Acquisire competenze per il lavoro interculturale in diversi settori (educativo, sociale, culturale, di ricerca, organizzativo) attraverso un percorso universitario costituisce una sfida dall’esito non scontato. L’esperienza del Master in “Competenze interculturali. Formazione per l’integrazione sociale”, promosso dall’Università Cattolica di Milano e giunto alla dodicesima edizione, ha affrontato in questi anni – con i docenti e con gli studenti - tale impegnativo compito.
“Intercultura” è l’oggetto di studio del Master e nella programmazione didattico formativa, è declinata in specifiche competenze interculturali: proprio l’attenzione allo sviluppo di competenze giustifica l’utilizzo, nel titolo del Master, del termine “formazione”, ad indicare la preoccupazione costante, lungo tutto il percorso formativo, per  l’acquisizione di saperi utilizzabili in situazione.
Una preoccupazione che non sempre si è coniugata e si coniuga con la tradizione e con la cultura formativa accademiche, ma che si è tradotta, nel corso degli anni, in una ricerca costante, da parte dell’équipe didattica del Master 1, di nessi tra contesto universitario, temi di apprendimento  interculturali e processi formativi.
Un aspetto specifico di tale ricerca e oggetto di analisi in questo articolo, è costituito dal tentativo di individuare modalità formative capaci di promuovere e sostenere lo sviluppo, in situazioni reali, delle competenze oggetto di formazione.
Se è vero che nell’impianto formativo del Master, sin dalla sua prima edizione, hanno trovato spazio – oltre a tradizionali lezioni frontali – momenti di lavoro individuale e di gruppo, laboratori monografici e di supporto alla rielaborazione formativa delle conoscenze proposte, tirocini presso realtà operanti in ambito interculturale, nel corso delle ultime tre edizioni però, l’équipe didattica ha valutato la necessità di integrare nella programmazione didattica, un modulo formativo specifico, il Progetto Formazione Intervento (PFI), finalizzato proprio a rinforzare ulteriormente lo sviluppo, in situazioni reali, delle competenze interculturali.

Il Progetto Formazione Intervento
Il PFI prevede un “trasferimento” delle attività formative dalle aule universitarie ad una realtà territoriale specifica caratterizzata da situazioni di pluralismo culturale e introduce nella didattica alcuni aspetti operativi specifici di acquisizione ed esercizio delle competenze 2.
Dal punto di vista metodologico, il PFI si presenta come attività formativa connotata da alcune dimensioni qualificanti:

  • l’adozione di una metodologia propria della “formazione per problemi” (situazioni-problema);
  • il recupero di elementi della logica della ricerca-intervento in comunità territoriali;
  • l’utilizzo e la declinazione di differenti contributi disciplinari (organizzati per competenze) in relazione alla concreta situazione-problema che si intende affrontare.

Organizzativamente, viene realizzato un primo modulo intensivo di tre giornate, finalizzato a:

  • porre studentesse e studenti partecipanti in condizione di acquisire elementi di conoscenza della realtà territoriale e delle principali caratteristiche, dinamiche e problematiche di carattere interculturale;
  • utilizzare strumenti di carattere sociologico, antropologico e di lavoro di comunità per una descrizione e comprensione della realtà locale;
  • individuare la/e situazioni-problema che affronteranno successivamente in modo specifico.

Gli output di questo primo modulo intensivo consistono, da un lato, nell’elaborazione, da parte di studentesse e studenti, di un profilo della comunità locale dal punto di vista delle problematiche connesse all’immigrazione e, dall’altro, nell’individuazione e descrizione di situazioni-problema significative intorno alle quali articolare il lavoro progettuale della fase successiva.
Il secondo modulo intensivo di tre giornate è invece maggiormente orientato a sviluppare capacità di progettazione e programmazione degli interventi ed è finalizzato a:

  • progettare interventi (circoscritti, ma significativi dal punto di vista formativo) educativi, sociali, culturali di carattere interculturale per affrontare le situazioni-problema in precedenza individuate ed analizzate;
  • utilizzare gli approcci e strumenti di progettazione e preparazione degli interventi proposti in aula durante le attività formative svolte in precedenza;
  • utilizzare i contenuti disciplinari proposti nel corso delle attività d’aula precedenti.

Nel corso dei tre anni di attuazione del PFI, coerentemente con l’approccio di ricerca azione adottato, le finalità del PFI si sono ulteriormente declinate e specificate e il lavoro di ricerca, di riflessione, di verifica realizzato con le studentesse e gli studenti, con i docenti, nei quartieri, ha permesso di focalizzare ulteriori specificità metodologiche e formative importanti che di seguito provo a descrivere.

