Mi chiamo Cristina Ceccarelli, ho 31 anni e sono nata a Roma, dove ho vissuto la maggior parte della mia vita.
Mi sono diplomata al liceo classico Augusto di Roma nel 2006, per poi continuare gli studi in Scienze politiche presso l'Università "La Sapienza" (sempre a Roma), dove mi sono laureata nel 2011. Aggiungo che attualmente la mia sede di lavoro è… Roma!
Fino a qui la mia storia sembrerebbe molto ancorata alla mia città natale e all’Italia, ma scoprirete a breve che la realtà è ben diversa.

È stata sufficiente un’esperienza di studio all’estero presso la Copenhagen Business School per cambiare completamente la prospettiva della mia vita.
Quando sono partita nel gennaio del 2011, ho scelto Copenhagen come destinazione del mio Erasmus principalmente perché volevo praticare l’inglese e la Danimarca era uno di quei paesi disponibili, dove la popolazione si può considerare quasi bilingue. Ricordo perfettamente una delle prime lezioni introduttive che l’Università aveva organizzato per accogliere gli studenti stranieri, in cui si sottolineava di dover essere pronti ad affrontare uno shock culturale. Dopo una prima fase di entusiasmo, ci dissero che era molto frequente soffrire di un sentimento di distanza e di spaesamento, e di dover resistere per trovare la nostra dimensione.
In quel momento non capivo bene cosa volesse significare questo “shock culturale”, e avevo percepito quell’avvertimento come troppo allarmista.
Poco tempo dopo però, iniziai a realizzare a cosa facessero riferimento.
Dopo circa un mese dal mio arrivo iniziai a sperimentare come alcuni stereotipi nazionali a volte non sono troppo lontani dalla realtà. Tra le varie persone che stavo conoscendo, riscontravo delle affinità quasi naturali con amici spagnoli, portoghesi e italiani, mentre era abbastanza difficile entrare in confidenza con le persone locali o provenienti dai paesi scandinavi. Ad esempio, vivevo con una ragazza finlandese, Reetta, che inizialmente non accettava nemmeno che le offrissi un caffè o che passava la maggior parte del suo tempo chiusa nella sua stanza. Un approccio che era molto diverso dal tipo di relazioni interpersonali a cui ero abituata.
Ancora più scioccante era partecipare a cene in cui ognuno doveva portarsi le proprie bevande e non condividerle come invece siamo soliti in Italia e in tutti i paesi mediterranei!
Erano tante le differenze che stavo riscontrando, non ultimo il clima nordico effettivamente impattante sulla vita quotidiana, soprattutto perché al di là del freddo, sono tante le giornate in cui il cielo è grigio e non si intravede neppure un barlume di sole.

Nonostante questo però, sono stata felice di ricredermi e di realizzare come gli stereotipi dimostrino di avere i propri limiti e di essere solo una prima fase di passaggio nella conoscenza delle persone. Al termine del mio soggiorno, la mia coinquilina finlandese mi invitava ogni giorno a prendere il caffè insieme e mostrava sempre più affetto verso di me. Ovviamente prima di salutarci non ho potuto non regalarle una moca italiana. Ed io che ero partita con l’obiettivo di imparare bene l’inglese, sono tornata in Italia parlando il danese e con una nuova passione che avrebbe impattato di molto sulle mie scelte future.

In Danimarca, oltre che sostenere esami per completare la magistrale, stavo anche scrivendo la tesi sul ruolo del Parlamento danese nel processo decisionale europeo. Proprio nelle giornate chiuse nella bellissima libreria nazionale che chiamano “Black Diamond”, avevo iniziato ad incuriosirmi sul progetto europeo, su cosa significasse realmente, su quali fossero le opportunità insite nell’Unione europea.
Vivere in un paese con una cultura così diversa, coltivare amicizie con persone provenienti da tutta Europa, aveva iniziato a creare in me un interesse sempre più forte per una dimensione che fino a quel momento non avevo troppo preso in considerazione. Proprio in quei mesi mi capitò di vedere un annuncio su Facebook in cui si parlava delle carriere europee e lessi che era possibile sostenere dei concorsi per lavorare in Unione europea.
Completamente ignara di cosa volesse realmente significare, ma incuriosita da questa prospettiva, decisi di provare il concorso europeo EPSO. È un concorso che è possibile sostenere in qualsiasi paese europeo. Mi iscrissi, presi un treno per arrivare al centro EPSO più vicino e feci l’esame.
Ad oggi posso dire che fortunatamente non superai quel concorso, ma fu per me un primo momento in cui iniziai a capire che le mie aspirazioni lavorative non erano legate ad una dimensione solamente nazionale.

Tornata a Roma, nel dicembre dello stesso anno mi laureai e a quel punto avevo abbastanza chiaro in mente che avrei voluto lavorare in un settore che mi permettesse di avere contatti in tutta Europa. Essendomi laureata in Scienze politiche e avendo delle ambizioni legate anche al mondo istituzionale, iniziai a contattare tutte quelle istituzioni che avessero degli uffici dedicati agli affari europei.
La mia ricerca, basata essenzialmente su invio di CV e lettera di motivazioni, finì per essere accolta dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea.
Una particolare coincidenza volle che la persona che mi reclutò aveva studiato nella mia stessa università a Copenhagen. Da quel momento ho lavorato presso il settore politico della Rappresentanza della Commissione europea per quasi quattro anni, fino al dicembre 2015.
Anche la Rappresentanza presentava quel micro-cosmo multiculturale che avevo vissuto durante la mia esperienza Erasmus: colleghi da tutta Europa, ognuno con il proprio portato culturale e abitudini diverse. Ovviamente non poteva mancare anche un collega danese, Christian.

