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N° 16 / 2020 - Storie di apprendimento e innovazione nella pandemia

 

 
 

Il 2020 è un anno che ricorderemo per sempre: ogni giorno abbiamo dovuto imparare la flessibilità, la resilienza, la gestione dell’incertezza, e poi abbiamo dovuto velocemente acquisire competenze digitali e imparare a lavorare in un modo nuovo. 
Nelle aziende pubbliche e private si è dovuto intervenire sull'organizzazione del lavoro e sui relativi processi. Molti di noi si sono ritrovati nel giro di poche ore a lavorare da casa individualmente ma restando in connessione giorno dopo giorno, quasi senza soluzione di continuità, con colleghi, collaboratori, capi, clienti, utenti e fornitori. Lo Smart Working è diventato il principale modello di organizzazione del lavoro, anche se in realtà la modalità reale utilizzata è stata e tuttora è quella del remote working.
Nel contesto normativo emergenziale dettato dall’epidemia Covid-2019 lo Smart Working ha costituito e costituisce la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa per le pubbliche amministrazioni con l’obiettivo di contenere il propagarsi dell’epidemia. Il cambio di passo per la PA è stato repentino ed epocale: i servizi resi “in presenza” sono stati ridotti al minimo e le attività sono state ripensate per renderle “da remoto” o come si dice sempre più spesso “smartizzabili”.
Il volume “Trasformazione digitale & Smart Working nella Pubblica amministrazione. Visioni e pratiche”, scritto da Alessandro Bacci (Direttore del personale e ICT della Regione Lazio e Responsabile della Transizione Digitale), Raphael Frieri (Direttore Generale della DG Risorse, Europa, Innovazione e Istituzioni della Regione Emilia-Romagna) e Stefania Sparaco (Responsabile delle attività di trasformazione digitale e organizzativa in Regione Emilia-Romagna) nasce in questi mesi di Pandemia con l’obiettivo di descrivere e spiegare come il lavoro pubblico si trasforma per legge ed entra, senza ulteriore indugio, in quello che si può chiamare “Total Smart Working” della PA.
Il progetto editoriale ha una importante base nel progetto VeLA (Veloce, Leggero e Agile) sostenuto dal PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020, cofinanziato dai fondi strutturali dell’Unione Europea. Al Progetto hanno partecipano molteplici amministrazioni tra le quali la Regione Emilia Romagna, il Comune di Bologna, la Regione Veneto, la Regione Lazio. L’obiettivo del progetto avviato nel 2018 è stato quello di confrontarsi per individuare le opportunità dell’introduzione del lavoro agile per gli individui e per l’organizzazione. 
Gli autori illustrano come la trasformazione digitale costituisca oggi una delle leve principali di change management nella Pubblica Amministrazione: una grande occasione cui l’emergenza sanitaria ha dato ulteriore spinta. E lo Smart Working è una delle punte dell’iceberg della trasformazione digitale: ne rappresenta l’emblema poiché richiede contemporaneamente di agire in modo radicale su organizzazione, management e risorse umane, struttura di programmazione, infrastruttura tecnologica, logistica e spazi.
Il tentativo fatto durante l’emergenza Covid di sostenere il passaggio verso servizi full digital, comprese nuove forme di lavoro da remoto, ha dimostrato da un lato l’inevitabilità del cambiamento atteso e, dall’altro, l’urgenza di realizzarlo in modo rapido e diffuso, per creare le condizioni di resilienza nel contesto dei mutamenti sociali ed economici in corso, nonché partorire la Pubblica Amministrazione di “nuova generazione”.
Sono necessarie politiche del personale innovative che devono integrare le funzioni istituzionali di un'amministrazione regionale con una serie di politiche e strumenti che fanno leva sugli aspetti soft della gestione delle risorse umane, come la comunicazione interna e la formazione. Parallelamente il momento è propizio per introdurre nuovi modelli di organizzazione del lavoro e promuovere un nuovo uso del tempo, degli spazi e delle risorse strumentali, in ragione di un’organizzazione per obiettivi e risultati.
Per essere tale, infatti, la trasformazione digitale deve prevedere un ripensamento dei processi focalizzandosi su leadership, persone e competenze, dati e, in ultimo, tecnologia: in questo modo può crescere l’efficienza, ma soprattutto il valore creato per i “clienti” e gli stakeholder esterni all’organizzazione.
Il libro offre una prospettiva multidisciplinare sul tema, evidenziando prassi e norme della Pubblica Amministrazione italiana, proponendo soluzioni concrete basate sulle esperienze in corso (provenienti dal mondo pubblico e privato), sottolineandone le criticità e l’impatto potenziale, senza perdere di vista l’aspetto di vision e di realizzazione della nuova Pubblica Amministrazione, dal piccolo Comune alle grandi organizzazioni multidisciplinari.
 
