Non scholae sed vitae discimus, in memoria di Paolo Vittozzi

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Fonte: HoTEL – Holistic Approach to Tecnology Enhanced Learning

In una rivista come Formazione & Cambiamento, potrebbe sembrare superfluo ripartire dal significato originario di un piccolo arcipelago di parole, tutte strettamente connesse e alcune spesso usate come sinonimi. Talvolta, invece, ritornare alle origini getta nuova luce su termini dei quali il significato sia dato ormai per scontato e che risultino,spesso, anche un po’ ‘logori’. Nello specifico vorrei tornare a indagare i termini ‘scuola’, ‘apprendere’, ‘imparare’, ‘educare’, ‘istruire’, ‘insegnare’, ‘formare’.

Il termine scuola, in latino schŏla, viene dal grecoσχολή, che in origine significava (come otium per i Latini) libero e piacevole uso delle proprie forze, soprattutto spirituali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico.Più tardi indicherà anche un luogo fisico dove si attende allo studio.Il concetto originario di scuola, quindi, mette l’accento non sull’utilità pratica dello studio quanto, piuttosto, sulla libertà e la piacevolezza di questa attività e sulla dimensione ‘spirituale’ della stessa, su una sua connessione direttae intima con le nostre motivazioni profonde, esistenziali.

Il termine apprendere viene dal latino ad-pre(he)ndĕre (prendere) che significava ricevere e ritenere nella mente, imparare.L’etimologia ci consente di recuperare una dimensione fondamentale, quella del movimento evidenziato dalla preposizione ad, un movimento che è una tensione al servizio di un desiderio.

Il termine imparare, deriva dalla forma del latino parlato imparāre, che risultava composta del prefisso rafforzativo in e del verbo parāre (procurare) e che propriamente significava procacciarsi una nozione, impadronirsene, mettersi in grado di saper fare qualcosa.

Il termine educare deriva dal latino ex-ducere, che letteralmente voleva dire tirare fuori, far venire alla luce qualcosa che è nascosto. Cosa? I talenti presenti - spesso nascosti - dentro ogni essere umano.

Il termine istruire deriva sempre dal latino in-struere e significavacostruire, assemblare materiali in una struttura.

Colpisce il movimento da fuori a dentro – in – che ricorda un contenitore (vuoto?) in cui in-serire qualcosa Esattamente l’opposto del movimento da dentro a fuori – ex– presente nel termine educare.

Educare e istruire sono, in maniera evidente, due approcci diversi. Il primo richiede una relazione e un ascolto da parte del soggetto guida; se voglio educare qualcuno devo ascoltarlo per capire cosa aiutarlo a tirar fuori da sé. È una relazione, una strada da fare insieme. Il secondo presume un ascoltatore passivo, un contenitore vuoto, che riceve informazioni/nozioni. 

Il termine insegnare deriva da in-signare (da signum: marchio, sigillo)e significava segnare, imprimere un segno. Anche questo verbo, quindi, implica una passività in chi viene ‘segnato’ sebbene solo nella mente (sarà meno grave?).

E in ultimo il termine formare che viene dal latino fōrmaree nel suo significato primario vuol dire dare forma a un oggetto; lavorare, modellare la materia per ridurla alla forma voluta.

Nel guardare a questi verbi tutti insieme, una cosa salta immediatamente all’occhio: apprendere e imparare presuppongono un desiderio, una intenzione, o almeno un interesse –sia pure inconsapevole, come è nei bambini - in chi compie l’azione senza il quale nessuno degli altri verbi – educare, istruire, insegnare, formare – è in grado di ottenere il suo scopo.

Ma la scuola di cui, nella stragrande maggioranza dei casi, abbiamo fatto esperienza tutti noi e i nostri figli è, salvo rarissime eccezioni, un luogo nel quale qualcuno insegna, istruisce, forma e qualcuno dovrebbe imparare, ricevere passivamente, non ciò verso cui sente attrazione, ma ciò che qualcun altro ha deciso essere indispensabile. Per che cosa? Oggi per essere ‘pienamente operativi’ nel nostro modello di sviluppo economico, un modello in cui l’essere umano è ridotto a ‘risorsa’ produttiva standardizzata.

