La scelta del titolo non è forse originale ma corrisponde alla realtà. I Fondi Interprofessionali sono ormai, dopo 15 anni dalla nascita dei primi tra loro, ad un bivio tra il diventare mere emanazioni della Pubblica Amministrazione o rilanciare il loro ruolo nello spirito della loro legge costitutiva.
L’uscita il 10 aprile del 2018 della Circolare n.1 dell’ANPAL contenente le Linee Guida sui Fondi Interprofessionali è sicuramente in tal senso un motivo di riflessione e di discussione.
Infatti la motivazione fondamentale del piccolo gruppo di persone che ne ha voluto la nascita, anche in contrasto con molti all’interno delle rispettive Parti Sociali, era quello di rendere efficiente ed efficace uno strumento fondamentale delle Politiche Attive del Lavoro come quello della formazione continua.
Questo anche in forte discontinuità con quanto fanno le Regioni da molti anni, con le loro lungaggini burocratiche ed i loro Bandi molto spesso lontani dalle reali esigenze delle imprese e dei lavoratori.
Si pensava infatti che i Soggetti di rappresentanza di imprese e lavoratori, molto più vicini alla realtà produttiva, sarebbero stati in grado di cogliere al meglio i fabbisogni di entrambi mantenendo alta l’efficacia e bassi i costi in un’ottica di maggior efficienza.
Invece in questi ultimi anni abbiamo assistito ad un preoccupante fenomeno di irrigidimento da parte delle Istituzioni, a cominciare dal Ministero del Lavoro che oggi gestisce il controllo dei Fondi tramite l’ANPAL. Nel 2016 si sono inoltre fatte vive due importanti Authority quali l’ANAC e l’Antitrust. Tutti questi Enti, talvolta anche in contraddizione tra loro, stanno progressivamente tentando di mutare la natura sostanzialmente privatistica dei Fondi in una natura del tutto pubblicistica e non mancano i loro sostenitori sia nel modo della Politica sia all’interno delle stesse Parti Sociali costituenti alcuni Fondi. La suddetta Circolare n.1 è il tentativo di ANPAL di mediare tra le varie posizioni dei burocrati, ma sicuramente spinge sempre in questa direzione.
Certamente quello che manca è un fondamento giuridico solido. Infatti, dopo la legge istitutiva dei Fondi (articolo 118 del D.Lgs. 388 del 2000) abbastanza vaga sulla natura di questi Organismi, le poche norme uscite successivamente hanno ulteriormente squilibrato il quadro, oscillando tra maggiore flessibilità ed una visione puramente pubblicistica.
A questo si aggiunge il logoramento dei rapporti tra Fondi ed Istituzioni dovuto alla fortissima competizione che si è ingenerata in questi anni su questo «quasi mercato» che ha generato di fatto un sistema di libera concorrenza.
Un sistema che si era pensato come in auto-equilibrio, in cui ogni Comparto produttivo avrebbe generato spontaneamente un suo Fondo, magari vicino alla natura contrattuale delle imprese (fatto comunque non obbligatorio per legge), si è di fatto trasformato in un tutti-contro-tutti in cui hanno guadagnato ampi spazi Fondi di tipo molto trasversale, sia per quanto riguarda i comparti economici che le dimensioni di impresa.
Questo sicuramente ha generato una concorrenza che ha avuto anche riflessi, talvolta inattesi, sugli equilibri della rappresentanza sindacale sia dei lavoratori che delle imprese.
Si è assistito all’ascesa di nuove Parti Sociali che, proprio grazie all’attivazione di un proprio Fondo Interprofessionale, hanno potuto potenziare la loro capacità di fare marketing associativo e di generare rappresentanza.
A questo fenomeno hanno reagito le Parti Sociali che potremmo definire «storiche» da un lato con forti pressioni verso le Istituzioni per poter mantenere alcune posizioni dominanti dall’altro in qualche caso cercando di seguire il mercato e rilanciare offerte competitive (qualcuno direbbe «al ribasso») rispetto a quelle dei Fondi promossi dai nuovi sistemi di rappresentanza.
Certamente quindi il problema non è solamente giuridico o istituzionale, ma riguarda sostanzialmente la questione molto spinosa della Rappresentanza Sociale.
Assistiamo, ben oltre il sistema dei Fondi e della formazione in genere, ad una grave crisi della Rappresentanza delle organizzazioni già qui definite come «storiche».
Altri nuovi Sistemi hanno sicuramente maggior vicinanza alle realtà produttive, ma spesso peccano di nanismo e di personalismo, restando frammentati e poco efficaci proprio nell’azione politica e sindacale.
L’atteggiamento delle Istituzioni, specie del Ministero del Lavoro, in questi anni è stato però molto poco efficace nel gestire queste criticità.
Facendo infatti la media dei vari Governi e dei loro ministri del Lavoro che si sono succeduti dal 2003 nessuno ha particolarmente brillato nell’efficacia nella gestione delle Politiche Attive del Lavoro e non solo nella Formazione Continua con i Fondi.
