Se vuoi l’innovazione educa e forma alla creatività
Se vuoi l’innovazione educa e forma alla creatività. Il cambiamento e l’innovazione sono la sola via per l’efficacia delle nostre azioni in ogni campo e perfino della nostra presenza appropriata sul pianeta Terra. La possibilità creativa si colloca in un processo evolutivo. Viviamo in un’epoca in cui è urgente riscoprire il senso della storia evolutiva a cui apparteniamo, per rifigurare il presente e la nostra presenza come parte del tutto sul pianeta. Un’epoca decisiva nell’evoluzione umana, che è iniziata circa due milioni di anni fa, quando nel cervello dell’homo sapiens e di nessun altro primate iniziarono a selezionarsi le aree prefrontali, da cui deriverà l’autocoscienza, vale a dire la capacità di porre a se stesso domande e di fare del mondo e di se stesso oggetto di riflessione. Il mondo e noi stessi, da quel momento sono diventati oggetto della nostra creatività e responsabilità: siamo diventati per noi stessi un progetto e un’invenzione, tra vincoli e possibilità.
Parlando di cambiamento e di innovazione, inoltre, ci riferiamo a due fenomenologie diverse. Noi viviamo perché cambiamo in continuazione e, quindi, il cambiamento è una costante dei sistemi viventi adattativi. L’innovazione riguarda l’emergere di discontinuità nei processi di cambiamento, che possono essere più o meno intense, ma che istituiscano almeno in una certa misura il riconoscimento e la relativa condivisione di qualcosa di uno o più fattori inediti. Per questo motivo è opportuno prestare attenzione al rapporto tra creatività e innovazione.
La creatività, infatti, può essere intesa come la composizione e ricomposizione, almeno in parte originale, di repertori disponibili. La condizione per cui l’esito di un atto creativo divenga innovazione è il riconoscimento da parte di una comunità e di un contesto. La diffusione dell’innovazione richiama, pertanto, particolari vincoli e possibilità che si connettono alla natura epistemologica della proposta creativa, alle modalità della sua comunicazione, alla sua quasi-conformità più o meno elevata all’esistente e alle ansie, alle aspettative, alle resistenze e alla progettualità che essa è in grado di suscitare.

Creare è generare quello che prima non c’era
Ognuno di noi cerca la propria via per esprimere se stesso. Siamo una specie irrequieta. Questo ci contraddistingue e ci rende umani: la nostra capacità di creare e crearci, tra vincoli e possibilità. Non solo cerchiamo, ma inventiamo quello che prima non c’era. Certo, non lo facciamo dal nulla: creare è comunque un processo di bricolage basato sull’utilizzo, con diversi livelli di originalità, di fattori disponibili e fino a quel punto non utilizzati o utilizzati in forme e modi diversi. Pare proprio che non possiamo non tendere a creare i mondi in cui viviamo. “Uno che crea non lavora per il suo piacere. Uno che crea fa solo ciò di cui ha assolutamente bisogno” (Deleuze 1983).
Quella necessità fa sì che noi ci proponiamo di creare, di inventare, dei concetti, degli oggetti, degli artefatti: degli esiti, insomma, materiali e immateriali, concreti o illusori, reali o immaginari. Lo facciamo continuamente. Allo stesso tempo siamo portati a pensare alla creatività come a un processo raro ed eccezionale, appannaggio di pochi e, in fondo, abbastanza misterioso. Le ragioni di questo atteggiamento sono molte. La prima riguarda la nostra propensione a rassicurarci consegnandoci alla forza dell’abitudine e all’esistente che, anche se non ci piace poi tanto, comunque lo consociamo e, appunto, ci rassicura. La seconda questione ha a che fare con la nostra educazione, orientata principalmente se non esclusivamente a fornirci certezze indiscutibili e solo raramente prospettive diverse e alternative, nell’interpretazione di un fenomeno o nell’apprendimento di una teoria. Eppure è attraverso la nostra capacità generativa e creativa che ci distinguiamo e gli occhi degli altri ci distinguono. Allo stesso tempo con quella originalità facciamo appello agli altri e a quello che di loro non esiste ancora e non emergerebbe senza la nostra sollecitazione generativa. È così che diveniamo la fonte per dar voce e espressione alla mancanza che gli altri avvertono e che, se elaborata e espressa in modo appropriato, può divenire generativa.
È stato Albert Eistein a sostenere che: “è l’arte suprema dell’insegnante a risvegliare la gioia della creatività e della conoscenza”. Non sempre però l’educazione è effettivamente praticata secondo i principi di quell’arte. Eppure, nonostante tutto, il nuovo emerge e noi lo creiamo, in ogni campo. Potremmo certamente valorizzare meglio la nostra capacità creativa, se la sottraessimo alla magia e al mistero, che sono i modi con cui spesso la intendiamo, e se educassimo adeguatamente alla creatività.
Chiunque insegni e voglia proporre agli scolari di ogni età concetti come creatività e innovazione si trova di fronte ad un impegnativo compito di traduzione. Della più faticosa forma di traduzione che, come è noto, non è quella tra lingue seppur molto diverse, ma quella che riguarda la radice, il significato e la pragmatica delle parole di una stessa lingua. L’educazione diffusa all’esperienza estetica e creativa è di fatto un’educazione al senso del possibile che richiede un nuovo approccio e un nuovo paradigma, alla luce della rivoluzione intersoggettiva nelle scienze della vita e nelle neuroscienze cognitive (Ammaniti e Gallese 2014). Cambiare idea è una delle cose più difficili per la mente umana, eppure solo a chi ha il senso del possibile appartiene il futuro, ha scritto Robert Musil (1930-1942); il senso del possibile è frutto dell’educazione alla creatività e all’innovazione, in una parola all’estetica. Incorporata, plastica, storica e densa di limiti è la mente relazionale umana, ma l’educabilità della mente è l’unica via che abbiamo per far evolvere la mente stessa.
Le ragioni dell’educazione alla creatività riguardano contemporaneamente la realizzazione individuale, l’emancipazione delle persone, e la qualità della civiltà in cui viviamo e desideriamo vivere. Il rapporto che stabiliamo con l’esperienza estetica, l’arte e la cultura è il vertice di questa prospettiva e la condizione per riconoscere il valore della tensione a cambiare idea.

