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"Perché accostare l'etnografia alla formazione?", "Quale contributo può apportare tale prospettiva di lettura della realtà alla conoscenza e al miglioramento delle pratiche formative?"
Domenico Lipari nell'Introduzione pone e se stesso e a noi questa domanda, che si potrebbe sintetizzare così: che c'entra l'etnografia con la formazione?
Una domanda che trovo particolarmente intrigante, perché porta con sé un punto di vista a cui molti di noi non si sono mai accostati.
Di solito associamo l'etnografia a una ricerca su popoli lontani, preferibilmente piccole tribù amazzoniche che non hanno mai avuto contatti con la (nostra) civiltà o che al massimo usano vecchi smartphone Android per accedere a internet su traballanti reti cellulari… Popoli che immaginiamo alle prese con cerimonie magiche, danze intorno al fuoco, riti di seduzione, tradizioni senza tempo.
Pensiamo cioè all'oggetto della classica ricerca etnografia, lasciando sullo sfondo il metodo: osservare la realtà, descriverla e comprenderla. Un metodo che potrebbe applicarsi a molti altri contesti.
Ma cosa succede se l'oggetto dell'approccio etnografico siamo noi stessi, noi formatori? Non abbiamo le nostre pratiche "antiche" (cioè tramandate dai Maestri) e poi cerimonie, riti e tradizioni? Ci sono i giri di tavolo, i patti formativi, i modi speciali di presentassi, i lavori in piccolo gruppo restituiti in plenaria, i questionari di apprendimento e di gradimento: tutti strumenti in parte rituali che applichiamo perché siamo convinti o perché "è così che si fa". E non ci mancano nemmeno le danze intorno al fuoco (o "sul" fuoco, come in certe attività estreme di outdoor…).
Questo libro ci dà una buona notizia: l'etnografia ha una ricetta (osservazione + descrizione + comprensione) che produce una narrazione e/o che usa la narrazione di sé come strumento operativo. Narrazione che, se riportata ai protagonisti, facilmente si trasforma in uno specchio per riflettersi e, di conseguenza, riflettere.
Perché il nostro non è un mestiere che si può fare a lungo senza chiedersi "Cosa sto facendo?", "Dove sto andando?", "Cosa voglio (e cosa vogliono da me)?" Se queste sono le domande, ecco a cosa può servire l'approccio etnografico: a scoprire se quello che facciamo realmente, quello che crediamo di fare e quello che vogliamo fare coincidono o no.
L'approccio etnografico, quindi, come antidoto alla tendenza a procedere col pilota automatico, basandosi su ricette consolidate e su una cassetta di attrezzi e di trucchi del mestiere, alla ricerca di una zona di confort. Che può essere molto rischiosa se il mondo cambia e noi no.
Alla fine una precisazione: questo libro non è scritto solo per chi sa di etnografia. Al contrario, i primi tre capitoli ne descrivono i fondamenti, i metodi e le pratiche, prima di applicarli al nostro mondo di formatori per aiutarci a costruire uno specchio.