1. Sfondo teorico (1)
    La formulazione iniziale di R-A (Lewin, 1946) ha avuto molti sviluppi riconducibili a tre indirizzi (Lipari, 2003, 2012; Bortoletto, 2005): a) il primo legato al modello della ricerca-intervento nelle organizzazioni elaborato dal Tavistok Institute di Londra e sviluppato dal movimento delle human relations; 2) il secondo modello è l’action learning, prospettiva elaborata da Revans (1983) nel quadro di interventi di sviluppo manageriali basati sull’azione, fonte primaria di apprendimento fondato sul confronto con l’esperienza e con i problemi che la caratterizzano; 3) la ricerca partecipativa, il terzo modello, è legata all’opera di Paulo Freire (1971), ed associa la ricerca a pratiche educative di consapevolezza e di emancipazione degli attori sociali.

    E’ assai difficile dare una definizione univoca della Ricerca-azione (da adesso R-A), considerati i numerosi modelli teorici di riferimento e le loro molte applicazioni (Becchi, 1992; Trombetta, Rosiello, 2000; Reason, Bradbury, 2008; Colucci, Colombo, Montali, 2008; McNiff, 2013). Una definizione articolata di R-A è quella di Piccardo & Benozzo (2010) che definisce la R-A come: a) un modo di intervenire all’interno del contesto organizzativo, con un intervento trasformativo e di costruzione di conoscenza;  b) un modo ciclico e ricorsivo di conoscere nella relazione e attraverso la relazione; c) una filosofia, un modo di essere e di vivere; d) una metodologia di ricerca soprattutto, ma non esclusivamente, qualitativa.

    Nella sua forma classica la R-A cerca di rispondere ad alcune esigenze lasciate insoddisfatte dal metodo sperimentale: l’applicazione a contesti sociali complessi in cui è difficile isolare e tenere sotto controllo le variabili più importanti, e l’integrazione tra ricerca e pratica. Tuttavia un filo rosso, attraverso le nozioni di conoscenza e cambiamento, lega la R-A alla teoria della indagine deweyana (Lipari, 2003; Marani, 2013): individuazione di problemi, individuazione di soluzioni soddisfacenti in grado di ristabilire equilibri e stabilità attraverso ipotesi guida, prove e verifiche, e attraverso approssimazioni successive e adattamenti pervenire ad una soluzione.

    Nel settore della formazione la R-A è sempre più scelta come approccio metodologico per realizzare interventi di “formazione-azione” (Smeets, Ponte, 2009; Kaneklin, Piccardo, Scaratti, 2010; Lipari, 2012). La formazione, in questa prospettiva, si realizza favorendo processi di apprendimento locale, basati sulla esperienza pratica e sulle azioni che gli attori coinvolti svolgono insieme ad altri, in un determinato contesto sociale e organizzativo. La R-A, soprattutto quella di tipo partecipativo, è dunque promossa nella convinzione che per il soggetto e per le organizzazioni ha sempre più rilevanza la dimensione dell’apprendimento. La valorizzazione della dimensione formativa, pratica, attiva e trasformativa dell’azione, che caratterizza i vari approcci di formazione-intervento, rappresenta oggi uno dei campi di applicazione più rilevanti del modello di R-A. La formazione e l’apprendimento non sono più considerati esiti indiretti o marginali della R-A, benché auspicati, ma esiti attesi e intenzionalmente perseguiti attraverso approcci basati sull’intervento, sulla partecipazione e sull’azione (Cecchinato, Nicolini, 2005; Levin, 2008; McAteer, 2013).

    Negli ultimi anni alla R-A è stata dedicata particolare attenzione in ambito scolastico con esiti spesso interessanti (Tanoni, 2000; Moretti, 2003; Losito & Pozzo, 2005); nei paragrafi che seguono sono prese in esame alcune questioni ritenute importanti per quanti vogliano condurre in modo consapevole iniziative di R-A nei contesti educativi formali.
  2. R-A e contesti educativi formali
    Nel contesto scolastico la pressante esigenza di coinvolgere direttamente il più ampio numero di insegnanti nel compito di migliorare e riqualificare l’azione organizzativa e didattica, sia quella complessiva a livello di istituzione scolastica che quella svolta in classe, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta ha portato ad individuare nella R-A il dispositivo più efficace per contribuire allo sviluppo educativo e alla diffusione delle cosiddette buone pratiche. Questa importante dimensione partecipativa, che indubbiamente caratterizza la R-A, è assai nota a tutti quelli che, a vario titolo, si occupano di educazione e di formazione.

