Sono assai diffusi oggi approcci e modelli di intervento formativo, educativo, organizzativo e sociale fondati sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti. Alle origini di tali modalità di azione si rintracciano contributi di ambiti disciplinari differenti: sociologia delle organizzazioni, psicologia e pedagogia sociale, psicologia di comunità. A partire dalle storiche istanze  del paradigma della ricerca-azione formulate da  Kurt Lewin, dai principi dell’educazione attiva di Dewey, diversi contributi teorici ed esperienze concrete hanno arricchito un panorama oggi assai consistente di opzioni metodologiche. Nell’ambito dell’educazione degli adulti il valore della partecipazione attiva dei soggetti alla costruzione della propria conoscenza è  da tempo riconosciuto come fondamentale. Tale centralità – oggi quasi unanimemente dichiarata (benché altrettanto frequentemente disattesa nei fatti) da chi opera nel campo dei processi educativi con gli adulti – trae le proprie origini in alcune prospettive  pedagogiche tra le quali, di particolare rilievo, è il contributo offerto dall’educatore brasiliano Paulo Freire (1921- 1997). Dall’esperienza di alfabetizzazione iniziata da Freire nel Nord-Est brasiliano negli anni ’60 del secolo scorso e attraverso numerose pratiche e teorizzazioni si è venuta formando una prospettiva pedagogica e di intervento sociale peculiare ed oggi diffusa – in differenti forme – in tutti i continenti[1]. La proposta pedagogica freiriana ha segnato profondamente l’educazione degli adulti e le pratiche formative. La centralità che in essa assume il soggetto – individuale e collettivo – nella costruzione della conoscenza trova le proprie ragioni di fondo, innanzitutto, in una critica radicale dei modelli educativi da Freire definiti “depositari” o “bancari” (Freire, 2011). Nella logica depositaria –ancora oggi ampiamente e profondamente diffusa nelle concezioni e pratiche di molti inseganti, formatori, operatori educativi – il sapere è predefinito e predefinibile, codificato in discipline, posseduto da alcuni (gli esperti, gli istruiti) che diventano formatori, insegnanti ed educatori. L’educazione, in tale prospettiva, consiste nella trasmissione del sapere da chi lo possiede a chi non lo ha. La conoscenza va, appunto, depositata in chi deve imparare. Tale concezione presuppone una definizione univoca dei contenuti da trasmettere ed implica inevitabilmente la riproduzione della conoscenza proposta e la sua accettazione acritica e passivizzante. A tale concezione, Freire contrappone una prospettiva di educazione  “problematizzante” e “dialogica”. La conoscenza, in questa accezione, è problema per il soggetto che la deve costruire, questione da affrontare in senso critico non da soli ma attraverso il dialogo tra chi “insegna” e chi “impara”. Nel dialogo si confrontano dialetticamente saperi diversi: quelli prevalentemente teorici entrano in contatto con quelli pratici per produrre nuova conoscenza. Si rintraccia in questa alternativa all’educazione depositaria uno degli assunti fondamentali che ispirano ancora oggi molte soluzioni metodologiche basate sulla partecipazione attiva dei soggetti alla costruzione della conoscenza.