 

Il sociologo Zygmunt Bauman è noto per aver offerto un'efficace interpretazione della società globale definendo "liquide" le relazioni sociali che ciascuno di noi vive in questo momento storico. Questa categorizzazione ha avuto una vasta eco poiché esprime sinteticamente la condizione di transitorietà e indeterminatezza che caratterizza l'identità odierna. Lo stesso Bauman è autore di un importante classico della sociologia contemporanea dal titolo Memorie di classe, di cui la casa editrice PM ha meritoriamente dato alle stampe una nuova edizione a cura di Emiliano Bevilacqua e Marco Antonio Pirrone. Questo libro è una conferma retrospettiva della grande capacità del sociologo polacco di offrire affreschi suggestivi delle più rilevanti vicende sociali del nostro tempo. I protagonisti di Memorie di classe sono le classi sociali e la memoria storica e, sebbene siano osservati in prospettiva storica, entrambi ci spingono a riflettere sul presente.
Le lotte operaie del XIX secolo vengono descritte ed analizzate ricorrendo a una documentazione stimolante e variegata (articoli di giornale, commenti in magazine, materiale propagandistico e, naturalmente, libri) e sono discusse da Bauman per mostrare come l'encomiabile energia degli uomini e delle donne che le hanno alimentate fosse mossa dall'obiettivo di conquistare una vita non soltanto più dignitosa ma anche e soprattutto più libera, in grado di autodeterminarsi non soltanto nel lavoro ma anche in altri ambiti della vita sociale; sta di fatto, però, che un sistema economico fondato sulle suggestioni del mercato e sul fascino perverso del profitto, argomenta l'autore, è riuscito a stemperare l'impeto di liberazione del conflitto sociale seducendo progressivamente i dirigenti sindacali e gli stessi lavoratori, sempre più attratti dalle sirene di una vita all'insegna del denaro e del consumismo. Bauman mostra nel dettaglio i controversi processi sociali che hanno condotto le classi popolari ad introiettare i valori rappresentati da una razionalità strumentale e utilitaristica. Le perniciose conseguenze della storia narrata in Memorie di classe contribuiscono a formare, dunque, proprio quello scenario di destabilizzazione valoriale, crisi identitaria e crescita delle disuguaglianze la cui descrizione ha reso noto al grande pubblico molte delle successive opere baumaniane.
Un aspetto affascinante della prosa di Zygmunt Bauman è nella capacità di catturare, al margine dell'impetuoso scorrere della storia, il punto di vista del comune cittadino, le sue aspirazione e le sue debolezze. La maestria baumaniana nel restituire i grandi fenomeni sociali ma anche lo spirito del tempo si coglie a pieno in questa acuta ricostruzione del rapporto tra i movimenti dei lavoratori e la cultura del capitalismo: è la memoria, in questo caso, ad essere indagata evidenziando come l'azione suadente del sapere ufficiale e della comunicazione scritta abbia condotto le nuove generazioni dei salariati a fraintendere e infine dimenticare il ricordo degli episodi di emancipazione caratteristici del proprio glorioso passato. Memoria, dunque, come campo di intervento del potere, come luogo pubblico ma anche interiore in cui si gioca il futuro delle aspirazioni alla giustizia e all'eguaglianza. Memoria come contraltare, apparentemente impalpabile eppure incredibilmente solido, al ben più concreto e ruvido scontro di classe. Lo sguardo sociologicamente provveduto e culturalmente attento del Bauman intellettuale cosmopolita trova quindi in Memorie di classe un punto di maturazione che racchiude in nuce l'intero percorso intellettuale dell'autorevole sociologo polacco.