Niente a che vedere con l’apprendimento e con l’e-ducazione e tantomeno con la scuola come luogo di conoscenza di Sé e del Mondo, di libertà, di piacere, di pratiche di sviluppo di quel Sé - nello spirito e nel corpo – e di scoperta della propria motivazione profonda, di interrogazione sul senso della propria esistenza.

Ma fortunatamente l’attuale modello di sviluppo economico, che il nostro mondo ha cominciato a praticare in maniera estesa da un paio di secoli, sta mostrando tutta la sua insostenibilità. La dimensione globale in cui ormai si svolgono le nostre esistenze e il ritmo esponenziale dello sviluppo tecnologico hanno aumentato così tanto la complessità in cui ci muoviamo e la rapidità con cui le nozioni che ci vengono proposte diventano obsolete se non, spesso, del tutto inutili, che finalmente possiamo – e non possiamo fare diversamente - rimettere al centro l’umanità. L’essere umano nella sua capacità di cambiare, di evolvere, di ap-prendere ciò di cui ha bisogno per mantenersi in sintonia con la Natura e con gli altri esseri umani perseguendo uno sviluppo che sia sostenibile per tutti.

Per questo abbiamo bisogno di pensare una nuova pedagogia, intesa come quella disciplina che studia i temi e i problemi connessi all’educazione dell’essere umano (ha davvero senso quindi parlare di andragogia come di qualcosa di diverso?) avvalendosi dell’apporto di numerose altre scienze (come filosofia, psicologia, antropologia culturale, sociologia, ecc.) per trovare i principî, i metodi, i sistemi per una concreta prassi educativa.

Abbiamo bisogno di concepire un’arte pedagogica sistemica che prepari le persone alla Vita, che le aiuti a porsi le eterne domande di senso che l’essere umano si pone da quando esiste «Chi sono?», «Dove vado?» «Perché sono qui?». Una pedagogia che fornisca una guida per riconoscere le risposte nella risonanza profonda che queste trovano sia dentro di sé che con qualcosa di più grande di sé e per imparare a rimetterle costantemente in discussione e affinarle con sempre maggiore sensibilità.  Sarà possibile, in tal modo,per ciascuna persona, trovare la forza e l’entusiasmo che servono per vivere la quotidianità con coraggio, curiosità, fiducia in se stessa, negli altri e nella Vita stessa, sentirsi in costante evoluzione, accoglierel’impermanenza di tutto come un valore e non solo come una condizione,né tantomeno come una minaccia.

Abbiamo bisogno di trovare i modi migliori per favorire l’apprendimento di quelle Life Skills definite dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) già nel 1993 come «le competenze che portano a comportamenti positivi e di adattamento che rendono l’individuo capace (enable) di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni.Descritte in questo modo, le competenze che possono rientrare tra le Life Skills sono innumerevoli e la natura e la definizione delle Life Skills si possono differenziare in base alla cultura e al contesto. In ogni caso, analizzando il campo di studio delle Life Skills emerge l’esistenza di un nucleo fondamentale di abilità che sono alla base delle iniziative di promozione della salute e benessere di bambini e adolescenti […] Le Life Skills rendono la persona capace di trasformare le conoscenze, gli atteggiamenti ed i valori in reali capacità, cioè sapere cosa fare e come farlo […] Acquisire e applicare in modo efficace le Life Skills può influenzare il modo in cui ci sentiamo rispetto a noi stessi e agli altri ed il modo in cui noi siamo percepiti dagli altri.Le Life Skills contribuiscono alla nostra percezione di autoefficacia, autostima e fiducia in noi stessi. Le Life Skills, quindi, giocano un ruolo importante nella promozione del benessere mentale».

Ma quali sono queste Life Skills? Il loro nucleo fondamentale è costituito, secondo l’OMS, da dieci competenze:

Consapevolezza di sé

Gestione delle emozioni

Gestione dello stress

Comunicazione efficace

Relazioni efficaci

Empatia

Pensiero creativo

Pensiero critico

Prendere decisioni

Risolvere problemi

Questo dovrebbe essere, a mio parere, sia il senso che la direzione dell’apprendimento nella scuola di oggi. Nel momento in cui le conoscenze, tutte e aggiornate, sono disponibili e facilmente reperibili a costi bassissimi per chiunque all’interno del web, che senso ha utilizzare uno strumento prezioso e costoso come la scuola per rincorrere il web? È palesemente qualcosa di insensato.

