Paesaggio, ambiente, territorio e didattiche dell'esperienza

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Tutto è paesaggio!

Più di dieci anni fa, proprio su questa rivista nel tentativo di delineare alcune “nuove sfide” per la formazione, segnalavo come potesse essere particolarmente utile il riferimento al concetto di “paesaggio” per affrontare una serie di urgenze legate a molti temi ambientali e territoriali (Cepollaro G., Nuove sfide per l’azione formativa: educare al paesaggio, in “Formazione & cambiamento”, n. 79, 2013). Il paesaggio inteso come “spazio di vita”, fatto di aria, acqua, suolo … ma fatto anche di insediamenti, strade, ponti, giardini …  ed altresì delle percezioni e delle rappresentazioni che riflettono sensibilità, valori, significati di coloro che lo vivono. Quindi il paesaggio “vissuto” e non solo quello “visto” frontalmente e a distanza dei panorami e delle cartoline, strettamente legato all’idea di vivibilità.

Un costrutto inclusive che contiene molti significati differenti, capace di “attrarre” ampie questioni di ordine ambientale e territoriale. Un costrutto di carattere eminentemente politico, nel senso di uno spazio relazionale, di prossimità, di coinvolgimento diretto, all’interno del quale le persone possono conversare, dialogare, negoziare, confliggere perché preoccupate della qualità della loro vita. Il paesaggio oggi sembra essere definitivamente uscito dal ristretto novero dei “beni culturali” per accedere alla sfera dei “beni politici” entrando dalla porta principale ossia quella dei “beni comuni”. Il riconoscimento del valore di “bene comune” e la maggiore consapevolezza dell’importanza dei temi paesaggistici, ma anche territoriali e ambientali, apre al ruolo dell’educazione come risorsa indispensabile per la promozione di un cambiamento culturale, di comportamenti e di prassi necessario per quella transizione verso una maggiore vivibilità dei luoghi e del pianeta.


Paesaggio ed esperienza

Con il transito “dal visto al vissuto”, il concetto di paesaggio entra nel regime dell’esperienza sinestetica, di un corpo in movimento, e rinvia al fondamento intersoggettivo e relazionale di qualsiasi altra esperienza estetica, al linguaggio, alla narrazione, allo scambio necessari alla creazione di senso e di significato. John Dewey aveva intuito come l’esperienza potesse essere assunta alla base dell’impegno educativo sostenendo che essa “continuamente accade”, perché l’interazione tra l’uomo e il suo ambiente “è implicata nel processo del vivere stesso” (Dewey J. (1938), Esperienza e educazione, tr. it. R. Cortina Editore, Milano, 2014).

L’educazione al paesaggio, quindi, può essere pensata come un processo di continua ricostruzione creativa dell’esperienza. Non c’è esperienza di un oggetto da parte di un soggetto, quindi di un paesaggio da parte di un attore, bensì vi è sempre interazione, una relazione in cui i termini non sussistono in modo indipendente ma solo nei termini della relazione stessa.

L’esperienza va intesa in modo profondo e radicale, evitando i fraintendimenti oggi in voga che portano spesso a farne un’appendice, quasi si potesse decidere di “fare” e “far fare” esperienza, per poi gestire gli apprendimenti che ne derivano secondo una direzione stabilita. L’esperienza è qualcosa di dinamico, sfuggente, fondata sul continuo movimento e che a sua volta richiede disponibilità al movimento. L’apprendimento esperienziale si concretizza in movimenti attraverso i quali si elabora il rapporto tra essere umano e mondo, tra cognizione ed emozione, senza che in tutto ciò vi sia nulla di meccanico e neppure di astratto. Sono i movimenti del soggetto che vive e che, attraverso l’esperienza apprende, non subendo passivamente i fatti e gli accadimenti ma interagendo e sperimentando la sua autonomia (Reggio P.G., Il quarto sapere. Guida all’apprendimento esperienziale, Carocci, Roma, 2010).


Didattiche dell’esperienza

L’educazione al paesaggio, all’ambiente, al territorio deve partire dalle relazioni e dal riconoscimento che la mente umana non apprende per trasmissione ed istruzione. Le persone conoscono e agiscono a partire dalle esperienze che hanno dei loro “spazi di vita”. L’esperienza del paesaggio si può declinare secondo alcune direttrici a partire dalla scomposizione del verbo “esperire” (dal latino ex-per-ire) in tre dimensioni fondamentali:

  • quella dell’ex, ossia dell’appartenenza, dell’evoluzione dell’identità e della cittadinanza;
  • quella del per, quindi dell’attraversamento e dell’esplorazione, del corpo in movimento che “sente” e vive il proprio “spazio di vita”;
  • quella dell’ire, dell’andare senza meta, della ricerca di ciò che non è previsto, dell’immaginazione dei futuri possibili.

Per questo l’approccio educativo al paesaggio deve saper:

  • adottare una prospettiva di “interdisciplinarietà critica”, capace di superare i confini tra lo specialismo delle discipline, ma nello stesso tempo di selezionare i saperi intrecciando i punti di vista differenti utili alla comprensione di uno specifico fenomeno;
  • prediligere l’orientamento intergenerazionale nel favorire le relazioni tra persone di età differente, portatori di esperienze, conoscenze e sensibilità diverse ma unite dall’interesse comune di costruire spazi di vita soddisfacenti;
  • valorizzare le potenzialità del concetto in termini di mediazione interculturale, ossia quale spazio pubblico per il confronto tra persone di diversa storia ed appartenenza che condividono i luoghi delle proprie vite (Cepollaro G., Mori L., Mettersi al mondo. Educazione al paesaggio per le nuove generazioni, ETS, Pisa, 2018).



A queste tre dimensioni possono riferirsi le “didattiche dell’esperienza” che rappresentano una possibile via per riunificare le prassi con i soggetti che apprendono, rimandano ad un’idea di educazione e formazione intese come “cura”. Che si tratti di ridurre il consumo di suolo, di promuovere la raccolta differenziata dei rifiuti, di recuperare un centro storico disabitato oppure di costruire una nuova infrastruttura, l’azione formativa può essere intesa come un laboratorio aperto che, ripartendo dalla centralità dell’esperienza, cerca di orientarsi alla ricerca di comportamenti appropriati alla costruzione di una buona vivibilità.



Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

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