È appena uscito per i tipi di Franco Angeli l'ultimo lavoro di Elizabeth Carried-Halkett (sociologa urbana della University of Southern California), Una somma di piccole cose. La teoria della classe aspirazionale.Il volume, come si vede già dal titolo, ha l'ambizione di prospettare una teoria generale analoga a quella, molto più famosa, proposta nel 1899 da Thorstein Veblen con il classico La teoria della classe agiata. Studio economico sulle istituzioni(trad. it. Einaudi, Torino, 2007). La “classe agiata” descritta da Veblen considera la ricchezza come il mezzo più utile per ottenere rispetto, ammirazione e, più in generale, prestigio sociale.

È proprio il superfluo l’oggetto privilegiato dell'esibizione di beni capaci di destare ammirazione (ed invidia) da parte di quanti non possono permettersi di partecipare ad una competizione, per loro impossibile, sul terreno della dissipazione di ricchezza.

La classe agiata di Veblen, dunque, ostenta ricchezza e, al tempo stesso, la sciupa, la distrugge innescando un processo che, di fatto, genera un habitus culturale, uno stile di vita che assume il consumo basato sulla acquisizione compulsiva del superfluo come tratto distintivo irrinunciabile della personalità sociale dei ricchi e modello di riferimento al quale guardano quanti difficilmente potrebbero adottare simili standard.

L'influenza dei comportamenti della classe agiata, alla lunga, finisce per imporre all'intera società la pratica, divenuta valore in sé, dell’acquisizione consumistica di beni inessenziali dando così luogo al fenomeno di assimilazione culturale di massa basato proprio sulla propensione compulsiva al consumo di beni superflui.

Un breve passaggio tratto da La teoria della classe agiatae citato da Currid-Halkett, illustra in modo molto chiaro il senso dell'interpretazione vebleniana:   

"Un cucchiaio d'argento fatto a mano, che ha un valore commerciale tra i dieci e i venti dollari, non è generalmente più utile, nel senso più proprio del termine, di un cucchiaio fatto a macchina e dello stesso metallo. Non potrebbe nemmeno essere più utile… Uno degli usi principali, se non il principale, del cucchiaio più costoso non è considerato; il cucchiaio fatto a mano gratifica il nostro gusto, il nostro senso del bello… Il materiale con cui è realizzato il cucchiaio fatto a mano è centinaia di volte più prezioso del metallo più povero, senza essere molto migliore di quest'ultimo in termini di bellezza intrinseca della venatura o del colore, e senza essere superiore in modo apprezzabile per quanto riguarda la sua funzionalità" (T. Veblen, cit. in E. Cuurrid-Halkett, Una somma di piccole cose…, p. 13). 

Risulta chiaro come, a parità di valore d’uso, la differenza tra il cucchiaio d’argento fatto a mano e quello fatto a macchina, risieda unicamente nel valore ostensivodel primo e dunque nella sua capacità di rendere visibile l’agiatezza di chi lo possiede e a questo scopo lo esibisce.

A distanza di oltre cento anni dalla teoria della “classe agiata” - durante i quali l'analisi di Veblen ha conosciuto ulteriori approfondimenti e sviluppi, anche in chiave fortemente critica delle tendenze della società di massa (basti pensare alla lettura di Marcuse della “società dei consumi” e alla critica delle forme di induzione di bisogni inautentici e della conseguente spinta al conformismo) – l'indagine di Elizabeth Carrid-Halkett, condensata nel volume qui segnalato, propone una teoria dei consumi diversa rispetto a quella elaborata da Veblen: mentre per la classe agiata i consumi superflui ed eccentrici costituiscono il modo più diretto per esibire uno specifico status sociale e per distinguersi dagli strati sociali inferiori, la classe aspirazionaledescritta da Carrid-Halkett, si configura come la nuova élite urbana del nostro tempo che prende le distanze tanto dallo stereotipo di classe agiata, quanto dalle forme che, per “precipitazione” culturale e mimesi sociale, si sono diffuse fino a diventare pratica massificata ed alienante universalmente condivisa nella società dei consumi.

Laclasse aspirazionaleè descritta da un diverso modo di distinguersi dagli altri che è caratterizzato dalla scelta di consumare meno, in modo selettivo e soprattutto modificando radicalmente la scala dei valori. Nelle scelte di chi adotta un simile modello culturale, prevalgono valori che potremmo definire post materialistici, basati cioè su consumi culturali, su regimi alimentari parchi e rispettosi dell'ecosistema, su pratiche discrete della cura del corpo (yoga e pilates), su una particolare attenzione alla crescita dei figli. Si tratta di una nuova èlite culturale composta da soggetti non necessariamente ricchi (include infatti individui dal reddito marcatamente differenziato tra i quali prevalgono i membri appartenenti al ceto medio classico e a quello medio alto), ma orientati da visioni molto attente al modo in cui spendere il denaro con equilibrio e consapevolezza sociale.
La loro aspirazione (da cui aspirational class) è quella di diventare esseri umani migliori attraverso un approccio al consumo che privilegia i beni immateriali (come cultura istruzione, viaggi), con un'attenzione meticolosa ai dettagli, le “piccole cose” evocate dal titolo del volume che, scelte con cura, assumono un valore simbolico del tutto particolare. Si afferma così una visioneminimalistache, mentre da un lato si differenzia dall' esibizionismo dei consumi vistosi descritti da Veblen, dall'altro, e al pari di questi ultimi, tende ad istituire distinzione; ma, nel caso dell’élite aspirazionale la differenziazione non è riferita a quanti non possono permettersi consumi vistosi e dispendiosi, ma riguarda invece la presa di distanza dalla presunta volgarità dei consumi di massa.

Vorrei concludere queste note di presentazione del volume di Carrid-Halkett segnalando una “incongruenza” (forse sarebbe meglio dire una forzatura concettuale) che riguarda, a mio avviso, l’essenza teorica di una ricerca – peraltro molto ricca di dati e di analisi brillanti. L’uso della nozione di “classe” applicata ai gruppi sociali analizzati dalla ricerca mi sembra non del tutto coerente con una tradizione consolidata nelle scienze sociali secondo la quale (specie nella visione weberiana, ma anche in quella marxiana) l’idea di classe sociale rinvia ad un aggregato omogeneo di individuiidentificabile dalla sua posizione nella scala sociale in riferimento soprattuttoal reddito, alla disponibilità di beni (materiali e immateriali) e conseguentemente di potere. L’omogeneità, soprattutto sul piano degli interessi, rende possibile riconoscere e identificare come classe un aggregato sociale. Ora, nella proposta di Carrid-Halkett, l’idea di “classe aspirazionale” non esibisce alcun tratto di omogeneità legata ad interessi concreti, in quanto è descritta come composta da strati di popolazione piuttosto differenziati quanto a reddito e a collocazione nella gerarchia sociale. L’unico tratto che accomuna i membri della classe aspirazionale, nella prospettiva analitica delineata da Carrid-Halkett, si configura come una sorta di visione del mondo, quella ascrivibile a scelte, propensioni di consumo e, in definitiva, alla proiezione verso uno stile di vita assunto come migliore proprio perché basato su un uso equilibrato delle risorse. Non sfugge come quest’ultimo tratto – assunto come quello che dovrebbe rendere omogenei (se non uguali) strati sociali assai distanti per reddito e capacità di consumo – costituisca un collante analitico di tipo meramente ideologico che da questo punto di vista risulta scarsamente coerente con il concetto “canonico” di classe.