E allora? Quale potrebbe e dovrebbe essere il nuovo destino della scuola nel mondo contemporaneo? A mio parere dovrebbe recuperare quel connotato originario (e forse mai pienamente realizzato) di luogo che favorisce, che facilita l’apprendimento libero e piacevole, prendendosi cura dell’e-ducazione di ciascuna persona in una logica inside-out. Un luogoche aiuti, in maniera sistemica, olistica, ciascuna persona a conoscere, a rivelare e dispiegare pienamente il proprio potenziale - quindi in tutte le dimensioni, cognitiva, emotiva, fisica, spirituale - per «diventare ciò che è» e partecipare con il proprio contributo unico e irripetibile all’evoluzione del Mondo sentendosi in armonia dentro e fuori di sé.

Formazione & Cambiamento è una rivista che si rivolge ai professionisti dell’apprendimento e quindi non starò qui a ricordare teorie e metodi  tutti noi conosciamo – o dovremmo conoscere -, mi limiterò solo a richiamare alla mente il pensiero e la testimonianza di John Dewey, filosofo pragmatista americano di fine ‘800, la cui pedagogia considero, ancora e soprattutto oggi,come pietra angolare per la costruzione di qualsiasi contenitore vocato all’apprendimento dei bambini e dei giovani così come degli adulti di tutte le età.

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Per John Dewey l'educazione è, in senso ampio, un fatto sociale, in quanto è un processo mediante il quale l'individuo assimila, fin dalla nascita, le conoscenze, le tecniche, le abitudini di vita che la civiltà umana ha prodotto nel suo sviluppo. L'educazione scolastica ha anch'essa un carattere sociale. Il carattere sociale dell'educazione deve investire, secondo Dewey, tutti gli aspetti del processo educativo:

  • deve riguardare le finalità educative, il fine della scuola deve consistere nel favorire la socializzazione
  • deve riguardare i contenuti culturali, perché la scuola deve favorire l’apprendimento di quelle conoscenze e quelle capacità necessarie per vivere bene nella società
  • deve concepire la scuola come una comunità democratica che stimola spirito di partecipazione e corresponsabilità. La scuola deve essere vita essa stessa e non preparazione ad una vita futura
  • deve realizzare un’azione educativa che sia gratificante e significativa per l'allievo nel presente.

Centrali, nel processo di apprendimento, non sono quindi le nozioni, ma le attitudini e le capacità ad esse connesse. In particolare, se l'allievo è riuscito, a scuola, ad acquisire il desiderio e la capacità di apprendere, conserverà queste abilità per tutta la vita e continuerà ad apprendere in tutte le situazioni (imparare ad imparare, long life learning).

«Forse il maggiore degli errori pedagogici è il credere che un individuo impari soltanto quel dato particolare che studia in quel momento. L'apprendimento collaterale, la formazione di attitudini durature o di ripulsioni, può essere e spesso è molto più importante. Codeste attitudini sono difatti quel che conta veramente nel futuro. L'attitudine che più importa sia acquisita è il desiderio di apprendere. Se l'impulso in questa direzione viene indebolito anziché rafforzato, ci troviamo di fronte ad un fatto molto più grave che a un semplice difetto di preparazione [...] Che beneficio c'è ad accumulare [...] notizie di geografia e di storia, ad apprendere a leggere e a scrivere, se con questo l'individuo perde il desiderio di applicare ciò che ha appreso e, soprattutto, se ha perduto la capacità di estrarre il significato delle esperienze future in cui via, via si imbatterà? [...] Il solo possibile adattamento che possiamo dare al fanciullo nelle condizioni esistenti è quello che deriva dal porlo in possesso completo di tutte le sue facoltà. Con l'avvento della democrazia e delle moderne condizioni industriali è impossibile predire con precisione come sarà la civiltà di qui a vent'anni. È perciò impossibile preparare il fanciullo a un ordine preciso di condizioni. Prepararlo alla vita futura significa dargli la padronanza di sé stesso»[1].

