*In “Formazione & Cambiamento”- Nuova serie, n. 1, 2016

  1. La problematica dei metodi per la formazione è stata e tutt’ora è una delle aree più dibattute sia a livello di ricerca e teorizzazione sia nella pratica operativa quotidiana. (Lipari 2002,  AA.VV. 2004, Quaglino  2014)
    Si può addirittura affermare che per molti aspetti la ricerca e il dibattito e la sperimentazione nell’area dei metodi per la formazione sia una delle note più differenzianti l’universo di ricerca e esperienziale della formazione organizzativa e manageriale rispetto alla formazione accademico universitaria che per lo più, anche tutt’ora, resta ancorata a una accezione tradizionale dei metodi, che ha nella lezione frontale con pubblici di utenti spesso numerosi la sua fattispecie più diffusa.
     
  2. Metodo è un sostantivo che deriva dal greco antico: méthodos, via (hodós) che conduce oltre (metà); indica l’iter  transversum, la via più dritta, percorrendo la quale si può più facilmente raggiungere un luogo in cui si desidera arrivare. Vi è così un primo rimando topologico per le problematiche del metodo; un territorio da attraversare e una strada da seguire: un aiuto per orientarsi nell’ignoto, per arrivare alla meta nel modo più efficace ed efficiente.
    Viviamo tempi di complessità e occorre ricordare che un legame connettente le diverse nozioni della complessità è il suo contenuto sostanzialmente negativo. La ricerca guidata dal paradigma della complessità nei vari campi del sapere ci fa confrontare con l’assenza di conoscenza positiva e alla crisi della prevedibilità (Archibugi 2004).
    Tutto questo rimanda il pratictioner della formazione organizzativa a una esperienza obbligata relativa alla continua ricerca da parte sua di un metodo formativo da adottare, di una via da percorrere, di un criterio da scegliere: l’esperienza non evitabile è quella della scelta rispetto ad un ampio spettro di possibilità, è quella della solitudine, è quella dell’obbligata necessità di assumere di volta in volta, secondo una propria visione, il metodo più opportuno.
     
  3. La formazione oggi, più della formazione di ieri, di fronte alla crisi generalizzata della domanda ha nella questione del metodo un transito inevitabile e la possibilità di farne un’occasione di innovativo recupero.
    La ricerca nelle aree dell’educazione degli adulti che operano nelle organizzazioni complesse ha portato nutrito in questi ultimi anni una radicata convinzione: la prospettiva è quella di ri-dare al lavoro quel ruolo centrale come occasione di apprendimento e di educazione che assista il soggetto nel portare avanti tutte le sue potenzialità e divenire così un essere umano più completo. La domanda centrale di tale prospettiva è rivolta all’analisi delle linee attraverso le quali si declina il rapporto lavoro-soggetto-apprendimento e con quali modalità “si insegna e si apprende durante la vita lavorativa”. Siamo invitati ad attraversare così quel grande spazio che è il work-based learning, territorio caratterizzato con una serie di prospettive e filoni di ricerca:
    • le note di ambiguità caratterizzanti l’intersezione lavoro e apprendimento;
    • la convinzione che si possa apprendere in modo efficace anche in contesti lontani e diversi da quelli consueti;
    • l’esperienza si genera quando l’azione è “sottoposta” ad una analisi riflessiva nel tentativo di attribuire un senso all’agire quotidiano: su questa base l’azione di chi apprende occupa un ruolo centrale a livello di insegnamento e apprendimento”;
    • il lavoro e l’organizzazione sono un’occasione per poter apprendere non solo le variabili hard delle mansioni (conoscenze e capacità, regole e procedure) ma anche per donare senso e motivazione al tempo del lavoro.
       