    Meno noto ai più è il confronto immediato che  la comunità scientifica italiana ha avviato con i gruppi di esperti, soprattutto di ambito europeo, sulla possibile integrazione tra la sperimentazione classica e la R-A a partire dalla riflessione sulle effettive applicazioni sul campo e nella prospettiva di incidere attraverso la ricerca sul miglioramento della prassi educativa (Scurati & Zanniello, 1993). A questa dimensione, che presta attenzione all’applicazione dei risultati della ricerca e riconosce il valore dell’impatto degli esiti della ricerca sui decisori politici, oggi è finalmente riconosciuta la sua effettiva rilevanza e non solo per gli addetti ai lavori.

    Oggi è sempre più diffusa la consapevolezza che l’allineamento tra cambiamento, innovazione e apprendimento profondo (degli attori, dei gruppi e delle organizzazioni) si possa realizzare non tanto enfatizzando la “generica partecipazione” degli attori ad azioni trasformative locali,  ma coniugando in modo rigoroso e continuativo l’attività di ricerca empirica e l’utilizzo pubblico dei suoi esiti con l’azione concretamente svolta nei differenti contesti educativi formali o non formali.

    Ad esempio dall’analisi delle caratteristiche generali delle ricerche presentate nei nove Seminari annuali promossi dalla SIRD (Società Italiana di Ricerca Didattica), che hanno visto la partecipazione di un ampio numero di dottori e dottorandi di ricerca dei settori scientifico disciplinari M-PED/03, Didattica e Pedagogia speciale e M-PED/04, Didattica sperimentale (Moretti, 2009, 2015; Galliani, 2010; La Marca, 2012), emerge tra l’altro che la R-A si conferma nel tempo come uno degli strumenti più utilizzati da coloro che si stanno formando alla ricerca tramite la ricerca stessa. Tuttavia non sempre il rigore e la solidità delle evidenze raggiunte sono all’altezza dell’impegno profuso sul campo e del grado di coinvolgimento manifestato tanto dal ricercatore quanto dagli insegnanti e dagli altri attori implicati.

