo con FNC ad esempio indica come alcuni settori strategici e noti per le problematiche di reperimento di personale abbiano ben altre urgenze: il settore sanitario ha bisogno di continuo aggiornamento per medici, infermieri ed OS, anche relativamente al mantenimento delle ECM, ma comunque e soprattutto sui temi sanitari; il settore del turismo sia in piena crisi di aggiornamento professionale perché i pochi lavoratori che si trovano non hanno alcuna qualifica, dal bagnino, al cameriere, al personale in concierge, tutto questo certamente richiede innanzitutto preparazione al ruolo; l’agricoltura, sempre in difficoltà per la regolarizzazione dei lavoratori, come anche l’edilizia in pieno boom da bonus 110, hanno molto bisogno di corsi sulla sicurezza ma anche sulle rispettive tecnologie produttive. E questi sono solo gli esempi più eclatanti.

Nessuno nega comunque che l’impatto ambientale di questi settori sia importante e che la loro l’innovazione passi ovviamente per il digitale, ma come vediamo uno strumento importante di finanziamento, come è FNC ad esempio, non può limitarsi solo a questo.


Piu' flessibilita' e una analisi concreta sui risultati

Ci auguriamo quindi che questi paletti nei prossimi tempi possano scomparire, o rimanere come parte più o meno obbligatoria di accompagnamento ad altri processi formativi che possano partire più direttamente dal fabbisogno aziendale, legato allo sviluppo, all’innovazione, all’internazionalizzazione, ad esempio.

Resta comunque interessante analizzare, magari a fine ciclo di FNC, quali impatti avranno avuto questi corsi sulla consapevolezza ambientale dei lavoratori (tema “green”) e la conseguente riduzione dell’impatto ambientale delle attività aziendali e, come nella maggior parte dei casi è stato scelto, specie dalle PMI, come i corsi sul digitale abbiano reso più efficiente il lavoro e, soprattutto, più qualificati ed occupabili i lavoratori.

Come sempre la criticità sarà proprio questa, in un sistema che, anche stavolta, non prevede altro che la raccolta dei dati dei piani formativi presentati ex ante ed i relativi controlli amministrativi ex post, ma non sarà in grado i dare risposte utili per capire l’impatto effettivo sull’economia delle aziende e sull’occupazione dei lavoratori.

Sarebbero questi i temi su cui il Ministero del Lavoro dovrebbe concentrare il monitoraggio nei prossimi mesi e, nel caso, rivedere di conseguenza per il 2024 l’Avviso FNC, soprattutto dopo aver ascoltato con più attenzione imprese e lavoratori di tutti i settori, sia nel caso di partecipazione al FNC 2020 o 2022, per capirne motivazioni e risultati concreti, sia nel caso di mancata partecipazione, per capirne i motivi.

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

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