Doveva succedere. Il silenzio dell’Accademia della Crusca, implacabile fustigatrice dell’esterofilia linguistica, segna la resa. Con il “Made in Italy” applicato alla scuola la logica del marketing ha prevalso. Con 92 indirizzi autorizzati (su 900 che avrebbero potuto esserlo) e 375 studenti iscritti (0,7% degli iscritti al primo anno delle superiori) nel 2025-26 (1) decolla il Liceo del “Made in Italy”, fiore all’occhiello dell’attuale corso politico. “Il nuovo liceo” sostiene il ministro dell’Istruzione e del Merito, “arricchirà l'offerta della nostra scuola superiore, dando quelle risposte formative che il sistema paese richiede". I meccanismi di autopropulsione (2) nella nostra scuola non si inceppano. Dopo i licei musicali e coreutici, le sezioni a indirizzo sportivo nei licei scientifici, i percorsi quadriennali, la filiera tecnico-professionale, i licei con curvatura biomedica sorti per gemmazione il neonato liceo non sorprende anche per il fascino discreto di quel “Made in Italy” che richiama firme di prestigio e di pregio sulla ribalta internazionale. E è proprio il parallelo con i marchi italiani di successo che fa sorgere alcuni interrogativi, apparentemente inusuali o fuori tema si potrebbe dire, che, tuttavia, sono quanto mai pertinenti.
Il global branding dei gruppi italiani ha bisogno di un liceo dedicato? Esistono le condizioni per crearlo?
Di nation branding ha parlato recentemente il ministro Giuseppe Valditara citando le performance di prestigiosi gruppi italiani della moda e del design. Senza alcun dubbio Dolce e Gabbana, Gucci, Cassina, Ferrero, Barilla e altri marchi italiani globali non hanno certo atteso un liceo dedicato per raggiungere il successo. Solo le storie aziendali, accanto alle analisi economiche e finanziarie, potrebbero documentarne come si sono formate le competenze. Con il tempo le ipotesi di lavoro che ispirano il nuovo liceo potranno essere meglio esplicitate e discusse. Rimane, infatti, da verificare come un Liceo del “Made in Italy” possa contribuire in modo significativo all’affermarsi di nuovi marchi del Bel Paese.
I dubbi, tuttavia, sono a monte. Prima di cercare di rintracciare i processi in grado di sostenere l’ideazione, la progettazione, la produzione e la conquista dei mercati, qualche riflessione si impone dal punto di vista della praticabilità e della implementazione. La scuola vive a distanza dalle aziende e dal mondo produttivo, risente di radicate impostazioni disciplinari, si rivela poco propensa a muoversi su un terreno di intreccio tra discipline, non di rado si dimostra insensibile ai valori del sapere manuale. D’altra parte le aziende italiane sono moderatamente innovative e l’innovazione e l’eccellenza abitano nicchie spesso di piccole dimensioni seppur con orizzonti planetari.
Sarebbe miope, inoltre, dimenticare che la nostra scuola secondaria fatica a competere con le High Schools di altri paesi. Da oltre venti anni i quindicenni alle nostre latitudini “tribolano” a esprimere performance che si avvicinino ai valori medi dell’area dei paesi dell’OECD. Purtuttavia scandagliando in profondità e perlustrando le zone d’ombra non mancano le sorprese. Nell’indagine sulla creatività condotta dall’OECD (3) si scopre, ad esempio, che: “Students in Macao (China), Israel, Italy, Spain and Chinese Taipei were also more successful in the scientific problem-solving domain than on average across OECD” (4). Sorprende anche, ad esempio, leggere che “PISA data show that students across countries and economies reported largely positive attitudes towards learning and engaging in creative work in general. For example, across OECD countries, nearly 83% of students reported that they enjoy learning new things; in Brunei Darussalam, Costa Rica, Colombia, France, Mexico, Italy, Peru, Panama* and Portugal, over 90% of students agreed or strongly agreed with this statement” (5). Inattesa è la constatazione che “In only two countries (Korea and Italy) were disadvantaged students more likely to report holding a growth mindset on creativity than their peers” (6).
I giacimenti di risorse immateriali sono probabilmente più numerosi di quanto pensiamo superficialmente, soprattutto se continuiamo ad essere titubanti nello scavare pozzi per valorizzarle.
Qual è la scuola “Made in Italy”? Perché la nostra scuola non è un global brand?
Il meccanismo della serendipity gioca un brutto scherzo. Discutendo di liceo del “Made in Italy” e dintorni emergono interrogativi in qualche misura inquietanti: qual è la scuola “Made in Italy”? Il global branding italiano è affollato di nomi, da Dolce e Gabbana a Cassina, dalla locanda Picchiorri al marchio Tod’s, da Armani a Bulgari. I settori del tessile e della moda, dell’agro-alimentare e del design sono quelli più prominenti. Ma non si possono dimenticare protagonisti nel settore bancario e assicurativo, nel campo energetico, nell’area delle telecomunicazioni e nell’automotive. Tra questi asset strategici su cui il paese ha puntato e continua a puntare, non compaiono i servizi educativi e formativi che nessuno escluderebbe tra i pilastri di una società.
Come l’on Valditara non ignora, anche in campo educativo il nation branding ha il suo spazio sia nella tradizione del passato sia negli ultimi decenni, alimentato dalle graduatorie tra i sistemi scolastici a cui ci hanno abituato le ricerche con valutazioni standardizzate di massa realizzate da organismi sovranazionali, dall’OECD all’IEA. Avviene così che, prima dei recenti regressi, la scuola finlandese (7) per anni abbia dominato la scena della comparazione internazionale. Per la loro capacità di posizionarsi ai vertici e, soprattutto, di rimanervi nel tempo, le asian tigers (Shangwai, Hong Kong, Corea del Sud, Singapore, Giappone…) hanno scatenato l’invidia di policy makers di mezzo mondo, impossibilitati, tuttavia, per l’impraticabile imitazione, a seguirne le tracce. L’Estonia con l’exploit recente (8) si è inserita nel ranking tra i top-performers. Per quale ragione non si fa strada un impegno ambizioso perché le nostre scuole diventino, come hanno saputo fare Ferrari o la School of Management del Politecnico di Milano nei loro settori, dei brand di successo?
