L'estate scorsa ho conosciuto un ragazzo mio coetaneo, nato e cresciuto a Firenze, figlio di due genitori marocchini che, da diversi anni, dopo la maturità, si è trasferito a Parigi per l'università. Mi raccontava di essere convintamente ateo e orgogliosamente omosessuale. Mi diceva di non conoscere l'arabo e di non ricordare con gran piacere i periodi estivi in cui da piccolo lo portavano dai nonni e dai cugini, non so più in quale città del Marocco. Come se volesse rispondere a una mia domanda, come se già la conoscesse e io stessi per porgergliela, mi rispose: “No, io non sento le mie radici marocchine. E neanche tanto quelle italiane, visto che a Firenze ci torno giusto per vedere i miei, mentre la mia vita, i miei amici, i miei interessi e casa mia sono a Parigi.”
Quella sua affermazione mi fece molto riflettere. Intanto mi aveva colpito che l'aveva detto quasi con dispiacere di dispiacermi, come se io invece avessi assai desiderato che mi raccontasse il contrario e mi aspettassi un suo commento esotico e purtroppo invece lui dovesse precedermi e deludermi con la cruda verità. Poi, quella sua affermazione mi fece ragionare sul fatto che il concetto delle “mie radici” è qualcosa di nettamente sopravvalutato, eppure apparentemente obbligatorio, nel raccontarsi e nel decostruire un'autobiografia. D'altronde, riflettevo, può darsi che il “sentire” un'origine, delle radici culturali, una sorta di background intellettuale eppure materialmente genetico, sia come provare un'aderenza zodiacale alla propria sostanza individuale e originale di persona. Per ultimo feci una riflessione più politica: tutti i Salvini, i Minniti, le Le Pen, gli Orbán, le Albe dorate, le Alternative für Deutschland etc. etc., con i loro muri, i confini, i Cpt o i Cie e le violenze verbali o fisiche, non potranno in nessun modo arrestare l'inevitabile realtà di un mondo in cui le persone viaggiano, si muovono e si scambiano idee e esperienze.

Questa Unione Europea non è la soluzione. Questa Unione Europea è invece la causa, la malattia che ha come sintomi dolorosi e debilitanti l'odio xenofobo e la chiusura nazionalista. Eppure, penso, l'Unione non può che essere la soluzione e la medicina per curare se stessa.
Mi spiego. L'Unione Europea attuale si basa sostanzialmente su due principi: la competizione economica tra gli Stati che ne fanno parte e la libertà, praticamente deregolamentata, di movimento per prodotti e merci, per capitali, finanze e imprese. È evidente che questo sistema non possa funzionare visto che crea naturalmente e necessariamente baratri di disuguaglianze e cosiddette guerre tra poveri. Se per fare il pecorino conviene comprare il latte in Polonia, è ovvio che i pastori sardi non sapranno più che farsene dei loro prodotti. Se conviene, ed è possibile, spostare la fabbrica in un paese dove i diritti sindacali degli operai sono più arretrati, è ovvio che altrove si creeranno disoccupati. E così via: più sfruttati da una parte, più disoccupati da un'altra. È semplice quanto banale. In più c'è un terzo asse su cui si basa questa Unione: ogni Stato membro è obbligato a rispettare un vincolo nel proprio bilancio, vincolo stabilito negli uffici dell'Unione Europea. Giocoforza questo sistema ha creato al proprio interno pulsioni e propulsioni autodistruttive.
Per fini elettorali, per qualche voto in più, hanno inventato il problema perennemente emergenziale dell'immigrazione: folle di gente senza scrupoli che premono ai confini di terra e di mare per derubarci di pane, lavoro e donne e poi magari farsi esplodere in una chiesa... D'altronde è molto più semplice e veloce dare la colpa di qualsiasi catastrofe all'uomo nero o allo zingaro sotto casa, piuttosto che soffermarsi a spiegare che a Bruxelles hanno deciso di lasciar scegliere al mercato chi mangia e chi digiuna, chi si fa sfruttare e chi fa il disoccupato, chi vive e chi muore.
Altrettanto sbrigativa è l'opzione di chi propone di uscire dall'Unione. Chiudersi a riccio, sigillarsi nei propri confini, godere della propria solitudine, autocelebrare la propria presunta unicità e scegliersi liberamente gli amici e i capri espiatori. Tale prospettiva mi appare perfino più spaventosa del presente malato. Decine e decine di egoismi, rancori, xenofobie, paure, diffidenze, indifferenze e chiusure. Qui in Italia torneremmo ai tempi di “Roma ladrona!”, continueremmo a mortificare il Meridione, a sviluppare sistemi sanitari e scolastici di serie A e di serie B, ad arricchire Regioni già ricche e a impoverire le più povere. Certo, è esattamente ciò che accade anche adesso, ma proprio per mano di quelle forze politiche che fanno dell'antieuropeismo, del razzismo, del nazionalismo e del populismo pauperista la propria bandiera.
All'Unione Europea non resta che riformarsi completamente, rivoluzionarsi, mettendo al centro di una propria Costituzione i popoli e gli individui, applicando un unico sistema fiscale, un unico sistema di welfare e un solo sistema di diritti dei lavoratori. L'Unione Europea guarirà solo quando passerà dalla competizione alla solidarietà tra gli Stati membri. Anzi, federati.