La rivoluzione “invisibile” nel lavoro

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Le sfide della People Strategy

Alcune delle attuali sfide del mercato del lavoro nell’ambito della People Strategy sono legate alla Talent Retention, all’Attraction e al fenomeno della Resignation. In un’ottica inclusiva, questo tipo di strategia tiene conto di diverse caratteristiche quali ruolo, età, sesso, posizione geografica, anche se in questo particolare periodo storico, oltre a riguardare trasversalmente tutte le categorie di lavoratori, sono prioritarie soprattutto per Millenials e Generazione X.

L’emorragia legata alla Great Resignation, le grandi dimissioni volontarie in massa, incominciata con l’arrivo del Covid-19 e legata ad un malessere, ben lontana dal paradigma di organizzazione del lavoro dello Stachanovismo o del Taylorismo che comportavano la spersonalizzazione del lavoro, continua ad aggiungere ulteriori elementi che ci fanno comprendere quanto si stia ribaltando la scala valoriale: non domina più il modello del benessere economico e del lavoro indispensabile, bensì quello basato sul benessere personale e sulla felicità.

Si parla molto di Generazioni X e Millenials ma in realtà i dati rivelano che questi nuovi comportamenti, che inducono gli individui a fare scelte anche rivoluzionarie nelle proprie vite, riguardano persone di ogni età, settore e posizione professionale. Per queste persone i nuovi obiettivi, il rilancio professionale, le collaborazioni fanno parte di un nuovo mindset in cui le scelte sono non solo informate ma anche pensate e vanno considerate come conseguenza di una idea di sostenibilità più consapevole e di un benessere, se ci pensiamo anche più egoistico.

Secondo uno studio della Society for Human Resource Management (SHRM) quando un dipendente decide di presentare le dimissioni, l’impresa spende in media da 6 a 9 mesi di stipendio in più all’anno. Andando in dettaglio, da una valutazione dei costi risulta che per un manager che guadagna 50.000 dollari l’anno e che si licenzia, l’azienda spende circa 30-40.000 dollari in ricerca del personale e formazione di un nuovo manager. Per evitare tutto ciò servono azioni, che mettano al centro la valorizzazione della persona: per aziende e istituzioni puntare sulle proprie risorse umane è una delle migliori soluzioni per essere attrattive; strategia non solo sostenibile economicamente ma anche con un benefico impatto sociale.


HR al bivio

Le cause, che guidano alla scelta di un approccio diverso e che coinvolgono soprattutto i professionisti delle Human Resources da una parte e i dipendenti dall’altra, sono da attribuirsi in questi ultimi tempi anche a fenomeni come il calo della motivazione, il rust-out e il disinteresse nel puntare sulla carriera. Se prima si parlava solo di gestione del tempo che non bastava, di burn-out, di leadership old style, ora siamo andati oltre, poiché le motivazioni sono profondamente cambiate. La maggiore sensibilità al tema della sostenibilità sociale ha dato ampio spazio a ciò di cui le persone hanno veramente bisogno in ambito lavorativo; ha permesso di manifestare in modo chiaro la voglia di un clima lavorativo migliore e di un work life balance che tuteli i tempi di vita dell’individuo. Questa profonda trasformazione delle scelte di vita e di lavoro ha messo il mondo degli esperti HR di fronte ad un bivio:

Scegliere di fare qualcosa per i propri talenti, e più in generale, per le persone che sono parte dell’azienda attraverso benefit più complessi ma arricchiti anche dal punto di vista valoriale, emotivo, relazionale?

Oppure continuare con la vecchia leadership gerarchica, utilizzando vecchi paradigmi in cui il focus sono gli obiettivi, il prodotto, i numeri fini a sé stessi?

In un momento in cui molte aziende hanno obiettive difficoltà economiche, limiti di budget e di spesa, causati dall’incertezza, dai conflitti, dall’alto costo della vita, ci sono alcuni strumenti considerati “invisibili” ma che in realtà hanno un impatto reale sulla motivazione delle persone, sulla performance, sulla voglia di fare carriera – di cui comunque bisogna tener conto. Le persone chiedono e le aziende offrono infatti: smart working, flessibilità nell’orario lavorativo, formazione di gruppo e individuale.

La scelta ormai è vasta. Passiamo dalle iniziative legate alla sostenibilità aziendale che possono essere legate alla formazione su hard e soft skills ai percorsi di sviluppo quali coaching e orientamento, ai modelli di condivisione, ricordando ad esempio il feedback e l’ascolto.

