"L'interiorità è imprendibile, come il tempo che la abita. Inesauribile, come l'immaginazione che la alimenta" (Antonio Prete)

Seguo e sperimento in rete da molti anni, in progetti di community dedicati alle imprese di piccole, medie e grandi dimensioni, le dinamiche di comunicazione e apprendimento nelle attività di formazione e consulenza e in esperienze "social" di costruzione partecipata della conoscenza. Spesso vedendo vivere queste esperienze accanto ai più tradizionali momenti di condivisione e apprendimento che abitano le aule, i luoghi sociali di prossimità fisica e le attività esperienziali in outdoor. Sono partita, nell'ultimo decennio del ‘900, occupandomi di formazione a distanza e approdando poi a un approccio al coaching e all'ascolto nelle organizzazioni che associa sempre una modalità di intervento narrativa (una narrazione che deve sapersi dare a se stessi e all'altro) come occasione di progettazione attraverso la capacità di dirsi e dire. In modo connotato e non ambiguo.

Una mappa potente
Le tecnologie e i servizi di interconnessione in rete, che dagli anni '90 hanno abitato e invaso i costumi sociali e organizzativi, hanno sedimentato, nella consulenza e nelle esperienze organizzative e personali, cognitive ed emotive, una mappa di opportunità e sconvolgimenti per i saperi e i vissuti sorprendentemente potente. Potente nel trasformare il lavoro, il sapere, il vivere, il comunicare e persino l'amare. Nulla di questo è accaduto fuori dal crollo dell'ottimismo capitalistico e molto di questo si esprime come risposta individuale al bisogno di sopperire al mutamento delle organizzazioni e del lavoro, realtà che hanno smesso di essere dimora duratura. Tutto questo accade attraverso la tentazione di costruire una comunità di vissuti, più che di competenze, per rispondere con il fattore umano al disastro di una memoria collettiva senza rappresentanza.

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Il dato inquietante, difficile da metabolizzare e legare a una riflessione più ampia sul futuro del Technology Enhanced Learning, è lo scollamento fra la proliferazione di strumenti e occasioni e la capacità matura di utilizzarli in senso individuale e collettivo. Le community aziendali (a differenza di quelle sorte spontaneamente passando tra le maglie della rete con contenuti, linguaggi e interazioni intorno alla gratuità delle piattaforme e della produzione di contenuti), soffrono di una dimensione che parte sempre verticale, spesso con una sponsorship debole e ambigua. Sono proposte prima che si sia sedimentata una passione per la trasgressione delle regole formali della comunicazione nei luoghi, che è il sale e il motore del successo dei social.
Se parte della formazione sui contenuti riesce a supportare il lavoro con ambienti di knowledge sharing e la creazione di momenti che possono essere "vissuti" e non solo fruiti con grande libertà, la scommessa che si perde è sul fronte delle relazioni, che per essere interamente umane hanno bisogno di sfuggire alle logiche di ruolo e di status tipiche delle organizzazioni e del lavoro. I meccanismi di controllo, che non sono mutati nel tempo, se mai hanno spezzato l'alleanza che derivava dal "crescere" in una organizzazione.

Metafore deboli e narrazione
La debolezza delle metafore scelte dalle organizzazioni per parlare di sé al proprio interno, privilegiando quelle orientate al marketing e al cliente, non sa stare nel patto dell'autenticità che, nel bene e nel male, fonda le relazioni nel mondo dei media. Nei social, nella rete, nella pubblicità e nel customer care sono cambiate le letterature. Nel mondo della collaborazione per il lavoro, la gratuità dell'economia prosumer (Tapscott, 2007), che ha tanto fatto crescere la comunicazione in ogni campo, stravolgendo le regole della politica, della solidarietà e della produzione culturale, non riesce a passare. Quella pornografia delle emozioni (Ippolita, 2016) che è il rischio di un'interazione che non sa darsi una direzione compiuta e mette a rischio molto del pudore esistenziale che fonda la con-vivenza, non sa manifestarsi nella comunità delle tecnologie per il lavoro e per la formazione, se non in modo del tutto parziale.

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Ma questo ha a che fare più che con la ricerca intorno a tecnologie e ambienti, con una riflessione epistemologica, che usi le tecnologie per facilitare i processi di condivisione del lavoro fra persone allocate in nazioni e contesti socioculturali di grande distanza, che le metta al servizio dei bisogni specifici (di apprendimento, di espressione e produttività), ma che al contempo scopra la non riproducibilità tecnica delle relazioni, senza il supporto dei linguaggi para-poetici della narrazione, della parola e dello stupore. E le organizzazioni, spesso, non sono luoghi di stupore e di incanto, quanto piuttosto di paura, precarietà e disincanto. Una consulenza e una ricerca che vogliano agire per il bene e la dignità del lavoro, da questa consapevolezza, penso e temo, debbano partire. Stupore e tremori, narrava la Nothombe, quando non si è a capo di nessuno. Stupore e tremore sani nell'autentico della competenza a narrare, è forse, invece, la proposta.

Bibliografia
Ippolita, 2016, Anime elettriche, Jaca book.
Amélie Nothomb, 1998, Stupore e tremori, Guanda.
Antonio Prete, 2016, Il cielo nascosto, Boringhieri.
Don Tapscott e Anthony D. Williams, 2007, Wikinomics, Rizzoli.