L’atteggiamento è stato sostanzialmente di ignorare il problema, privilegiando le politiche passive quali la cassa integrazione in deroga, che dal 2013 «costa» al sistema dei Fondi Interprofessionali il 20% circa delle entrate garantite dall’INPS (120 milioni l’anno attualmente).
Questo quadro oggi la situazione generale dei Fondi è caratterizzata da alcuni elementi di forte incertezza per il futuro tra i quali potremmo indicare almeno i due principali elementi: i tentativi di pubblicizzazione ed ipotesi di accorpamento.
Per quanto riguarda i primi sicuramente un ruolo importante è ricoperto da coloro che, forti della lettera di ANAC di gennaio 2016 dove si definivano i Fondi degli Enti Pubblici, cercano a tutti i costi di ricondurne l’operato a quello di semplici Stazioni Appaltanti della Pubblica Amministrazione, soluzione certamente meglio comprensibile per chi è chiamato alla sorveglianza e non comprende fino in fondo le opportunità di questo sistema.
Altro elemento di cui si discute è invece quello dell’accorpamento tra Fondi di dimensioni più piccole, magari sulla base delle affinità politiche e sindacali.
E’ innegabile infatti che i Fondi siano troppi, attualmente ne sono stati approvati 22 di cui 3 sono già stati chiusi, per cui un’impresa deve scegliere tra ben 19 offerte (compresi i 3 fondi dei dirigenti) diverse, articolate e spesso complesse.
D’altronde i Fondi non hanno natura contrattuale, quindi è anche la libertà delle imprese di scegliere (a differenza della Francia ad esempio) che ha ingenerato questo «quasi mercato».
Sul modello della Francia e, in Italia, dei Fondi del TFR, da più parti si propone di accorpare tra loro i Fondi che non superino un numero minimo di lavoratori di imprese aderenti.
Per capire meglio la questione servono un po’ di numeri, ispirati al rapporto INAPP 2017 (che normalmente riporta i dati dell’anno precedente) e riportati da chi scrive (con una certa approssimazione) al 2018.
Sul totale dei lavoratori di imprese aderenti ai Fondi, quasi 10 milioni, poco meno della metà è in Fondimpresa.
Poi ci sono For.te con circa 1,2 milioni e Fonarcom con più di un milione.
C’è poi una fascia media di Fondi che stanno tra i 400 mila ed i 700 mila lavoratori, cioè Fondo artigianato formazione, FormAzienda, Fon.Coop, Fondo banche assicurazioni e Fonditalia.
Al di sotto di tale fascia troviamo Fondo Formazione PMI, Fon.ter, Fondoprofessioni, Fondo Formazione Servizi Pubblici Industriali, Fond.E.R.  fino a quelli sotto i 50 mila come FondoLavoro, For.Agri e Fondo conoscenza.
Volendo fare invece una distinzione tra quelli attivi promossi da CGIL – CISL – UIL e quelli con altri sindacati (tra i quali due con UGL e due con CONFSAL) si può dire che questi ultimi rappresentano poco meno del 20% del totale dei lavoratori, valore peraltro in crescita costante da tempo.
Si sta inoltre delineando una fotografia abbastanza sovrapponibile ai rapporti di forza tra le Parti Sociali, ovvero il sistema «storico» che rappresenta la realtà delle medie e grandi imprese del Nord ed il «nuovo» sistema che rappresenta quella delle microimprese, specie quelle del Centro – Sud, ma con presenze significative anche al Nord, in particolare in Lombardia e Veneto.
Infatti la leva della formazione finanziata ha consentito a nuovi protagonisti di entrare nello scenario sindacale, specie grazie ad un rapporto capillare con i territori (sia pure spesso a «macchia di leopardo») e con i professionisti che intermediano più da vicino il rapporto con le imprese, in primis i consulenti del lavoro ed i commercialisti.
Inoltre, tra tutti gli adempimenti che i Fondi richiedono è particolarmente controverso quello della concertazione sindacale per ottenere i finanziamenti.
Questo è infatti l’aspetto che ha tenuto in questi anni le PMI e le microimprese lontane dall’accesso ai contributi offerti dai Fondi, in quanto la sindacalizzazione è temuta da queste imprese molto più di quanto siano apprezzati i vantaggi offerti dalla formazione gratuita, anche se si tratta di quella obbligatoria (es. Sicurezza).
Questa breve disamina dello stato attuale della situazione certamente non pretende di certo di essere esaustiva né lo stato attuale del settore può definirsi definitivo o consolidato.
Per aiutare i lettori nella comprensione di questo complesso scenario, nel presente numero monografico proporremo una serie di articoli scritti da specialisti del settore di diversa provenienza, sia interni che esterni ai Fondi stessi, e spesso appartenenti a sistemi diversi e virtualmente concorrenti fra di loro.