Il mutamento dello scenario economico e sociale impone ai fondi paritetici sfide complesse di rilevante portata, che necessitano di una risposta adeguata sotto il profilo organizzativo e gestionale, pure accompagnata da una revisione avveduta e non più differibile del quadro normativo, affinché essi possano realmente assolvere alla funzione di catalizzatore delle politiche attive del lavoro, conciliando opportunamente la capacità di produrre reddito con la capacità di generare occupazione.


Il sistema della formazione continua in Italia
La formazione continua o apprendimento permanente coinvolge attualmente in Italia circa 2,5 milioni di persone in età adulta, con una percentuale di partecipazione significativamente più bassa rispetto alla media comunitaria e al valore obiettivo di Europa 2020 (cfr. XVII rapporto INAPP sulla formazione continua). Interessa maggiormente gli individui di età compresa tra 25 e 34 anni con livello d’istruzione medio/alto (diploma di laurea) ed elevata qualifica professionale.
Purtroppo, incide ancora poco o nulla sui lavoratori ultracinquantenni con profilo professionale basso e residenti nel meridione, per i quali è crescente il rischio di emarginazione occupazionale derivante anche dalla rapidità dell’evoluzione tecnologica dei processi di produzione dei beni e servizi. Ne consegue un divario crescente tra domanda ed offerta di lavoro che interessa vaste fasce della popolazione, con implicazioni negative, sotto il profilo economico e sociale, che à facile prevedere.
L’elemento debole del mercato del lavoro è storicamente rappresentato in Italia dall’asimmetria, in termini qualitativi e quantitativi, tra domanda ed offerta, in un contesto caratterizzato da una relazione funzionale distorta, dove è sovente la proposta a influenzare la richiesta e non viceversa. Da qui, l’incapacità del sistema produttivo di soddisfare i propri fabbisogni formativi, a fronte di un’offerta di lavoro qualitativamente insufficiente, che è chiamata a modificare i propri contenuti per trovare una collocazione adeguata all’interno dell’universo imprese, in un mercato vieppiù globalizzato ed interdipendente. Tali considerazioni inducono a ricercare strumenti e dispositivi che consentano di catalizzare la fusione domanda/offerta, allineando i profili professionali alle esigenze della produzione e spronando le imprese ad investire di più e meglio in formazione.
La formazione continua in Italia è finanziata principalmente attraverso i fondi interprofessionali che gestiscono i 2/3 delle risorse disponibili, con una dotazione media annuale di spesa di poco inferiore a 500 milioni di euro (cfr. XVII rapporto INAPP sulla formazione continua).
I campi dell’apprendimento più affollati continuano ad essere quelli riconducibili alla formazione obbligatoria, segnatamente la sicurezza nei luoghi di lavoro, quindi il mantenimento/aggiornamento delle competenze e la competitività/innovazione d’impresa. La progressiva contrazione evidenziata, negli ultimi anni, dalla formazione per ottemperanza, a beneficio della formazione per sviluppo, lascia supporre che l’attenzione delle imprese si stia focalizzando sempre più sui processi formativi direttamente o indirettamente connessi con l’efficienza dell’organizzazione aziendale e la capacità di reggere il confronto con il mercato.


Il Decreto Legislativo n. 150/2015 e le politiche attive del lavoro
Il Decreto Legislativo n. 150 del 14 settembre 2015 costituisce senza dubbio uno dei più rilevanti provvedimenti di attuazione della Legge n. 183/2014 (Jobs Act), con cui il Parlamento ha inteso riformare profondamente il mercato del lavoro.
Nella sostanza, il Decreto prevede il riordino del complesso e frammentato sistema dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro, allo scopo di armonizzare la gestione degli interventi e delle iniziative su tutto il territorio nazionale, a tutto beneficio di cittadini, pubbliche amministrazioni ed imprese.
L’importanza attribuita ai fondi interprofessionali per la formazione continua, all’interno del rinnovato modello organizzativo concepito dal legislatore, trova immediato riscontro nell’esplicita inclusione di tali organismi nella «rete nazionale dei servizi per le politiche attive del lavoro», in bella compagnia di una pluralità di soggetti non meno qualificati, con l’intento di valorizzare adeguatamente la relazione sinergica pubblico/privato:

  • ANPAL;
  • strutture regionali per le politiche attive del lavoro;
  • INPS;
  • INAIL;
  • agenzie per il lavoro;
  • enti bilaterali;
  • INAPP;
  • CCIAA.