Gli ostacoli, per la verità, non mancano. Lacune e inerzie ormai deturpano l’immagine fino a ieri di eccellenza tracciata dalla tradizione di studi classici all’esperienza del tempo pieno, dalle politiche inclusive alla forza degli istituti tecnici. Mediocri, e sostanzialmente stabili da oltre un ventennio, sono le performance degli studenti italiani nel programma PISA dell’OECD, salvo un qualche miglioramento recente in matematica. A gettare ombra sul brand italiano a livello globale è, inoltre, l’irregolare frequenza scolastica degli studenti implacabilmente radiografata dal 2000 ad oggi dal progetto PISA.
Le correnti narrazioni spengono le speranze e soffocano le aspirazioni. Parlando delle nostre scuole è convenzionale l’ottica catastrofica seppur accompagnata dalla retorica ormai esausta delle qualità del nostro liceo classico, dei nostri programmi aperti, degli studenti che approdano nei prestigiosi atenei di altri paesi.
Non mancano, tuttavia, esempi di segno contrario del passato remoto e recente. Le scuole Montessori e la metodologia montessoriana sono marchi internazionali che troviamo persino nella Corea del Sud o nelle biografie di professionisti di successo. Il Reggio Children è una multinazionale che da anni ispira le politiche educative per l’infanzia di interi paesi esportando un approccio largamente apprezzato alla cura e all’educazione della prima infanzia.
Quando le anomalie prevalgono sulle eccellenze disseminate, tuttavia, non è certo un liceo del Made in Italy dal passo incerto a fare della scuola italiana un global brand. Riconoscendo che in campo educativo le nuove ipotesi non vanno mai cassate, bensì coltivate e scrutinate nel tempo, anche il nuovo liceo può essere, tuttavia, una esplorazione del possibile.
Indispensabile è, comunque, individuare e rimuovere le macchie che impediscono l’eccellenza. L’immagine della scuola reale del nostro paese è fortemente offuscata dalla mediocrità di una stagnazione che dura da troppo tempo. Altri parametri rendono il profilo meno positivo: le condizioni degli insegnanti, il magro livello di risorse finanziarie dedicate alla scuola e l’elevata disomogeneità territoriale. In questo quadro anche successi documentati, come l’essere più bravi dei francesi e dei tedeschi con gli studenti di nazionalità straniera, non assumono un rilievo significativo. Senza dimenticare che l’ondata di populismo in occidente investe società in cui l’impresa educativa ha raggiunto dimensioni senza precedenti. ( 9)
Per coltivare una scuola “Made in Italy” occorre una visione che purtroppo non trova l’humus per affiorare. Indaffarati a imbastire filiere e coniare licei con un’ordinaria manutenzione a rilento, fatichiamo ad esprimere ambizioni. Sopraffatti da problemi di routine come il portare gli studenti a scuola ne rimaniamo prigionieri, privi di visioni. Assorbiti dalla fatica di contrarre le quote di livelli inadeguati di apprendimento non lasciamo spazio a orizzonti per il futuro. La competizione è, probabilmente, fuori luogo nel campo dell’educazione. Un’autonomia monca ne ha soffocato le potenzialità diventando una patina di cosmesi per un sistema che ha rinunciato a risvegliare l’orgoglio per missioni in cui investire i capitali immateriali che il paese conserva.
Nelle culture politiche attuali non c’è traccia di progetti ambiziosi o di iniziative visionarie in grado di stimolare l’audacia che il paese esprime in altri campi. L’attuale scuola sembra una sodaglia, impoverita e senza nuovi e promettenti germogli, un terreno consunto che nessuno appare capace di rigenerare. Che cosa impedisce alla nostra scuola di seguire le orme di altre istituzioni e raggiungere livelli di eccellenza riconosciuti? Forse potremmo incominciare evitando le retoriche ad uso domestico (“Esportiamo il saper fare italiano”) e il corto respiro di una “diplomazia della scuola” (10) ricordando che i livelli di performance scolastica dei nostri studenti non raggiungono i valori medi dell’area OECD.
Note
- https://www.mim.gov.it/-/liceo-made-in-italy-92-gli-indirizzi-approvati-sul-territorio-nazionale
- De Rita, G., Lo sviluppo e il divenire. Nota sull'autopropulsione sociale, CENSIS Roma marzo 2024.
- OECD, PISA 2022 Results (Volume III): Creative Minds, Creative Schools, PISA, OECD Publishing, Paris 2024 (https://doi.org/10.1787/765ee8c2-en).
- OECD, 2024 op.cit. p.133.
- OECD, 2024 op.cit. p.210
- OECD, 2024 op.cit. p.160.
- Sahlberg P., Finnish Lessons. What can the world learn from educational changed in Finland, Teachers College, Columbia University, New York 2010.
- Mehisto P., Lessons from Estonia’s Education Success Story. Exploring Equity and High <performance through PISA, Routledge, London 2022.
- Bernard Ph., “Le populisme est aussi une crise de l’éducation”, Le Monde, 5 gennaio 2025.
- Cfr. le dichiarazioni del ministro sulla “diplomazia della scuola” in Orizzonte scuola, 16 dicembre 2024.