  4. Se tali prospettive hanno fondamento il metodo dell’action learning (imparare facendo) può essere una risposta tanto naturale quanto felice, capace di offrire occasioni diverse per aggregare insieme un’occasione di conseguimento e sviluppo delle esigenze sopraindicate. “Essa combina ‘infatti’ diverse modalità di apprendimento e di lavoro:  l’apprendimento formalizzato di contenuti gestionali, di metodi di analisi e di lavoro, di gestione di processi, la definizione e negoziazione con un committente interno di obiettivi analitici e realistico per un progetto di effettivo interesse aziendale, l’utilizzo del metodo di problem solving per la definizione del problema e la ricerca di soluzioni possibili, la progettazione di ulteriori approfondimenti”[1]
    L’elaborazione teorica originale e le prime sperimentazioni operative dell’action learning sono da attribuire totalmente a Reg W. Revans che elabora e scrive i principi fondamentali dell’action learning. nel 1971 e definisce le istituzioni del metodo dell’action learning nel 1980 (Revans 1971, 1980).
    Erano anni quelli nei quali il grande transito dall’insegnamento all’apprendimento si era solo avviato e nei quali un certo fondazionalismo, un misconoscere la natura sociale del sé, una visione della realtà organizzativa dominata da un’alta prevedibilità e una rappresentazione unitaria dei processi organizzativi, dominavano e ispiravano ancora per lo più i principi e le pratiche della formazione degli adulti operanti nelle organizzazioni.
    Revans in quegli anni lancia la sua sfida attraverso la metodica dell’action learning ispirata da una forte attenzione al contesto, da una densa attenzione alle condizioni di esperienza del soggetto, ad un primato, in altre parole, della pratica. Action learning è una ipotesi metodologica nuova che rompe quell’insieme radicato di convinzioni educative che Dewey aveva identificato come “paradigma giudiziario” del pensiero, “che si esprime in una concezione legalistica delle idee come regole rigide che l’uomo applicherebbe ai fatti in modo esteriore. Il pensiero è visto come l’atto esterno che consiste nel mettere in relazione fatti e idee che esso trova come già dati e che quindi sono indipendenti dalla sua attività. … All’interno di questo paradigma il pensiero ha una funzione meramente esteriore e classificatoria. … Al contrario, quando il pensiero è concepito sul “modello del laboratorio”, l’esercizio critico della facoltà di dubitare si rivolge contro le condizioni stesse che nel modello giudiziario vengono date per acquisite, ovvero le idee e i fatti”[2].
    Pensare ed esperire l’organizzazione secondo Revans non può essere ancorato a pre-concezioni non collegate a contesti specifici e a milieu operazionali, ma deve essere calato nelle pratiche quotidiane e nutrito da uno spaccato creaturale, segnato dall’agire quotidiano delle donne e degli uomini che lavorano pensando.
    A tali approdi Revans, solitario e incompreso, perveniva all’avvio degli anni ’80 e la considerazione attenta del suo metodo di formazione centrato su “un’idea di pensiero [organizzativo] come atto trasformativo situato[3], non può non considerare come centrali per tale approdo e come sue radici quei fattori biografici che, da prospettive diverse ma ugualmente influenti, avevano segnato lo strutturarsi della sua concezione della vita e pensare umani.
     
  5. Action learning può essere così definito: un metodo di formazione per adulti operanti in organizzazioni, attraverso un approccio al lavoro e allo sviluppo/apprendimento attraverso l’affrontare un progetto o un problema reale proposto da un committente e affrontato in setting educativi diversi, sempre caratterizzati dalla presenza di un gruppo di lavoro operante e nel suo insieme e in alcuni più ridotti gruppi di lavoro (set di action learning), con l’assistenza costante di uno specialista di formazione degli adulti, all’interno di un predefinito patrimonio di risorse temporali da investire da parte dei partecipanti per la partecipazione ad action learning e budgetarie per eventuali richieste di assistenza e onsulenza specialistica.

    L’analisi della definizione proposta consente di individuare al suo interno una “cascata” interconnessa di riferimenti specifici/peculiari di action learning:

    L’essere in sé una “organizzazione a tempo” rappresenta per i partecipanti una rilevante opportunità  di sperimentazione e confronto con la realtà operativa “lavoro per progetti”, pratica oggi estremamente diffusa nell’organizzazione contemporanea, che contiene simultaneamente del tempo organizzativo contemporaneo i dati di flessibilità e insieme di precaria imprevedibilità.