La funzione strategica dei fondi interprofessionali all’interno del dispositivo rileva nel contributo che essi possono per definizione fornire, al fine di conseguire l’obiettivo precipuo della rete ovvero migliorare l’efficienza del mercato del lavoro e rendere l’occupazione un diritto effettivamente disponibile, assicurando alle imprese il soddisfacimento dei fabbisogni formativi a tutti i livelli ed ai lavoratori l’inserimento/reinserimento professionale,
Il Decreto conferma, altresì, in capo al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il potere di indirizzo ed orientamento sul sistema della formazione professionale finanziata dai fondi paritetici come dagli enti bilaterali. L’attività di vigilanza sui fondi interprofessionali ed enti compete invece ad ANPAL.
Un ulteriore importante compito che il legislatore ha inteso assegnare ai fondi paritetici si rinviene nella cooperazione con le istituzioni pubbliche preposte (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Regioni, INAPP, ANPAL), ai fini della realizzazione ed aggiornamento del sistema informativo della formazione professionale, in cui sono registrati  i  percorsi formativi individuali,  finanziati, in tutto o in parte, con risorse pubbliche.
Non meno significativa è la previsione del Decreto che riguarda la facoltà dei fondi interprofessionali di partecipare e concorrere alla definizione del patto di servizio personalizzato, da stipulare tra centro per l’impiego e lavoratore, espressamente finalizzato al conseguimento dell’occupabilità del lavoratore medesimo. In tal caso, l’apporto dei fondi paritetici si sostanzia nell’assemblaggio di percorsi formativi personalizzati, funzionali al rafforzamento delle competenze ed alla qualificazione/riqualificazione professionale.


Evoluzione e adattamento dei fondi interprofessionali al contesto
Lo scenario di riferimento dei fondi paritetici ha subito nel tempo trasformazioni significative, in conseguenza di revisioni importanti del quadro normativo e dell’evoluzione del sistema socio/economico in cui i fondi stessi si trovano ad operare. S’impone, pertanto, una riflessione profonda circa il rinnovamento dei modelli organizzativi e gestionali, con particolare riguardo a: ruoli, finalità e strategie nel più ampio contesto delle politiche attive del lavoro; implementazione di strumenti specifici per la gestione dei rischi, il controllo dei costi ed il monitoraggio dell’efficienza/efficacia delle attività.
Senza dubbio, gli effetti più rilevanti sull’attività dei fondi interprofessionali sono stati prodotti dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 04304/2015 che ha sancito il rilievo pubblicistico delle risorse gestite dai fondi stessi. Una connotazione della peculiare natura giuridica dei fondi paritetici che è stata successivamente confermata dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) e dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), con due missive specificamente fatte pervenire al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Tale status distintivo di enti di diritto privato (cfr. Codice Civile) preposti alla gestione di risorse finanziarie di matrice pubblicistica è stato, quindi, confermato dal medesimo Ministero con Circolare n. 10/2016.
Le rilevanti implicazioni derivanti alla gestione ed operatività dei fondi interprofessionali dall’applicazione dei sistemi di conformità normativa previsti per gli enti pubblici possono essere sintetizzate nell’implementazione di procedure aziendali armonizzate con:

  • le prescrizioni del codice degli appalti (cfr. Decreto Legislativo n. 50/2016) per quanto riguarda l’approvvigionamento di lavori, servizi e forniture;
  • le disposizioni in materia di procedimento amministrativo (cfr. Legge n. 241/1990) per quel che attiene alla trasparenza dei finanziamenti (accesso al conto formazione) e all’evidenza pubblica degli avvisi (accesso al conto di sistema);
  • i vincoli in materia di diffusione e pubblicità delle informazioni (cfr. Decreto Legislativo n. 33/2013) per quanto riguarda l’organizzazione interna e le attività poste in essere;
  • le regole in materia di registrazione degli aiuti di Stato (cfr. Legge n. 234/2012) per quel che attiene alla concessione/erogazione dei finanziamenti;
  • le prescrizioni in materia di conflitto d’interessi (cfr. Legge n. 241/1990) per quanto riguarda l’attribuzione delle cariche sociali e la formazione degli atti associativi;
  • per quel che attiene ai trasferimenti di denaro, l‘ottemperanza agli adempimenti in materia di contrasto al riciclaggio (cfr. Decreto Legislativo n. 90/2017) e tracciabilità dei flussi finanziari (cfr. Legge n. 136/2010).