    La R-A educativa è spesso carente in termini di rigore e solidità, per questo si propone di “immettere nella RA una robusta venatura deduttivista con l’intento, tutto metodologico, di fare precedere sempre all’azione empirica una cifra teorica, uno schema formale siglato da un sistema d’ipotesi, secondo una curvatura cara all’impianto del razionalismo critico” (Frabboni, 1988, p. 333). In assenza di un sistema di ipotesi non si avrebbe ricerca ma solo azione, per questo la posizione del problematicismo pedagogico, nella più recente prospettiva del realismo critico, propone un approccio epistemologico oggettivista alla R-A con l’obiettivo di “canalizzare la ricerca-azione nella direzione dell’autentica ricerca scientifica, volta a elaborare un sapere razionalmente giustificato” (Baldacci, 2012, p. 104). In particolare il canone dell’aderenza alla realtà nella scelta educativa può aiutare a distinguere una pedagogia scientifica e realistica da una pedagogia utopica e velleitaria. Il realismo critico, infatti, “considera la prassi educativa oggettivata come una realtà indipendente dai voleri dell’educatore, non la ritiene modificabile a piacimento ma solo a certe condizioni, da comprendere nella loro specificità situata, la cui inosservanza porta al fallimento del disegno pedagogico” (Baldacci, 2014, p. 395). La sostenibilità e l’efficacia della R-A anche per evitare il rischio di essere velleitaria deve perciò tenere nella giusta considerazione la dimensione temporale.
  3. I tempi della R-A
    La R-A è una strategia che permette di affrontare problemi in costante evoluzione e che spesso è condotta nell’ambito di contesti in cui gli eventi seguono una dinamica temporale e si diversificano e caratterizzano di volta in volta a seconda degli attori coinvolti e delle differenti situazioni che si vengono a creare. L’importanza riconosciuta al fattore tempo e alla dinamica temporale è confermata sia dal fatto che non pochi autori distinguono tra conduzione di ricerche azioni di breve, di medio o di lungo periodo, sia dal diffuso riferimento che gli stessi autori fanno a una varietà di fasi che caratterizzano i differenti modelli di R-A proposti.
    Possiamo distinguere tra due modalità, sintetica e analitica, utilizzate per definire le fasi della R-A. Un esempio emblematico di rappresentazione sintetica delle fasi di R-A è presente nel contributo di Cunningham (1976), nel quale sono individuate quattro fasi nella procedura della R-A: a) avvio/individuazione del problema; b) formazione del gruppo; c) progettazione dell’azione, d) attuazione della ricerca.
    Un esempio indicativo di una rappresentazione analitica, caratterizzata da una descrizione ampia e dettagliata delle fasi della R-A, è quello proposto da Coggi e Ricchiardi (2010), che individuano undici fasi principali della R-A: 1) manifestazione della difficoltà o problema; 2) formazione del gruppo; 3) definizione sistematica del problema con un ricercatore; 4) formulazione degli obiettivi della ricerca; 5) individuazione delle possibili azioni; 6) scelta delle modalità per rilevare le informazioni; 7) rilevazione iniziale; 8) introduzione del trattamento; 9) verifica del trattamento; 10) valutazione finale; 11) sviluppo ulteriore. L’esame approfondito dei molteplici modelli di R-A proposti permette di rilevare scansioni o snodi  molto simili tra loro indipendentemente dalla modalità, sintetica o analitica, seguita per giungere alla individuazione e descrizione delle singole fasi. Un aspetto molto interessante da mettere a fuoco è la tendenza presente nella maggior parte dei modelli di R-A a definirsi come “continui”: nessun modello infatti auspica la conclusione o l’interruzione del circuito “osservazione, riflessione e azione”, ma tutte le proposte indicano sempre gli sviluppi possibili della ricerca, in continuità o discontinuità con le azioni svolte in precedenza. La R-A è nel complesso rappresentata come una strategia che si sviluppa in modo ricorsivo, ciclico o a spirale e che indipendentemente dal tipo e numero delle fasi o dei passaggi indicati dai singoli autori, manifesta alcuni suoi elementi caratteristici che dovrebbero essere interpretati assumendo una prospettiva dinamica e processuale e non ricorrendo agli approcci tradizionali che spesso rischiano di ridurre la dinamica dei processi osservati trasformandola in una prevedibile e persino pianificabile successione di fasi rigidamente consequenziali.
    Benché tutti i passaggi previsti dai differenti modelli di R-A abbiano la stessa rilevanza e meritino la medesima attenzione i passaggi cruciali della R-A sono soprattutto quello iniziale, durante il quale occorre individuare il problema da affrontare e quello della formazione del gruppo.
    La progressiva maturazione del gruppo, in particolare, è precondizione essenziale per l’efficacia del lavoro di ricerca e prevede: l’adesione spontanea, l’individuazione di obiettivi realistici, significativi e sostenibili, la condivisione delle scelte procedurali, la specificazione dell’impegno e dei ruoli di ciascuno dei membri.
  4. Ricerca longitudinale e cicli di R-A
    La riflessione sulla dimensione temporale della R-A e sul tratto della “ricorsività” che la caratterizza si collega alla questione dei cicli di R-A. La R-A dunque non si esaurisce in un unico ciclo o percorso ma, dalla fase progettuale, dovrebbe già prefigurare lo sviluppo di successivi cicli di R-A, collocando sempre più sia la ricerca sia l’azione in una prospettiva diacronica di media o lunga durata. Le prospettive di ricerca longitudinali sono oggi considerate tra le più efficaci per comprendere in profondità alcuni degli aspetti che definiscono la complessità della vita attuale delle persone e delle organizzazioni, sempre più sottoposte a relazioni e dinamiche imprevedibili e spesso ambigue e contraddittorie.