Per un’intercultura trasversale
Se l’obiettivo del Master è lo sviluppo di competenze interculturali, e non solo l’acquisizione di saperi, il PFI si caratterizza come modulo formativo costantemente orientato a sostenere e costruire mediazioni e connessioni tra quattro dimensioni tra loro interagenti:

  • i saperi e le teorie che fondano e caratterizzano la prospettiva interculturale e che derivano da discipline diverse: pedagogia interculturale, sociologia dei processi migratori, antropologia, didattica, progettazione e animazione interculturale, sociologia della comunicazione, diritto delle migrazioni…;
  • le storie, le aspettative, i progetti di sviluppo professionale di studentesse e studenti;
  • i contesti sociali territoriali dentro ai quali si realizza il PFI;
  • le professionalità e forse, meglio ancora, le competenze di tutti quei professionisti che in questi contesti operano e lavorano.

La ricerca costante di una mediazione tra queste diverse dimensioni è una attenzione formativa specifica del PFI, necessaria per evitare – da un lato - di “parlare di intercultura” e, dall’altro,  per non scadere in un “fare senza ipotesi”: le soluzioni didattiche che integrano aspetti teorici e pratici sono essenziali per formare e accompagnare studentesse e studenti all’incontro, oltre le idealizzazioni, con il pluralismo sociale, professionale, culturale che - prima di divenire prospettiva  autenticamente interculturale - spesso si manifesta sotto forma di  non conoscenza, diffidenza, separatezza,  conflitto (Bennet, 2015).
Per incontrare, per conoscere e comprendere i contesti, le persone, le dinamiche sociali dei territori è importante porsi in ascolto, ricercare, comprendere, abbandonare letture stereotipate o troppo semplificanti dei territori e riconoscerne le sfumature, le specificità, le contraddizioni.  Il PFI promuove processi di conoscenza e strategie di collaborazione con soggetti del territorio, prettamente interculturali, attenti cioè a cogliere la densità di sguardi e di significati che nei territori si incontrano, a decentrarsi rispetto alle proprie modalità di pensiero e di azione, a orientarsi verso la ricerca di “spazi di incontro”: “pensare l’intercultura facendola, fare l’intercultura pensandola”.

Da gruppo a gruppo interculturale
Il PFI è anche occasione importante per lavorare con il gruppo e per accompagnare il gruppo di studentesse e studenti a riconoscere a sperimentare la sua specificità interculturale.
Studentesse e studenti che frequentano il Master sono appunto, in primis studenti, alcuni neo laureati, altri operatori sociali ed educativi, insegnanti, operatori della cooperazione internazionale che già lavorano in contesti interculturali e che nella frequenza del Master ricercano una specializzazione specifica nell’ambito del lavoro interculturale. E ci sono anche studentesse e studenti di origine straniera che lavorano in servizi o progetti interculturali, con una laurea non sempre coerente e che necessitano di un percorso formativo che formalizzi e integri le competenze acquisite nell’esperienza personale e professionale.
Un gruppo, tante biografie personali e professionali che proprio per età, lingue, culture, storie molto differenti, contengono in sé un potenziale interculturale che in aula fatica ad emergere, anche per il prevalere di uno studio individuale, ma che nel PFI trova occasioni, spazi, tempi per darsi.
Il gruppo, nell’uscire dall’aula e dal setting universitario, nel “trovarsi in situazione”, si scopre plurale e può farsi interculturale.
Il PFI accompagna gli studenti fuori dall’aula, in territori che non conoscono, in situazioni talvolta spiazzanti, propone loro scene e scenari anche poco noti (si pensi all’incontro con la periferia metropolitana per chi vive in un piccolo paese…). L’incontro con i territori non solo chiede di attingere anche a risorse personali, relazionali per orientarsi, per riuscire ad entrare in ascolto, per stare anche nell’incertezza del poco noto, ma chiede anche di condividere strategie, con il gruppo, per decidere come muoversi, chi incontrare, quali priorità di ricerca darsi. Un setting formativo che chiede di attingere a quanto studiato fino a quel momento, ma che attiva una immersione anche personale e relazionale molto vicina a situazioni lavorative reali: il lavoro sul territorio, il lavoro di équipe, scadenze e compiti, l’incontro con la rete di servizi e organizzazioni…
Il gruppo, nel PFI, si fa gruppo di apprendimento e gruppo interculturale nel senso che elabora e trova risorse e strategie per collaborare, per condividere una mappa di lettura e comprensione del territorio e del proprio stare in quel territorio, negozia strategie di relazione, di comunicazione, di decisione che in aula difficilmente sarebbero emerse.