Il secondo elemento cardine che – nella riflessione freiriana – fonda le pratiche di co-costruzione del sapere, è individuabile nel concetto di “coscienza” e in quello ad esso connesso di “coscientizzazione”, termine peculiare della pedagogia freiriana (Freire, 2012). La coscienza, secondo Freire, è relativa al rapporto tra soggetto e mondo (Reggio – Manfredi, 2007). Quando l’essere umano vive nel mondo e ne subisce unicamente i condizionamenti, la sua coscienza è in uno stato che Freire definisce “intransitivo”: nulla passa tra soggetto e mondo perché lo stato di oppressione – materiale, spirituale, psicologico, cognitivo – è tale da impedire qualunque contatto con la realtà esterna, che unicamente determina le condizioni di vita del soggetto, appunto “oppresso”. Stare “nel” mondo è condizione di ogni essere vivente ma essere “col” mondo è condizione umana specifica. Quando siamo col mondo riusciamo a stabilire con gli altri, con la realtà nella quale viviamo processi di comunicazione e di influenzamento reciproco. Per stare col mondo è necessario sviluppare una coscienza “transitiva” che permette il passaggio comunicativo tra soggetto e realtà del mondo nel quale vive. La coscienza critica viene però distinta, con molta acutezza, da Freire in coscienza transitiva “naturale” e “critica”. La prima è il risultato dell’evoluzione spontanea delle condizioni di vita del soggetto. Il miglioramento delle condizioni materiali ma oggi potremmo anche dire la crescita personale della persona nelle varie età della propria vita,  lo sviluppo cognitivo ed emotivo che consegue naturalmente all’essere in contatto con  la realtà, producono uno stato nel quale il soggetto non subisce più passivamente gli eventi, non è puramente condizionato ma avverte problematicità, incoerenze e contraddizioni. Da questa apertura al mondo nascono domande  ma, quando la coscienza  è ancora “naturale”, le risposte a tali domande sono di carattere stereotipato e “magico”. Le  contraddizioni del mondo si spiegano con il buon senso comune, si adottano le risposte conformiste che la realtà sociale e storica in quel momento fornisce. Mi pare opportuno chiederci quanto atteggiamenti ed abitudini di coscienza naturale siano oggi ancora persistenti in molte situazioni sociali ed organizzative. Spesso spieghiamo contraddizioni e problemi in modo assolutamente acritico, adottando modi di pensare routinari e omologati, ci accontentiamo di spiegazioni superficiali che inducono a fatalismo e sfiducia nelle possibilità di cambiamento. La coscienza transitiva “critica”, al contrario, ricerca spiegazioni anche scientificamente valide, oltrepassa i confini del conformismo, svela contraddizioni e coglie i problemi come occasioni per costruire nuova conoscenza e, appunto, sviluppare coscienza. Mentre il passaggio da coscienza intransitiva a coscienza transitiva naturale avviene per sviluppo spontaneo di fattori favorevoli del contesto e del oggetto, secondo Freire il passaggio verso la coscienza transitiva critica può avvenire solo attraverso un intervento di natura educativa. In qualche modo la coscienza critica va insegnata. Certamente non attraverso la trasmissione di concezioni, idee, atteggiamenti in modo che sarebbe ancora di carattere depositario ma attraverso un processo che – come detto prima – è di natura problematizzante e dialogico. In estrema sintesi, il processo di coscientizzazione è l’esito di  percorsi di dialogo, ricerca di situazioni problematiche ed interrogazioni alla realtà ed a sé che conducono allo sviluppo di una coscienza, appunto, critica. Tale processo dialogico è inevitabilmente costruito con gli altri, attraverso lo scambio dialettico, è politico e collettivo. La coscientizzazione produce esiti di umanizzazione, sia in chi è oppresso, sia in chi esercita oppressione su altri. “Ser mais”, “essere più”, è l’espressione che Freire utilizza per indicare  il processo di  liberazione e di umanizzazione che permette a chi è oppresso di vedere con oggettività la propria realtà, comprenderne le cause ed intraprendere un percorso di emancipazione e a chi si riconosce come oppressore di individuare le ragioni che, a sua volta, lo opprimono nell’esercizio di un ruolo disumano e disumanizzante. 

