Byung-Chul Han. Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete

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Byung-Chul Han, Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete, Torino, Einaudi, 2023


Informazione e network society

Le prime riflessioni sull’ information age proposte a metà anni Novanta del secolo scorso da Manuel Castells nella sua celebre trilogia dedicata allo studio della network society, si concentrano sui fenomeni legati all’origine, allo sviluppo e alle conseguenze (economiche, politiche e sociali) delle ICT con analisi volte a mostrare come il capitalismo contemporaneo sia fondato essenzialmente sulla centralità dell’informazione, della conoscenza e della comunicazione. Al tempo stesso – contro l’ottimismo ingenuo prevalente in quegli anni orientato a esaltare acriticamente gli aspetti positivi delle dirompenti novità indotte dalla tecnologia – non manca di segnalare i rischi di uno sviluppo senza regole del Web.  

Il regime dell’informazione, ovvero l’infocrazia 

Nei quasi trent’anni trascorsi dall’opera di Castells, una grande varietà di innovazioni (tecnologiche innanzitutto, ma anche culturali e sociali) ha letteralmente sconvolto la configurazione della network society: possiamo dire di essere ormai da tempo immersi in una realtà completamente e profondamente cambiata nella quale la trasformazione riguarda l’essenza stessa della rete ormai dominata da un “regime dell’informazione”. È ciò che sostiene il filosofo tedesco di origine coreana Byung-Chul Han nel suo pamphlet Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete. Il regime dell’informazione – scrive Han – è «quella forma di dominio nella quale l’informazione e la sua diffusione determinano in maniera decisiva, attraverso algoritmi e Intelligenza artificiale, i processi sociali, economici e politici» (p. 3). Il riferimento alla nozione di regime è finalizzato ad istituire una relazione tra l’idea di regime dell’informazione e la teoria foucaultiana di regime disciplinare, secondo cui nelle condizioni del capitalismo industriale le dinamiche della sorveglianza e  del controllo delle persone in ogni ambito della vita sociale organizzata sono esercitate attraverso forme di disciplinamento dei corpi: ogni individuo è parte di un dispositivo di potere ordinante che determina un adattamento meccanico alle sue logiche di funzionamento realizzando in tal modo forme di assoggettamento su corpi resi docili e facilmente plasmabili. Ma se la prospettiva delineata da Foucault può essere una chiave interpretativa di un certo interesse per descrivere le condizioni di vita delle società industriali, essa non è più in grado di spiegare la realtà che caratterizza la società post-industriale ormai connotabile come società dell’informazione. Nelle mutate condizioni economiche, politiche e culturali delle società contemporanee le dinamiche del controllo, secondo Han, sono garantite dal regime dell’informazione: il disciplinamento (ossia l’assoggettamento alle logiche del capitalismo) non riguarda più i corpi ma, attraverso la «psicopolitica»,  le menti, la psiche ed avviene mediante forme sofisticate di condizionamento basate sulla libertà, l’apertura, la comunicazione, le connessioni: l’isolamento e la chiusura, propri del regime disciplinare, sono sostituiti da reti aperte in cui la connessione diventa l’elemento cruciale. «La tecnica informatica digitale rovescia la comunicazione in sorveglianza: quanti più dati generiamo, quanto più intensamente comunichiamo, tanto più efficiente diventa la sorveglianza. Il telefono portatile come apparato di sorveglianza e sottomissione sfrutta la libertà e la comunicazione. Nel regime dell'informazione gli esseri umani non si sentono sorvegliati ma liberi. Paradossalmente, è proprio il senso di libertà a garantire il dominio. In ciò il regime dell'informazione si differenzia in modo fondamentale dal regime disciplinare. Il dominio si compie nel momento in cui libertà e sorveglianza coincidono» (p. 7). Ogni nostra connessione attraverso la rete (dalle ricerche sul web alla lettura delle notizie, dalle interazioni sui social agli acquisti on line) produce masse di dati e informazioni che diventano rilevanti ai fini del condizionamento di noi tutti che avviene attraverso una precisa “profilazione” di ciascuno e la conseguente riduzione (nel migliore dei casi) a bersaglio di pubblicità e oggetto di  consumo oltre che docile e inconsapevole strumento di influenze che orientano comportamenti e stili di vita – lasciandoci l’illusione di essere liberi delle nostre scelte. In definitiva, la rete e il processo di digitalizzazione generalizzato determinano e strutturano la società infocratica, nella quale «decisivo per la conquista del potere non è il possesso dei mezzi di produzione, bensì l’accesso a informazioni che vengono utilizzate ai fini della sorveglianza politica, del controllo e della previsione dei comportamenti» (p. 3).  Da qui l’importanza cruciale della raccolta, dell’accumulazione e dell’elaborazione di quantità crescenti di dati. Intrappolati nella (e dipendenti dalla) smania di comunicare in continuazione (e spesso compulsivamente) siamo immersi in una dinamica del tutto vincolante che trasforma ciascuno di noi in un giacimento di dati al quale attingere: «Il regime dell’informazione si accompagna al capitalismo dell’informazione, che evolve in capitalismo della sorveglianza e declassa gli esseri umani a bestie da dati e consumo» (Ivi).