Educare alla creatività e disposizione a “tendere all’oltre”
Educare è creare le situazioni e le condizioni perché l’estetica delle relazioni emerga come via per la coevoluzione, la reciproca fecondazione e l’apprendimento. Educare è vivere relazioni orientate a sostenere l’espressione delle possibilità di individuazione e di conoscenza, mentre ognuno crea se stesso creando il mondo. Formare è prima di tutto formare se stessi mentre si mettono in forma i mondi in cui ciascuno vive e lavora con gli altri, riconoscendo i saperi richiesti e necessari. L’incarnazione della mente umana e la verifica sempre piè evidente della nostra plasticità, ci consentono di vedere nell’educazione e nella formazione la via per cambiare la nostra vita. Solo educando alla creatività possiamo vedere riconosciute le nostre capacità creative, prima di tutto da noi stessi e, insieme, dagli altri.
Educare alla creatività non può però voler dire introdurre a scuola l’“ora della creatività” o svolgere un seminario sulla creatività in un programma di formazione. In primo luogo perché la creatività è indeterminabile, indecidibile e imprevedibile. In secondo luogo perché essa scaturisce dalle relazioni e dalle condizioni che creiamo per favorirne l’emergenza. Le pressioni al conformismo e alla ripetizione sono soprattutto insite nei processi educativi e formativi così come sono concepiti e organizzati, nella maggior parte dei casi. È fondamentale mettere mano alla creatività di ogni giorno e alle possibilità di praticare la ricerca dell’inedito nelle relazioni e nelle prassi quotidiane, mentre si cura la disposizione a “tendere all’oltre” che ci indica la via attraverso la quale possiamo vivere concependo noi stessi e il mondo, non come un destino, ma come un progetto e un’invenzione.
La creatività emerge da un break-down del sense-making e dei domini di senso. Noi partecipiamo agli universi di significato che concorriamo a costruire e lo facciamo tacitamente, nella maggior parte dei casi. L’attribuzione di senso è preintenzionale, prelinguistica e presemantica. Siamo tuttavia in grado di generare provvisorie interruzioni dei domini di senso e significato e, facendolo, di creare inedite ipotesi o artefatti che, se riconosciuti, possono dar vita a percorsi innovativi. La creatività è diversa dall’apprendimento che si sviluppa all’interno di frame situati e consolidati. Mentre l’apprendimento e il cambiamento si svolgono all’interno di cornici consolidate e, per certi aspetti necessarie, la creatività, per emergere, implica l’interruzione almeno parziale di quelle cornici, la loro socchiusura provvisoria e l’attraversamento da una cornice all’altra.
In questi attraversamenti l’emergenza della creatività è allo stesso tempo, individuale, relazionale e situata. È la relazione l’alveo generativo anche della creatività. Nella circolarità ricorsiva tra relazione, individuo e situazione possono crearsi le condizioni per l’emergere di atti creativi. Il riconoscimento di un atto creativo avviene poi mediante l’elaborazione, anche conflittuale, dei vincoli e delle possibilità poste dalle cornici concettuali comuni in cui noi trascorriamo la maggior parte della nostra esistenza e che tendono a creare dipendenza dalla storia e dal cammino. L’emergenza dell’innovazione necessita di una trasformazione del common conceptual frame. È solo attraverso il riconoscimento dei processi creativi e la conseguente evoluzione dei frame consolidati che l’innovazione emerge e si afferma.

Riferimenti bibliografici
Ammaniti M., Gallese V. (2014), La nascita dell’intersoggettività, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Deleuze G. (1983), Che cos’è l’atto di creazione, tr. it. Cronopio, Napoli, 2003; p. 10.
Musil R. (1930-1942), L’uomo senza qualità, tr. it. Einaudi, Torino, 1972.