Si tratta di una politica che ha come leve determinanti lo sviluppo delle competenze professionali e manageriali (gestione del tempo, pianificazione, organizzazione, decisione, controllo, orientamento ai risultati…ecc). Strumenti che, in un momento storicamente ed economicamente complesso come questo, fanno la differenza, se dobbiamo lavorare con persone che hanno le proprie esigenze, aspettative, aspirazioni, ambizioni, attitudini, interessi. Per i lavoratori nella scelta di un’azienda, in fase di candidatura o come dipendenti già inseriti, rientrano nuovi must-have. Sono nuovi benefit, che nell’era pre-pandemica potevano essere considerati dei plus ma che oggi rappresentano il metro di misura per valutare un’azienda. Questo trend non riguarda solo le grandi organizzazioni, ma anche le PMI e la Pubblica Amministrazione.


La rivoluzione invisibile

Nelle organizzazioni si continuano ad attivare meccanismi disfunzionali spesso portatori di stress, burn-out, forme di assenteismo, conflitti, insoddisfazione, che portano in alcuni casi a scelte drastiche quali le dimissioni. Una delle cause di tale scelta è in misura crescente riconducibile al calo della motivazione e al rust-out.

Come sostenuto dal Prof. Giuseppe Pantaleo dell’Università Vita - Salute San Raffaele di Milano: ”il rust-out è la sensazione che si prova quando ci si sente ‘arrugginiti’ di fronte a mansioni che sono diventate talmente ripetitive da non suscitare nessun interesse e da non innescare nessuno stimolo.” Fenomeno che non va confuso con il burn-out, anche se entrambi hanno alcune reazioni simili, come ad esempio uno stato di apatia e di calo delle energie.

Nell’analisi della “rivoluzione invisibile” è interessante considerare alcuni passaggi che, seppur antitetici alla rivoluzione industriale, possono essere messi a paragone. Come tutti i cambiamenti, entrambe le “rivoluzioni” sono caratterizzate dai timori forse un po' dovute al non sapere oggi quale sarà il punto di arrivo domani. Oggi andiamo in controtendenza rispetto alla rivoluzione industriale attraverso la ricerca della riduzione dell’orario di lavoro per cercare di avvicinare genitori e figli e per “recuperare” la dimensione familiare. Chi lavora desidera la costruzione e la cura dei rapporti basati sulla fiducia e sull’autenticità per migliorare i rapporti tra le persone, rispetto alla disgregazione verificatasi nella società industriale.

Gli HR expert stanno lavorando per trasformare le politiche del personale, cercando sempre più di migliorarle e in questo modo facendo un passo in avanti – più o meno consapevolmente – verso quella che viene chiamata “la rivoluzione invisibile”.

La “rivoluzione invisibile” si riferisce – declinando quanto espresso dal Sole 24 Ore – ad un bisogno diffuso tra i lavoratori di nuovi benefici (spesso neanche troppo pretenziosi), tesi a migliorare la qualità di vita delle persone e aumentare la soddisfazione della vita lavorativa e il benessere psico-fisico. Si tratta di necessità individuali di cui si può e deve tenere conto nelle strategie aziendali. Sono peraltro bisogni che è possibile soddisfare con strumenti, in alcuni casi anche con costi contenuti, quali lavoro ibrido, lavoro da remoto, orario flessibile, sviluppo e crescita professionale.

Parlo di importanti leve che probabilmente, come la storia ci insegna, si trasformeranno nel tempo. Esse rispondono non solo alle esigenze delle persone, perché possono valorizzare l’esperienza professionale e creare soddisfazione e crescita personale, ma apportano molto spesso risultati positivi sulla salute e sulla produttività all’interno delle organizzazioni anche nel lungo termine.

In questo cambiamento una leva strategica importante è l’empowerment, inteso proprio come processo individuale e organizzativo attraverso il quale le persone raggiungono la padronanza e il controllo della propria vita, lavorativa e personale. Spesso molti datori di lavoro non intraprendono alcuna azione, disorientati dalla velocità con cui si modificano i comportamenti delle persone e con cui cambia il mercato del lavoro. In realtà è un investimento che restituirebbe non solo un vantaggio competitivo ma anche un grande beneficio alla società intera.


(1) https://www.ilsole24ore.com/art/mercato-lavoro-2023-rivoluzione-invisibile-AF9W0xuB

Il comitato redazionale

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