Crisi della socialità

Le implicazioni e le conseguenze sulle del regime dell’informazione delineato da Han sono particolarmente rilevanti per la configurazione che sempre più chiaramente vanno assumendo le società contemporanee. La prima riguarda la dimensione sociale (ma anche psichica) dei soggetti che si va sempre più ri-definendo attraverso l’adozione di stili di vita fortemente individualizzati: l’interazione prossimale (un tempo prevalente) è sempre più sostituita dalla comunicazione distale con riflessi non trascurabili sul piano della competenza sociale e relazionale delle persone. Tale “mutazione” di comportamenti mette in evidenza il sostanziale isolamento degli individui i quali, nell’illusione di godere di margini potenzialmente infiniti di libertà, sono di fatto preda del «dataismo» e delle logiche del potere infocratico in una dinamica perversa di co-implicazione in cui i soggetti sono al tempo stesso produttori e consumatori di dati. Una simile realtà – che mette in evidenza le profonde trasformazioni degli stili di vita, della dinamica relazionale e della stessa sfera esistenziale delle persone – non può non interessare anche le visioni del mondo, l’etica, la cultura, la politica e il potere.

Eclissi dell’agire comunicativo

 Una seconda implicazione del regime dell’informazione descritto da Han riguarda l’eclissi dell’agire comunicativo così come tematizzato da Jurgen Habermas: la comunicazione implica necessariamente la presenza dell’altro, di modo che si istituisca una relazione discorsiva (il dis-corso come un movimento avanti e indietro) determinata anche dal suono delle parole, poichè «soltanto la voce dell’altro conferisce alla mia espressione, alla mia opinione una qualità discorsiva. Nell’agire comunicativo devo rappresentarmi la possibilità che la mia espressione venga messa in questione dall’altro. Una espressione priva di qualsiasi punto interrogativo non ha carattere discorsivo» (p. 38). La «scomparsa dell’altro» non solo segna la fine del dis-corso, ma tende a determinare forme di «autismo informatico» e a rafforzare illusorie forme di narcisismo sociale: non essendo rilevante la voce dell’altro (e il volto dell'altro, volendo riprendere Lévinas) si diventa incapaci di ascoltare, poco empatici, ripiegati nella produzione di se stessi.