Mediare l’incontro con il territorio
Il PFI deve collocarsi e prendere forma in un “perimetro territoriale” particolare che è importante presenti alcune caratteristiche:

  • è strategico individuare un contesto territoriale in cui convivano gruppi ed etnie diverse e dove il  pluralismo culturale “ponga e proponga questioni e sfide interculturali”;
  • è importante che il contesto sia ricco e popolato di attori sociali, di progettazioni, servizi e interventi, ma che non sia saturo e contenga in sé “situazioni-probema” intorno alle quali poter progettare;
  • il PFI assume valenza formativa se è capace di individuare un contesto locale sufficientemente grande da contenere in sé attori, professionalità, organizzazioni differenti, ma sufficientemente perimetrato per permettere agli studenti di posizionarsi e orientarsi in un tempo breve;
  • è importante, a garanzia del valore formativo del PFI, individuare dei mediatori, degli operatori locali che conoscano bene il territorio, i suoi abitanti, le dinamiche, le relazioni e che possano accompagnare, anche attraverso una prima selezione e un primo filtro, studenti e docenti all’incontro con testimoni privilegiati e in “visite” in “punti e spazi” particolarmente significativi del quartiere. Operatori mediatori del territorio che offrono a studentesse e studenti una prima narrazione, non satura, di ciò che incontreranno, che aprono problemi, che accompagnano senza sostituirsi, che offrono una prima mappa, parziale, per orientarsi e per muoversi.

Il PFI si caratterizza come dispositivo formativo attento a ricerca una mediazione costante tra “vita del territorio e studenti”, per non “buttare studentesse studenti nella bolgia della complessità (e talvolta della conflittualità) sociale” e per non correre il rischio di metterli nella condizione di “ritirarsi” per la fatica a gestire un livello di complessità eccessivo, o di banalizzare il processo conoscitivo e di non cogliere la densità della storia del territorio e le dinamiche sociali e interculturali che lo attraversano.

Sostare nell’aula temporanea
Il PFI prevede e propone un decentramento rispetto all’aula universitaria: studentesse, studenti e docenti nel PFI, cambiano aula, svolgono le lezioni presso uno spazio offerto da organizzazioni del territorio (sedi di cooperativa ed organizzazioni sociali del territorio), “escono” sul territorio e incontrano cittadini, operatori sociali, amministratori, abitanti del quartiere che li aiutano nella costruzione della conoscenza di quel territorio attraverso interviste, dialoghi, osservazioni, analisi di dati, ricerche documentali. Nel PFI, studentesse studenti camminano, si muovono, vanno ad incontrare i testimoni privilegiati, attraversano vie, piazze, giardini, dialogano con le persone, fanno fotografie, elaborano mappe dei luoghi che osservano. E poi ritornano nella loro aula, temporanea, dove, insieme ai docenti, rielaborano, rileggono, decodificano quanto scoperto, ascoltato, visto.
Per un verso, il PFI allestisce un’aula temporanea in cui quanto ascoltato e osservato nelle uscite e negli incontri viene sistematizzato e ricomposto, grazie anche all’accompagnamento dei docenti e agli apprendimenti sviluppati, in precedenza, in università.
Per un altro verso, gli apprendimenti sviluppati precedentemente nelle aule dell’università, nell’immersione in situazione, si ampliano, si articolano, acquisiscono una densità maggiore, trovano la possibilità di declinarsi in competenze e di integrare ed arricchire il percorso di formazione personale e professionale di studentesse e studenti.
È nell’aula temporanea che diventa possibile costruire mediazioni e connessioni  tra il qui ed ora del PFI e ciò che accade, prima e dopo, in università, è nell’aula temporanea che studentesse e studenti “riportano l’esperienza” e la riattraversano per sperimentare modi e forme specificatamente interculturali, per conoscere, interagire, collaborare.

Riferimenti Bibliografici

Bennett M., Principi di comunicazione interculturale, Angeli, Milano 2015
Bruner J., La ricerca del significato. Per una psicologia culturale, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.
Reggio P., Il quarto sapere. Guida all’apprendimento esperienziale, Carocci, Roma, 2010.
Reggio P. - Santerini M. (a cura di), Le competenze interculturali nel lavoro educativo, Carocci, 2014.
Santerini M. –  Reggio P.  (a cura di), Formazione interculturale: teoria e pratica, Unicopli, Milano, 2007.
 


1 Il Master è stato diretto dalla prima edizione (a.a. 2002-03?)  dalla prof. M. Santerini; a partire dall’ a.a.2013-14 (undicesima edizione) la direzione è stata svolta dalla prof. M.Colombo; il coordinamento didattico è stato sempre svolto dal prof. P. Reggio; tutor e componenti dell’équipe didattica sono stati Elisabetta Dodi, Ulderico Maggi e Monica Oppici

2 Nel corso di questi anni il PFI è stato realizzato in alcuni quartieri di Milano: Dergano (a.a. 2012-13) e Giambellino (2013-14 e 2014-15)