Da ognuna di queste persone ho appreso moltissimo e la lista diventerebbe troppo lunga se dovessi nominarli tutti, ma posso affermare che grazie ad ognuno di loro ho avuto modo di apprendere gli aspetti più tecnici del lavoro, ma anche di sviluppare ulteriormente una sensibilità interculturale necessaria per rapportarsi con persone di culture diverse.
La mia esperienza in Rappresentanza fu inoltre decisiva per le scelte lavorative che di lì a poco avrei fatto. Anche qui posso dire che l’Europa ci ha messo uno zampino.
In quegli anni infatti avevo iniziato ad interessarmi all’ambito della progettazione europea, vale a dire a quel settore che permette di svolgere progetti internazionali finanziati dalla Commissione europea, in alcuni settori chiave in cui essa intende intervenire. Proprio in Rappresentanza ho avuto l’opportunità di conoscere delle persone che condividevano questa mia stessa passione: Erika e Gianna.
Da quel momento abbiamo iniziato a pensare a come poter mettere a frutto le nostre diverse competenze, a come poter realizzare quello che allora sembrava essere un sogno nel cassetto: lavorare in proprio realizzando progetti che permettessero di far sentire l’Europea più vicina alla società.
Proprio da questa idea nel settembre 2014 è nata Euphoria, un’associazione con la quale abbiamo deciso di lanciare progetti europei nel settore dell’educazione. Il nome stesso della nostra associazione racchiudeva la nostra ambizione: oltre a portare il “bene”, avremmo voluto portare avanti anche gli ideali dell’Unione europea.
Dal gennaio 2016, anno in cui decisi di dedicarmi completamente a questa nuova attività, sono ormai passati 3 anni, e di seguito proverò a riassumere cosa è successo da allora:
•    abbiamo incontrato più di 2.000 insegnanti e dirigenti scolastici italiani e non durante corsi di formazione organizzati per le scuole per sviluppare la loro dimensione internazionale e modernizzare le metodologie di insegnamento e apprendimento;
•    abbiamo vinto 6 progetti europei Erasmus Plus;
•    lavoriamo con partner provenienti da Grecia, Spagna, Portogallo, Ungheria, Irlanda, Svezia, Polonia, Belgio, Romania, Turchia, Bulgaria, Germania, Estonia (e forse ne dimenticherò qualcuno).

Ad oggi lavoro come project manager all’interno di questi progetti, mi occupo sia del loro coordinamento che della comunicazione, e posso affermare di non lavorare a Roma o in Italia, ma in Europa.
Sono in contatto tutti i giorni con partner di paesi stranieri, la mia lingua di lavoro è l’inglese, e spendo almeno 2/4 del mio tempo lavorativo viaggiando proprio per coordinare questi progetti.
Sicuramente la mia realtà attuale è molto diversa dal lavoro di ufficio che mi immaginavo quando avevo iniziato l’Università, ma è proprio questo aspetto che mi rende ancora più motivata.

La mia fortuna è stata quella di avere l’opportunità di svolgere una carriera internazionale, pur rimanendo vicina ai miei affetti e alle mie amicizie. Ma devo ammettere che ci sono ormai tanti altri luoghi in Europa in cui posso dire di sentirmi a casa e in cui ho persone pronte ad accogliermi.
A prescindere dal mio lavoro che per sua stessa natura necessita di contatti in tutta Europa, ho realizzato che in qualsiasi settore l’approccio internazionale sta diventando sempre più importante. Possiamo essere insegnanti, commercianti, ricercatori, liberi professionisti, ingegneri, informatici, ma ormai l’orizzonte europeo è presente in tutte le nostre vite. E non si tratta solo di un obbligo astratto. L’arricchimento che può derivare dal confronto con l’altro, non ha assolutamente prezzo.
Dicendo questo non voglio dire che l’Europa sia un progetto perfetto, né tanto meno che non abbia le sue storture. Ma nonostante questo è un dato di fatto che essa rappresenti la nostra nuova dimensione, e chiunque ha bisogno di strumenti appropriati per saper leggere questa nuova realtà.

Essere cittadini europei per me significa principalmente vivere l’Europa come la propria casa, apprezzarne le opportunità che ne derivano in termini lavorativi e di diritti, e mettersi in campo in maniera attiva qualora si voglia intervenire per modificarne la rotta, perché esistono degli strumenti per farlo.
Un cittadino europeo ideale, a mio avviso, è colui che, pur continuando ad essere ancorato ai propri valori e tradizioni, non ha paura della diversità, sia essa culturale, etnica, religiosa, di orientamento politico, ma ne sappia cogliere delle opportunità di crescita personale e sociale. Solo se si è in grado di abbracciare le differenze, si può realmente vivere non solo in Europa, ma nel mondo.