Il "marginale secante". Ovvero il consulente servitore di due padroni (o più)

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​La teoria del "marginale secante" – elaborata da Michel Crozier e Erhard Friedberg in Attore sociale e sistema (tr. it., Milano, Etas, 1978) per descrivere le posizioni organizzative di confine, di quegli attori cioè che sono in grado da un lato di presidiare quello spazio (interno) dell’organizzazione riservato ai rapporti con gli ambienti pertinenti dell’organizzazione (e vitali per la sua sopravvivenza e il suo sviluppo) e, dall’altro, di monitorare questi ambienti grazie ad una presenza costante sul terreno e a relazioni rilevanti costruite nel tempo – è un utile referente da cui muovere per istituire delle analogie con un’idea di professionalismo appropriata alle attuali caratteristiche istituzionali, sociali e tecniche di un segmento di mercato del lavoro intellettuale (ricerca, consulenza, formazione, e, più in generale, terziario avanzato) oggi in vertiginosa espansione.

Si tratta di un mercato che – in analogia con quanto avviene più diffusamente nelle società contemporanee globalizzate che hanno adottato modelli marcatamente competitivi e fortemente flessibili – non offre particolari garanzie di stabilità occupazionale e traiettorie di carriera certe.
Da un lato, infatti, le agenzie (sempre più numerose) che richiedono prestazioni specializzate ed altamente qualificate tendono a funzionare secondo modalità di acquisizione di contributi episodici e legati alla durata di progetti temporalmente definiti.
Dall’altro, le agenzie e le istituzioni mature (università e centri pubblici di ricerca principalmente) continuano a funzionare e a riprodursi secondo i modelli tradizionali e ultraconsolidati della cooptazione (dunque prefigurano/ripropongono stilizzazioni di carriera tutte interne all’istituzione e chiuse in essa), in una situazione in qualche modo complicata (specie nell’università, ma anche negli istituti di ricerca e formazione pubblici) dalla crescita delle domande di servizi di un pubblico sempre più numeroso (anche se non sempre molto esigente) che determina la scelta di fronteggiare la domanda  attraverso il ricorso massiccio a contributi esterni e, soprattutto, ad un precariato oscillante tra vocazione alla carriera interna (difficile, competitiva, lunga, a volte frustrante, comunque altamente incerta) e proiezione verso il mercato esterno le cui domande effettivamente costituiscono un punto di riferimento di un certo interesse non solo sul piano della remunerazione economica, ma anche su quello della possibilità di fare esperienze professionalmente rilevanti e gratificanti.


Un attore seduto su due sedie

Questo dilemma (“stare nell’istituzione o nel mercato?”), che riguarda molte delle figure professionali legate al tipo di lavoro intellettuale qui sommariamente descritto (e che sono in condizioni occupazionali incerte tanto nelle università, quanto in altre analoghe agenzie pubbliche), potrebbe essere sciolto avendo come punto di riferimento proprio il “marginale secante”, l’attore organizzativo che, come scrive Friedberg, “sta seduto su due sedie” (E. Friedberg, L’analisi sociologica delle organizzazioni, Roma, Formez, 1986).
Si tratta, in altri termini, di riconoscere le vischiosità dei mercati del lavoro (e la relativa chiusura delle organizzazioni) e di attivare risposte elastiche corrispondenti ad un’idea di flessibilizzazione strategica delle carriere dalla quale sia espunta (emotivamente non meno che razionalmente) l’ossessione dell’appartenenza ad un’unica istituzione.
Non è semplice (sul piano psicologico prima di tutto) accettare un’idea di pluriappartenenza professionale grazie alla quale sia possibile essere al tempo stesso parte (più o meno temporanea) di più organizzazioni/istituzioni.
Si tratta di una modalità che, a ben pensarci, riflette in modo speculare (seppure dal punto di vista della risposta soggettiva) la domanda di flessibilità delle organizzazioni, delle istituzioni, del mercato. In altri termini, in questo caso, sono i soggetti che accolgono l’idea di flessibilità provando a volgerla a loro vantaggio (è noto come invece le organizzazioni, specie le imprese, tendano a reclamare flessibilità, ma al tempo stesso appartenenza/fedeltà – cfr. in proposito le carriere ad elevato grado e sentimento di appartenenza poi stroncate dalla flessibilità descritte da Richard Sennet in L’uomo flessibile (tr. it. Milano, Feltrinelli, 2001).
La strategia della pluriappartenenza professionale disegna una traiettoria di carriera che si costruisce avendo la disponibilità di più radicamenti organizzativi dai quali trarre vantaggio ed ai quali apportare contributi che saranno tanto maggiori quanto più ricche ed articolate saranno le esperienze vissute. Si tratta, in sintesi di presidiare più confini/frontiere (la metafora della frontiera è affascinante poichè allude alle molteplici possibilità implicite nel concetto di apertura e al tempo stesso di chiusura).
Rimanere attivamente al confine equivale ad escludere la strategia della carriera interna (ed unica) tutta legata alla proiezione/approssimazione al centro (o al vertice) di una sola organizzazione. Con tutti i rischi che ne possono derivare, il più scontato dei quali è quello di rimanere comunque, pur essendo dentro, sempre o comunque molto a lungo, alla periferia.


Vantaggi e problemi della pluriappartenenza

I vantaggi della pluriappartenenza (che comunque non nega, anzi, al contrario, postula la lealtà organizzativa/istituzionale – ma la lealtà non è la fedeltà cieca) sono tutti legati all’ampiezza dei margini di libertà che questa prospettiva prefigura.

Pone tuttavia dei problemi da non sottovalutare ma che si possono fronteggiare con successo: lo stress è sicuramente un ingrediente da mettere in conto, così come la certezza di convivere con un’identità ambigua, non definibile secondo categorie consuete, un’identità che si destruttura e si ristruttura momento-a-momento (ma a questo tutto sommato il mondo in cui viviamo ci sta abituando). In ogni caso,  il problema più acuto è quello di far fronte alle diffidenze/resistenze/recalcitranze delle organizzazioni che non tollerano forme di appartenenza limitata, ma reclamano fedeltà.



Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

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