In questo numero di Formazione & Cambiamento pubblichiamo la recensione sul libro di Ursula Hirschmann, scritto da Silvana Boccanfuso, libro che è stato ritenuto meritevole di menzione per la Saggistica nell’ambito del "Premio Giacomo Matteotti" XVI edizione nei primi giorni di dicembre del 2020.  
Silvana Boccanfuso, Dottore di ricerca in «Storia del federalismo e dell’Unità europea» presso l’Università di Pavia, ha concentrato le sue ricerche sulla vita e sul percorso intellettuale e politico di Ursula Hirschmann, evidenziando come la sua adesione agli ideali del federalismo europeo rispondesse a una necessità di pace, giustizia e fratellanza maturata da giovanissima nella Germania nazista. 
Il lavoro di Silvana Boccanfuso dedicato a Ursula Hirschmann, racconta la vita di una donna che ha dato un contributo importante sia alla storia del movimento di liberazione e alla sua elaborazione intellettuale, sia a quella della ricostruzione postbellica. Il libro narra la vita di Ursula Hirschmann, descrivendo il contesto familiare e culturale e il periodo storico e le influenze sul suo percorso intellettuale. 
Nell’estate 1933 Ursula Hirschmann, giovane socialista berlinese di buona famiglia, lascia la sua città per sfuggire alle persecuzioni politiche e razziali. Comincia una straordinaria avventura umana e politica che la porterà in una Parigi non ancora libera, poi in Italia a Roma (città liberata ma da ricostruire), nella Svizzera degli antifascisti, infine definitivamente a Roma. In queste coordinate geografiche e storiche è vissuta Ursula Hirschmann, cosmopolita al punto da perdere negli anni qualunque senso d’identità o appartenenza nazionale. Ed è proprio questo confine labile tra identità nazionale e impegno europeista la chiave per capire la profondità del suo percorso: «Noi deraciné dell’Europa che abbiamo “cambiato più volte di frontiera che di scarpe” – come dice Brecht, questo re dei deraciné – anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene in un’Europa unita e perciò siamo federalisti».
Moglie prima del filosofo antifascista Eugenio Colorni e poi del grande europeista Altiero Spinelli, madre di sei figlie, raffinata intellettuale e attivista politica, Ursula è il simbolo di una generazione che «ha cambiato più volte di frontiere che di scarpe» e che quindi aspira a un’Europa unita. In questa donna tale aspirazione si traduce da subito – e per sempre – in azione, trovando la sua più compiuta espressione nella creazione negli anni Settanta, del gruppo «Femmes pour l’Europe». 
Silvana Boccanfuso ben descrive il percorso intellettuale seguito da Ursula Hirschmann, il contenuto del suo impegno politico e il grado di autonomia che esso ha avuto da quello dei due mariti, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli. Una donna di cui va assolutamente raccontata l’intensa esistenza e la sua scelta del federalismo europeo, non una temporanea ed emotiva reazione a drammatici eventi contingenti quale il disastro della guerra, ma invece un convinto obiettivo portato avanti per tutta la vita, anche quando l’idea di un’Europa unita non è stata particolarmente popolare. 
Negli anni settanta, in risposta ad uno dei periodi di crisi più importanti per la costruzione comunitaria, si dedica al progetto più significativo: il gruppo d’iniziativa «Femmes pour l’Europe».  Un gruppo creato coniugando in modo originale federalismo e femminismo, in cui con vigore e credibilità si dedica alla discriminazione di genere. 
Se la storiografia, solitamente concentrata sulle figure maschili, ha rinunciato ad approfondire la specificità, le caratteristiche, l’originalità della componente femminile del nostro passato più recente, il lavoro di Silvana Boccanfuso ha il merito di colmare una grave lacuna, riscattando Ursula Hirschmann dal semplice ruolo di «moglie di» e «sorella di».
Il messaggio critico e l’esperienza di Ursula Hirschmann sono un esempio e un monito utile per riflettere sui nuovi nazionalismi, le nuove chiusure, i nuovi muri che oggi attraversano come incubi allucinati lo spazio europeo.
 
 
 
 

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