Crisi della democrazia e oblio della verità

Una terza (e diretta) conseguenza dell’infocrazia è la crisi della democrazia che comincia già – sostiene Han – a livello cognitivo: «Le informazioni hanno un ristretto margine d’attualità: manca loro la stabilità temporale, in quanto vivono del fascino della sorpresa. A causa della loro instabilità temporale esse frammentano la percezione, gettando la realtà in un vortice permanente di attualità» (pp. 24-25). Non esiste il passato e nemmeno il futuro, ma un eterno effimero presente. Non si può indugiare riflessivamente sulle informazioni poiché altre ondate di informazioni rendono obsolete, inutili e dimenticate quelle del momento. Inoltrre,  «Le pratiche cognitive temporalmente intensive come il sapere, l’esperienza e la conoscenza, sono rimosse dall’obbligo dell’accelerazione tipico delle informazioni» (p. 25). Un simile realtà in cui la velocità con cui siamo raggiunti e poi scavalcati dalle informazioni (per di più in un ambiente in cui la conoscenza solida dei fenomeni è quasi del tutto oscurata/ignorata) «non è salutare per la democrazia. Il discorso ha insita in sé una temporalità che mal si accorda con la comunicazione accelerata, frammentata» (ivi). La democrazia richiede tempi lunghi e lentezza nella determinazione delle scelte, interazioni dense di contenuti, didcussione tra punti di vista diversi, mediazioni talvolta sfibranti e ciò è in netto contrasto con la diffusione rapida e virale delle informazioni. L’«infodemia» è incompatibile con i processi democratici. La difficoltà della democrazia è, inoltre, enormemente aggravata dalla «crisi della verità» con effetti disorientanti e di perdita di stabilità delle convinzioni di volta in volta acquisite: «Oggi si sta diffondendo un nuovo nichilismo» – sostiene Han – che è strettamente legato al depotenziamento dell’idea stessa di verità. Sballottati in un flusso ininterrotto di informazioni in cui proliferano sempre più le fake news, viene meno il senso critico e si perde facilmente la capacità di discernere il vero dal falso: «L’informazione circola ormai completamente scollegata dalla realtà, in uno spazio iperreale. Si perde la fiducia nella fattualità. Viviamo quindi in un universo de-fatticizzato. In definitiva scompare, con le verità fattuali, il mondo comune a cui potremmo riferirci nelle nostre azioni» (p. 60).

La caverna digitale

Secondo Han, il mito platonico della caverna descrive  in modo particolarmente efficace lo statuto della verità nel regime dell’infocrazia: il prigioniero momentaneamente liberato dai ceppi in cui è costretto insieme ai suoi compagni esce dalla caverna e vede la «luce della verità». Appena rientrato prova a raccontare la sua esperienza, ma gli altri prigionieri non gli credono e cercano addirittura di ucciderlo perché ha tentato di mettere in discussione la loro verità. Così come i prigionieri del mito platonico, «Mentre pensiamo di essere liberi, oggi siamo intrappolati in una caverna digitale [che] ci tiene intrappolati nelle informazioni. La luce della verità è completamente spenta. Non c’è affatto un esterno rispetto alla caverna delle informazioni. Il rumore delle informazioni offusca i contorni dell’essere. La verità non fa rumore» (p. 77). 

Per concludere

L’analisi di Byung-Chul Han delle nuove forme di dominio nell’era dell’infocrazia nella sua lucida precisione esibisce un livello di pessimismo che va ben oltre ogni aspettativa di radicalità critica. In ogni caso, al di là del grado di condivisione dei suoi contenuti, il pamphlet suscita molte domande sul futuro delle nostre società e sul destino delle libertà individuali e collettive rispetto alle quali siamo tutti chiamati a tentare risposte plausibili. Ecco alcune tra le  domande possibili: gli attori sociali (individui e gruppi) possono – e in che modo – fronteggiare il Moloch digitale che incombe sulle loro vite? Inoltre, sono davvero condannati a rimanere nella “caverna digitale” impigliati nelle trappole della rete e aggrappati all’illusione di essere liberi? E la democrazia, riuscirà a reggere l’urto del diffuso bisogno di riduzione della complessità – insidiata com’è dalla crisi della verità (si pensi alla cosiddetta post-verità teorizzata e praticata da chi – Donald Trump, ad esempio – ritiene di poter sovvertire ad libitum anche dati di fatto evidenti a tutti)? 



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