Va, altresì, considerato il complesso sistema di regole e norme che diverranno applicabili nell’anno corrente, con l’entrata in vigore del Regolamento UE n. 2016/679 che riguarda il trattamento dei dati personali e prevede:

  • la figura (obbligatoria per gli enti pubblici) del Data Protection Officer (DPO) ovvero il responsabile della protezione dei dati;
  • la tenuta, aggiornamento e conservazione del registro delle attività di trattamento dei dati;
  • la valutazione d’impatto sulla protezione dei dati; il rispetto del principio di accountability ovvero la dimostrazione dell’implementazione di adeguate politiche e misure di privacy;
  • l’osservanza dei principi di privacy by design e privacy by default cioè la necessità di tutelare la privacy già in fase di progettazione dei processi produttivi ed interpretarla quale vincolo aprioristico dell’organizzazione aziendale.

Dunque, si delinea, per i fondi paritetici, l’opportunità/esigenza di aggiornare i propri obiettivi e funzioni, anche attraverso una riformulazione appropriata dell’art. 118 della Legge n. 388/2000, al fine di conseguire:

  • l’espansione, in termini qualitativi, del proprio bacino di utenza, che potrebbe includere anche le persone in cerca di occupazione, con particolare riguardo a giovani, donne e soggetti ultracinquantenni;
  • l’elaborazione di interventi formativi ad elevato contenuto d’innovazione, in linea con i fabbisogni espressi dal mercato del lavoro (es. quarta rivoluzione industriale e agricoltura di precisione);
  • la ricerca di standard metodologici appropriati che consentano di certificare e valorizzare in maniera adeguata le competenze acquisite al termine dei percorsi formativi (cfr. Decreto Legislativo n. 13/2013).

Si tratta di un cammino virtuoso che i fondi interprofessionali dovrebbero auspicabilmente intraprendere, per conferire valore aggiunto alla gestione e ottimizzare, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, le proprie prestazioni. Il paradigma applicabile, in tale specifico ambito, comprende:

  • l’efficienza/efficacia del modello organizzativo;
  • la competitività;
  • la conformità normativa;
  • l’immagine;
  • l’innovazione.

Più in particolare, dovrebbe essere migliorato il posizionamento competitivo sul mercato della formazione continua, valorizzando opportunamente gli asset strategici dei singoli fondi paritetici, quali:

  • competenze e capacità professionali degli operatori;
  • consistenza (qualitativa/qualitativa) e distribuzione (territoriale/settoriale) degli enti beneficiari iscritti.

Ed ancora, il modello organizzativo dei fondi interprofessionali dovrebbe implementare un sistema trasversale e integrato di responsabilità che consenta il monitoraggio e controllo della gestione in ogni momento, al fine di conseguire:

  • la riduzione dei costi ed il miglioramento dei margini operativi, evitando sovrapposizioni di ruoli e funzioni e duplicazioni di interventi e strumenti;
  • l’eccellenza/qualità dei servizi erogati, dall’analisi dei fabbisogni, alla ideazione dei percorsi formativi, alla certificazione delle competenze in uscita;
  • la prevenzione dei rischi ed il rispetto delle norme cogenti/volontarie.

Da ultimo, andrebbero implementati opportuni processi di rilevazione, elaborazione e divulgazione periodica dei dati afferenti alla gestione, per dare evidenza all’esterno dei risultati conseguiti e migliorare la qualità dell’immagine restituita ai portatori d’interesse (pubblici/privati). Tali processi dovrebbero, in sostanza, consentire la rendicontazione delle attività poste in essere, sulla base di standard codificati e riconosciuti a livello internazionale e, dunque, attestare la sostenibilità della gestione nei suoi diversi aspetti: economici, sociali, etici, amministrativi, finanziari.