La pedagogia di Dewey, inoltre, è centrata sul principio pedagogico fondamentale che si apprende facendo: learning by doing. Secondo la concezione pragmatistica della conoscenza, conoscere significa modificare l'oggetto, la realtà, con il pensiero, interagire con il mondo. Apprendere, quindi, non significa ricevere passivamente delle nozioni, ma elaborare attivamente delle idee.

La scuola tradizionale è accusata da Dewey di trasformare gli alunni in uditori passivi. Deriva da qui la valorizzazione del lavoro manuale, inteso non come avviamento alle professioni, ma come educazione alla disciplina, alla socialità e alla progettualità richieste dalle attività di laboratorio. Inoltre, i bambini che imparano a cucinare, ad esempio, non lo fanno per diventare dei cuochi di professione, ma perché attraverso il lavoro di cucina possono apprendere attivamente nozioni di zoologia, botanica, chimica, storia, e così via. La scuola elementare sperimentale di Chicago venne, perciò, organizzata da Dewey in forma dilaboratorio permanente, con officine di falegnameria e di lavorazione dei metalli, cucine, laboratori artigiani per la tessitura a mano o la ceramica, laboratori di fisica e di chimica.

Dewey propone, quindi, la centralità dell'attività dell’allievo che, guidato dall'insegnante, apprende attraverso il fare. Il sapere per Dewey non è fisso e definito, ma è piuttosto un sistema elastico che si arricchisce e modifica progressivamente grazie all'esperienza. La scuola deve quindi essere scuola attiva.

I principi del suo metodo sono, allora:

  1. partire dagli interessi infantili e da una reale attività d'esperienza
  2. porre l'allievo in una oggettiva situazione problematica, perché venga stimolato il pensiero
  3. fornirgli il materiale informativo per consentirgli le opportune ricerche e indagini (inquiry)
  4. stimolare nell'alunno lo sviluppo organico delle ipotesi che è in grado di formulare spontaneamente
  5. metterlo in grado di verificare le sue idee per mezzo dell'applicazione.

Il maestro orienta l’allievo nell'esperienza indicando i contenuti che promuovono esperienze ulteriori, permettendogli di essere protagonista dei rapporti sociali e di apprendere in prima persona le leggi di natura, con le quali è portato a interagire, diventando così capace di autogovernarsi.

Per John Dewey, infatti, tra i principali fini dell'educazione vi è la difesa e la diffusione della democrazia come modello politico. La democraziaè quella forma di organizzazione della società in cui gli individui non solo hanno la possibilità di partecipare alle scelte politiche, ma vengono sollecitati a farlo. La democrazia consiste nel rimettere tutto continuamente in discussione, nel non accettare nulla per definitivo, nel respingere qualunque meta assoluta, che metterebbe fine ad ogni discussione. La democrazia è partecipazione. È«quel modo di vita in cui tutte le persone mature partecipano alla formazione dei valori che regolano la vita degli uomini associati […] in cui le forze individuali non dovrebbero essere semplicemente liberate da costrizioni meccaniche esterne, ma dovrebbero essere alimentate, sostenute e dirette»[2].

L’individuo, infatti, avulso dalla dimensione sociale, è impoverito e la sua vita perde di significato. La dimensione sociale, anche lasciandogli ampi spazi di libertà e autonomia, dà significato alla vita dell’individuo.

Quanta attualità in questo pensiero, e quanta necessità di ripartire proprio da qui per declinare diversamente anche le parole da cui eravamo partiti recuperando il valore dell’e-ducare rispetto all’in-segnare e quindi restituire quel ruolo di guida e di facilitatore/triceassegnato al docente in una scuola del desiderio. Si tratta allora anche di volgere alla forma riflessiva alcuni verbi. Istruire diventerà così istruirsi, acquisire le informazioni che mi servono per vivere bene, formaresarà formarsi, trovare, liberare la propria forma, imparando ad apprendere per tutta la vita attraverso l’esperienza.


1 John Dewey, My pedagogic creed, 1897

[2]John Dewey, Democracy and education, 1916