    • action learning ha un riferimento  centrale nell’orientamento all’agire, al lavoro dell’essere umano, come dato antropologico primo e riferimento peculiare: “gli uomini compiono azioni, non nel senso ovvio e banale che sono esseri che agiscono, ma in quello per cui l’azione costituisce la modalità primaria e fondamentale del loro essere al mondo”[4].
    • action learningsi fonda sulla convinzione – un credo pedagogico – che non vi possano essere apprendimento e invenzione avulsi dal lavoro, dalla pratica quotidiana delle donne e degli uomini: “tutto proviene dal lavoro, ivi compreso il dono gratuito dell’idea che sopraggiunge”[5].
    • action learningindica contemporaneamente come dal semplice fare non nasca, non possa nascere l’apprendimento. Per uncinare l’apprendimento, in altre parole per transitare dall’azione-lavoro all’esperienza-apprendimento, il lavoro, la pratica vanno problematizzati attraverso lo sviluppo di una coscienza critica di interrogarsi e di interrogare il mondo. Tale transito, sviluppato dalla riflessività nei setting della formazione, rompe le routines – abiti mentali, culturali che inducono ad accettare ogni fatto, qualunque ne sia la spiegazione, come ineluttabile, a non cogliere le contraddizioni – e può conseguire l’approdo dell’esperienza, dell’apprendimento.
    • action learningsottolinea come l’identità umana sia relazionale; essa si origina e termina in uno stato intrapsichico soggettivo, ma si sviluppa, è consentita e si radica in un processo intersoggettivo di riconoscimento mutuo e di definizione reciproca. Solo partecipando all’azione collettiva condivisa con altri esseri umani, il soggetto singolo si costituisce e si articola come un sé, struttura peculiare “dipendente” dal riconoscimento di altri esseri umani e capace di porgere a sua volta riconoscimento all’altro.
    • action learningconcretizza in sé una organizzazione nell’organizzazione; la metodica formativa A.L. fa dei partecipanti i membri di “una organizzazione a tempo”, con limiti temporali di durata predefiniti dall’istituzione che decide la partecipazione ad action learning, concordati con l’istituzione committente e comunicati ai partecipanti.
  6. Componenti e dispositivi di action learning
    L’opportunità per i partecipanti di action learning di confrontarsi con quanto “promesso” dalla definizione stessa di action learning e con i riferimenti specifici sopra rubricati, può essere sinteticamente precisata nelle seguenti caratteristiche operative (Cecchinato, Nicolini 2005):
    • il processo di apprendimento è favorito dalla ricerca di soluzioni operative proposte dai partecipanti a problemi reali e sentiti come rilevanti dall’organizzazione committente;
    • la problematica del brief proposto ai partecipanti è reale, complessa, capace di generare nei partecipanti un investimento intenzionale di investigazione e proposizione;
    • l’analisi del problema e la ricerca delle soluzioni alternative sono svolte all’interno di un piccolo gruppo, in una dimensione costantemente relazionale;
    • la ricerca operativa della soluzione del problema proposto e lo sviluppo dell’apprendimento sono processi paralleli, contemporanei e strettamente correlati in un rapporto sistemico-ricorsivo.

Questo insieme di problemi-obiettivi sono conseguibili attraverso la presenza combinatoria di alcuni dispositivi-strutture indicati come i pilastri della struttura di action learning:

  • la natura del problema proposto dal committente e affrontato dal gruppo di action learning;
  • il set di action learning;
  • il processo di lavoro “binoculare” volto e alla ricerca della soluzione e al processo di apprendimento;
  • il ruolo del facilitatore/trainer;
  • il ruolo dello sponsor del progetto di action learning.

La metodica dell’action learning è oggi declinante e nella cultura manageriale e organizzativa italiana poco utilizzata. Metodo in sé collettivo action learning è stata travolta dallo tsunami delle pratiche formative one to one, dal coaching, dal counseling, dal mentoring. Tutto questo  (pur senza alcuna intenzione di contrapporre metodi in sé diversi e in sé utili per bisogni formativi e contesti organizzativi diversi)  marginalizzando la realtà più pregnanti dell’essere l’esperienza organizzativa, ancora oggi, un’esperienza soprattutto collettiva. 

Nota Bibliografica

Archibugi F. (2004), Per un governo politico della complessità, Lettera internazionale, 79
Bellamio D. (2004), Assunti metodologici di base e pratiche della formazione, in AAVV, “Metodi per la formazione”, Adultità, 20
Frega R. (2008), “Introduzione. Una logica per il giudizio di pratica”, in Dewey J., Logica sperimentale. Teoria naturalistica della conoscenza del pensiero, Quod Libet, Macerata
Gargani A.G. (2000), La grammatica del tempo, Teoria, 20, 1
Lipari D. (2002), Logiche di azione formativa nelle organizzazioni, Guerini e Associati, Milano
Quaglino G.P. (2014), a cura di, Formazione, metodi, Cortina, Milano
Revans W. (1971), Developing Effective Manager, Praegers Publishers, London
Revans W. (1980), Action Learning. New Techniques for Manager , Blonde & Bridgets, London
Serres M. (1991), Il mantello di Arlecchino, Marsiglio, Venezia


[1] Bellamio in AA.VV. 2004, pag. 25

[2]Frega 2008, pagg. XVIII-XIX.

[3]Ibidem., pag. XXXIII.

[4]Gargani 2000, pag. 11.

[5]Serres 1991; trad. it. 1992, pag. 128.