E’ da tali premesse - che fondano non solo una prospettiva pedagogica e di azione sociale ma una concezione antropologica, della società e della conoscenza - che si originano modelli di intervento educativo, formativo e sociale basati, appunto, sul ruolo attivo del soggetto e sull’irrinunciabile dimensione politica nella costruzione del sapere e nella liberazione personale e collettiva. Le realtà sociali, culturali ed economiche affrontate da Freire in America Latina agli inizi degli  anni ’60 del secolo scorso sono ovviamente assai differenti dalle situazioni attuali nelle quali noi ci troviamo oggi in Europa ed in un mondo attraversato da radicali processi di globalizzazione(Reggio – Manfredi, 2012). Una rilettura critica della proposta freiriana è oggi necessaria per “reinventare” soluzioni di intervento coerenti con le condizioni attuali. In questa sede, la nostra attenzione si concentra – in particolare – sulla logica che può ispirare, a partire dai principi freiriani  prima richiamati, interventi di sviluppo della coscienza critica in ambiti sociali ed organizzativi diversi. Quello che è conosciuto in tutto il mondo come “metodo Freire” – in riferimento alle esperienze di alfabetizzazione degli adulti - viene impropriamente definito  “metodo”. Esso  non contempla, infatti tecniche e strumenti definiti ma può essere inteso come “metodo” nel senso più profondo del termine, come strada (odòs, in greco), logica  che permette di ordinare logicamente azioni, strumenti e tecniche di intervento. Il processo di coscientizzazione è considerabile metodo in questo senso: strategia e logica per sviluppare letture del mondo, comprensioni ed azioni che esprimono una coscienza critica. Riprendendo diverse formulazioni dell’impostazione metodologica freirana si possono individuare alcuni momenti di questo processo (Gerhardt, in Gadotti 1996, pp 149-172).

  • Osservazione partecipante ed ascolto attivo da parte di chi (educatore, formatore, insegnante, operatore sociale…) interviene in un determinato contesto sociale o organizzativo. Si tratta di ”sintonizzarsi” con quello che Freire definiva l’ “universo lessicale” delle persone con le quali si entra in contatto. In questa fase possiamo oggi dire che si possono utilmente impiegare tecniche e strumenti propri della ricerca intervento o di quella etnografica: la già citata osservazione partecipante, interviste e dialoghi individuali o di gruppo…

 

  • Ricerca delle parole “generatrici” e dei temi ad esse connessi. Dalla fase precedente, dall’universo lessicale (le parole utilizzate dalle persone per dire del proprio mondo) individuato emergono alcune parole specifiche che rimandano a questioni di particolare rilevanza per la vita delle persone in quel contesto. I temi generatori che stanno al fondo delle parole utilizzate per parlare di sé, del mondo e di sé nel mondo sono le questioni problematiche significative, storicamente situate, che il processo di coscientizzazione è chiamato ad affrontare. Questi temi vengono considerati generatori in quanto da essi nascono le situazioni problematiche ma anche le possibili trasformazioni e cambiamenti.

 

  • Prima codifica delle parole (e dei temi). Significa che chi conduce l’intervento formativo, educativo, di animazione sociale o culturale traduce le parole ascoltate ed emerse come generatrici in espressioni sintetiche. Agli inizi delle esperienze di alfabetizzazione, gli animatori utilizzavano immagini e disegni per proporre queste codifiche; oggi evidentemente sono numerose le soluzioni da adottare per esprimere sinteticamente la ricchezza dei temi generatori individuati e delle parole utilizzate per esprimerli. La scelta del linguaggio e della forma di codifica dipende essenzialmente dalle caratteristiche culturali, sociali delle persone con le quali si lavora; le immagini (oggi assai sofisticate e supportate da agili strumenti tecnologici) conservano in ogni caso una specifica valenza comunicativa in questa fase di codifica. Si può codificare sintetizzando elementi plurimi utilizzando strumenti quali fotografie e filmati, photovoice, narrazioni orali e scritte, espressioni teatrali o in generali artistiche. Le persone coinvolte nel processo di coscientizzazione ricevono – attraverso queste forme di codifica – una restituzione delle proprie parole e della prima lettura del mondo che esse avevano fornito.

 

  • Decodifica delle parole e dei temi generatori. Questa fase viene svolta attraverso l’istituzione di un “circolo di cultura”, soluzione peculiare della pedagogia freiriana che permette la lettura collettiva dei temi, il dialogo tra i partecipanti e con un coordinatore del circolo che svolge sia funzione di guida del circolo sia di partecipazione diretta al dialogo, stimolando riflessioni, ponendo interrogativi, sollecitando riflessioni, reazioni, prese di posizione.  Decodificando parole e temi le persone ricercano ed esprimono collettivamente una propria lettura del mondo, delle situazioni problematiche in esso contenute e dei temi profondi che le hanno generate. Si tratta di una fase dalle evidenti valenze formative, nella quale si esprimono in modo peculiare i principi del “dialogo”  e della “problematizzazione” fondamentali nell’approccio freiriano.

