Emilie, la giovane donna presentatasi per un ruolo in un prossimo film, pensa che la borsa con la quale hanno “giocato” durante l’audizione (con l’invito del regista alla candidata di commentare liberamente, uno per uno, gli oggetti contenuti nella borsa) sia uno dei dispositivi del set cinematografico; il regista, all’opposto, pensa che quella borsa sia la borsa di quella giovane donna che, attimo dopo attimo, durante tutto il colloquio, l’ha via via incantato. Il finale del breve racconto cinematografico rivela l’identità della legittima proprietaria della borsa, che non è Emilie ma la segretaria di produzione, e segna sul viso del regista un incanto crescente che si aggiunge allo stupore e alla meraviglia.
Emilie Muller è un cortometraggio del 1993 diretto da Yvon Marciano, interpretato da Veronica Varga (Emilie Muller) e Olivier Ramon (il regista). Ho conversato sul significato possibile di questo testo cinematografico in innumerevoli occasioni di formazione, con gruppi diversi, per età, genere, ruolo, cultura di riferimento. I significati emersi altrettanto diversi e, quasi sempre, sorprendenti per intuizioni, difformità sorprese. È straordinaria la capacità differenziante dei gruppi invitati a costruire significati quando esposti a un testo inatteso e ricco di angolature ambigue, perturbanti.
In una particolare occasione il gruppo di lavoro era composto per lo più da giovani donne, alcune con ruoli specialistici nei servizi pubblici di cura. La discussione, dopo la proiezione, si era soffermata a lungo attorno al quesito: se il commento tra i vari oggetti emersi dalla borsa fosse stato fatto dalla “legittima” proprietaria della borsa (la segretaria di produzione) sarebbe stato più vero di quello proposto da Emilie, inconsapevole proprietaria “abusiva”? Verità, falsità: tema eterno intorno al quale il gruppo si distendeva a discutere mai stanco di confronto; seguivo attento, teso nel mio ruolo nel dare spazio a tutti, aiutando a contenere una crescente cascata di stimolazioni, tanto ricche quanto inevitabilmente perturbanti. Improvvisamente una giovane partecipante, un po’ apparentemente assente fino a quell’istante, viene fuori con una battuta, quasi un soffio: “verità, menzogna sono certamente parole grandi; vero, falso ma perché anche non verosimile?” Verità, falsità, verosimiglianza. Quest’ultima parola buttata lì durante un effluvio di parole tutte convincenti e tutte “da scartare”, creava, quasi per gioco, un processo di apprendimento, una costruzione comunicativa di relazioni, generata da uno sguardo altro dalla coda dell’occhio.
La storia di Emilie e del suo regista riletta con l’aiuto del filosofo A.M. Iacono (2016) intorno alla convinzione che “l’autonomia della relazione … caratterizza e determina i mondi intermedi”. La relazione nell’autonomia “può essere richiamata dalla coda dell’occhio” per cogliere “di lato il confine oltre il quale sta un mondo intermedio. Vedere con la coda dell’occhio è fondamentale perché impedisce che il mondo al cui interno temporaneamente stiamo vivendo si presenti come un mondo unico e ci renda come i prigionieri della caverna di Platone, incatenati, costretti a una visione frontale e incapaci dunque di guardarci intorno e di percepire altri mondi possibili”. Cos’è “un mondo intermedio”? è la produzione di un altro mondo attraverso una imitazione/rappresentazione di un mondo che pur somigliando a quest’ultimo se ne differenzia fino a diventare autonomo.
Emilie è una giovane donna, ricca di possibili. Ed è questa la rappresentazione che ne ha il “suo regista” che con “la coda dell’occhio” vede in questo volto inesperto di recitazione un ardore alto. Lungo questa traccia di stupore l’osservatore-regista ed Emilie si incontrano e costruiscono un mondo nuovo, nato e generato a partire da un altro mondo, un universo di mancanza, con il quale ha un’affinità ma dal quale sa distinguersi. Ecco il valore della formazione e dell’educazione che abbiamo cercato di descrivere con il termine betweenness, con la capacità di sostenere l’apprendimento abitando e attraversando mondi intermedi (Cepollaro e Varchetta 2014).
“La relazione viene per prima, precede” (Bateson 1979), e fonda, nutre la possibilità di riconoscimento dell’altro e la creazione generativa di condizioni ambientali capaci di favorire azioni connesse a situazioni opache e incerte, caratterizzate dal saper vivere il “tra” che gli attori giocano interpretando ruoli diversi. Ci si riferisce all’attendere, all’attenzione a particolari inediti, a tollerare l’errore e la marginalità, allo stupirsi, a creare il nuovo, funzioni intermedie tutte partecipanti all’azione, corroboranti la sua possibilità di evoluzione, fino al riconoscimento della sua eccellenza calata in un particolare contesto.
Tra quei due, tra Emilie e il regista è accaduto tutto questo: entrambi, senza alcun piano predefinito e alcuna intenzionalità programmatica, ma cogliendo l’istante di una connotazione del tutto peculiare del contesto abitato, si sono “orientati” alla creazione di spazi nei quali sperimentare una possibilità di sviluppo mettendo in relazione il mondo esterno con il proprio mondo interno, cercando così di ri-costruire un’occasione di solidarietà dove sperimentare una nuova alleanza. Le pratiche agite dal regista e dalla sua neo-attrice, protagonista, “cadono” in una zona di frontiera dove si transita, tra realtà e possibilità, “contro il volere degli dei” (Zanini 1997).
La betweenness da invenzione epistemologica diventa territorio concreto, abitando la quale i due conversatori sperimentano l’ambiguità del loro essere nei confronti degli universali incontrati da Emilie (si allude qui alla nota intrinsecamente bi-valente [ambigua] di ogni realtà, che “partecipa dell’uno e dell’altro termine costituente la polarità in questione”): l’incontro con l’altro, lo straniero (per Emilie, il regista; per il regista, Emilie) consente a entrambi di ricomporre, nei confronti dei grandi temi della vita evocati dal racconto di Emilie, le loro due parti ricostituendo una unità originaria, ma ora anche originale, conquistata e non più donata da un dio esterno. L’incontro tra loro due, quella loro conversazione sempre più privata di venti minuti, ha fatto percepire a entrambi che la “terra di mezzo” è diventata la natura doppia di tutto ciò che sta in mezzo tra di loro.

Riferimenti bibliografici
Bateson G. (1979), Mente e natura. Un’unità necessaria, Adelphi, Milano [ediz. or. 1984?.
Cepollaro G., Varchetta G. (2014), La formazione tra realtà e possibilità. I territori della betweenness, Guerini Next, Milano.
Iacono A. M. (2016), Storie di mondi intermedi, ETS, Pisa.
Zanini P. (1997), Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Bruno Mondadori, Milano.