    A fronte di concezioni che considerano la R-A insieme alla ricerca etnografica e allo studio di caso, una delle tre strategie più importanti di ricerca qualitativa in educazione (Coggi, Ricchiardi, 2010), alcune esperienze di cicli di R-A condotti in ambiti differenti scolastico, sociale, sanitario, lavorativo, urbanistico, ecc. testimoniano la possibilità di svolgere iniziative inserendo nella procedura di R-A metodi quantitativi e persino strumenti standardizzati, senza il timore di snaturare una strategia che rimane prevalentemente qualitativa.
    Assai diffusa è la tecnica della triangolazione degli strumenti così come dei punti di vista dei diversi attori coinvolti nel contesto osservato. Le pratiche di R-A, soprattutto quelle che si sviluppano in più cicli, si avvalgono dell’uso integrato di un’ampia gamma di strumenti quali: questionari, colloqui e interviste, diari, focus group, griglie di osservazione, prove oggettive, ecc., il cui utilizzo è finalizzato a individuare piste di cambiamento e innovazione dei contesti osservati. Fare ricerca è un’attività riflessiva, per questo chi è impegnato nell’indagine educativa dovrebbe ragionare per aperture e non per chiusure, considerando la possibilità di avvalersi nei differenti cicli di R-A sia di approcci quantitativi sia qualitativi da considerare “come due possibili vie di accesso al reale da usare in modo interscambiabile o combinato riguardo all’obiettivo contingente che il ricercatore si pone” (Trinchero, 2012, p. 85). La riflessione sulle nuove esigenze della ricerca educativa oltre al riferimento a modelli procedurali ciclici di R-A fa emergere anche le implicazioni tra R-A e cura delle comunità di pratica.
  5. R-A e cura delle comunità di pratica
    La R-A considerata in una prospettiva di cicli che si susseguono e che contribuiscono a qualificare una prospettiva di ricerca longitudinale nella quale possono integrarsi in vario modo strategie e tecniche sia qualitative sia quantitative consente di sviluppare alcune importanti riflessioni che coinvolgono le comunità di pratica. In particolare laddove alla prospettiva wengeriana della “coltivazione” delle comunità di pratica (Wenger, 1998, 2002) si preferisce un approccio che vorrebbe promuovere, sostenere e prendersi cura delle comunità di pratica (CdP) il metodo della R-A, unitamente ad una teoria costruzionista dell’apprendimento, diventano “lo sfondo di riferimento che innerva la prospettiva volta alla cura delle CdP” (Lipari & Scaratti, 2014). Il confronto con i problemi da parte di attori che interagiscono tra loro e si confrontano con esperti produce conoscenza e cambiamento: l’una legittimata dal consenso di coloro che l’hanno prodotta e l’altro corroborato dagli effetti trasformativi prodotti dall’azione svolta sul campo.
    Questa prospettiva che avvicina la R-A alla cura delle CdP è molto interessante ai fini della ridefinizione del ruolo del ricercatore perché “sottolinea il tratto irriducibilmente implicante degli esperti coinvolti: la loro azione non consiste in un intervento esterno portato-là-doverichiesto dal committente che li ha ingaggiati allo scopo di produrre conoscenza; consiste piuttosto in un lavoro in cuiinsieme agli attori interessati – si produce simultaneamente conoscenza e cambiamento” (Lipari & Scaratti, 2014, p. 218). L’intreccio tra R-A e comunità di pratica è ben esplicitato nell’ambito di una recente esperienza di R-A mediaeducativa particolarmente attenta alla costruzione e cura di quelle CdP che riflettono su ambienti e strumenti nel momento in cui li utilizzano, producendo teoria e pratiche mediaeducative. Appare interessante il riferimento ad una ciclicità più ampia della R-A, in grado di esprimersi a tre livelli/contesti, macro, intermedio e micro, capaci di porsi come “complementari e utili alla crescita di una comunità di pratica nella quale tutti gli attori agiscono al medesimo livello di importanza, seppur con competenze differenti” (Parola, 2014, p. 260). I tre livelli della R-A consentirebbero al gruppo di riflettere più approfonditamente all’interno di un circuito scientifico riconosciuto che stimola collegamenti significativi tra le dimensioni micro (classe/scuola), intermedia (partenariato locale) e macro (policy).
  6. Questioni aperte
    Alcune questioni sono ancora oggi aperte: problemi metodologici; ruolo dei soggetti partecipanti alla ricerca; criteri di verifica e valutazione degli esiti di ricerca; trasferibilità degli esiti in contesti nuovi e diversi; integrazione tra lavoro personale, lavoro di gruppo e reti di lavoro partecipate, in presenza e online; uso delle arti nella R-A per generare conoscenze e d esplorare nuove forme di rappresentazione; difficoltà di pervenire ad un modello di R-A riconosciuto e codificato dalla comunità scientifica. Il dibattito sulla R-A considera il rapporto tra ricercatore e operatore ambivalente e spesso condizionato dai pregiudizi reciproci, soprattutto da quelli manifestati dagli operatori nei confronti dei ricercatori. Nelle fasi di progettazione e pianificazione dei cicli di R-A assume dunque una rilevanza strategica la chiarificazione delle differenti forme di collaborazione che si intendono valorizzare (Kemmis, McTaggart, Retallick, 2004; Heron, Reason, 2006; Stringer, 2007). In Italia il dibattito sulle implicazioni tra l’orientamento Evidence Based Education (EBE) e la R-Aha rivitalizzato la riflessione sul rapporto tra ricerca educativa e pratica didattica. La diffusione della EBE, da una parte ha fatto emergere la critica al modello autoreferenziale di R-A, quella in cui si ipotizza un insegnante ricercatore che imparerebbe da sé attraverso l’autoriflessività (Calvani, 2011); dall’altra ha sollecitato una riflessione sulla effettiva possibilità, per l’insegnante, di svolgere il ruolo di professionista che produce conoscenza, e che assume decisioni informate utilizzando evidenze di ricerca da lui stesso rilevate.
 

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(1) I paragrafi 1 e 6 riprendono le riflessioni illustrate nel contributo di Moretti, G. (2014). Ricerca-azione. In: D. Lipari, S. Pastore  (a cura di), Nuove parole della formazione, p. 203-210. Roma: Palinsesto.