 

  •  Nuova codificazione creativa. Gli esiti di comprensione della fase di decodifica permettono di fare un passo ulteriore e di produrre una nuova codifica dei temi generatori affrontati. Parole nuove vengono prodotte per esprimere nuovi significati. Questa ulteriore codifica è critica, in quanto esprime la coscienza di sé in rapporto ai temi affrontati ed è esplicitamente orientata all’azione. Anche in questo caso, in analogia con quanto avviene nei processi di ricerca-intervento o di ricerca-azione,  riflessione ed azione ed azione si intrecciano. Nell’impostazione freiriana la prassi è costituita dall’unione inscindibile tra teoria ed azione e la codifica creativa collettivamente prodotta rende proprio conto di un fare che è “saper che fare”, consapevolezza dell’azione in atto. In relazione alle specificità dei contesti e dei temi affrontati l’azione assume ovviamente caratteristiche ed obiettivi differenti. Il circolo produttivo di comprensione ed azione che alterna momenti di codifica e di  decodifica si può ripetere più volte, in relazione alla complessità del tema affrontato, delle esigenze di approfondimento, dell’interesse delle persone.

L’esposizione sintetica dei momenti che contraddistinguono un percorso formativo, educativo, animativo di sviluppo della coscienza critica non va in alcun modo inteso come procedura da adottare rigidamente ma come guida logica per mantenere saldo l’orientamento nel corso della prassi (formativa, educativa o di intervento sociale). La logica viene rispettata nella misura in cui viene coerentemente adattata alle caratteristiche del contesto di riferimento e delle persone con le quali viene agita[2]. Modalità, tecniche e strumenti da utilizzare vanno individuati con analoghi criteri di coerenza con i principi metodologici di fondo.

Lo sforzo necessario è di una incessante reinvenzione delle forme con le quali attivare processi di coscientizzazione, necessari  oggi per sviluppare nelle persone, nelle organizzazioni e nei gruppi sociali competenze per affrontare criticamente situazioni problematiche, complesse, non sempre facilmente decodificabili e la cui trasformazione sembra spesso assai ardua. Lo sviluppo della coscienza critica – a livello personale e collettivo - è il principale contributo che la formazione e l’educazione possono dare a tale compito assai impegnativo.

 

Riferimenti bibliografici

 

Freire P. (2011), La pedagogia degli oppressi, ed. Gruppo Abele, Torino  (ed. or. 1968)
M.Gadotti (e outros) (1996), Paulo Freire. Uma biobibliografia, Cortez Ed., Brasilia
Gerhardt H.P. (1996), Uma voz européia. Arqueologia de um pensamento, in Gadotti 1996, pp 149-172
Manfredi S.M. – Reggio P. (2207), “Educazione e coscienza critica. Note sul concetto di“coscientizzazione” in Paulo Freire, in   “Animazione Sociale”, n° 5, Maggio 2007, p.11-20
Reggio P. (2010),Parole nuove che generano l’azione, in “Animazione Sociale”, n°241/2010, pp 56-66
Reggio P.-Manfredi S.M. (2011), Prefazione a Freire P., La pedagogia degli oppressi,  Torino, Ed.Gruppo Abele, pp. 4- 20


[1] Per una ricostruzione del percorso educativo e di pensiero di Paulo Freire, vedi il testo fondamentale in lingua portoghese M.Gadotti (e outros), Paulo Freire. Uma biobibliografia, Cortez Ed., Brasilia, 1996. Indicazioni bibliografiche e relative alle esperienze di pedagogia freiriana in diversi continenti di possono consultare sul sito dell’ Instituto Paulo Freire  di San Polo del Brasile  http://paulofreire.org/  e su quello dell’Istituto Paulo Freire Italia www.paulofreire.it

1.     [1] Un esempio di adattamento e reinvenzione metodologica si può vedere in Reggio Parole nuove che generano l’azione, in “Animazione Sociale”, n°241/ 2010, pp 56-66, che riferisce di un’esperienza di lavoro sociale con la popolazione sinta di Trento adottando principi metodologici freiriani