Dato il mio ruolo di docente universitario e di professionista che opera da anni nel campo della gamification, del game design e delle simulazioni digitali, mi viene spesso chiesto di spiegare cosa sia la gamification. Coloro che mi pongono la domanda vorrebbero ricevere una risposta sintetica, una definizione immediatamente comprensibile e soprattutto utilizzabile per finalità concrete.
Il problema è che la gamification, come il gioco del resto, è un concetto complesso che sfugge a semplici definizioni se non banalizzando i concetti.

Gamification: un concetto complesso

Per questa ragione, molto spesso mi concentro nello spiegare cosa non sia gamification, ovvero mi sforzo di operare per differenza ricadendo però nello stesso errore che fanno un po' tutti quando cercano di spiegare cosa sia il gioco. Definire il gioco è molto difficile e, come ci fa osservare lo stesso Bateson, spesso si tende a farlo per negazione: il gioco non è serio, non è reale, non produce un valore tangibile, etc. Questo ci aiuta a comprendere cosa "non sia gioco" ma certo non ci permette di capire in profondità cosa esso sia realmente.
Un ulteriore problema della gamification è la grande disinformazione nata da quando questa disciplina è diventata di moda. Molti cercano di presentarsi come esperti e lo fanno usando definizioni lette in rete, copiate da un libro o ascoltate in un webinar. Queste definizioni sono tutte molto simili tra loro e quasi nessuno si preoccupa di scavare in profondità per verificarne la validità e soprattutto per comprendere il reale significato delle parole usate nella definizione stessa.
Potremmo dire che la gamification è l’impiego di meccaniche e dinamiche di gioco per finalità serie. Ma cosa è una meccanica di gioco? Cosa è una dinamica? Qui il finto esperto viene a galla. Se fate una ricerca potrete trovare definizioni fantasiose e, a volte, ridicole. Troverete che le meccaniche di gioco sono costituite da elementi quali i sistemi di punteggio, i badge, i mondi virtuali, gli avatar. Questi elementi non hanno nulla a che fare con le meccaniche ludiche. Punti e badge sono elementi esogeni che, come tali, possono solo corredare un gioco e non sono sempre presenti. Se giocate a scacchi non ci sono punteggi e tantomeno badge o avatar. Però questi, essendo elementi molto visibili, traggono in errore l’osservatore occasionale e poco preparato. E’ un po' come dire che un’automobile è un sistema dotato di targa, ruote e fari. Così facendo, se dovessimo aggiungere una targa e dei fari ad un carrello del supermercato (che solitamente è già dotato di ruote) potremmo forse dire di aver realizzato un’automobile?
D’altra parte, nessuno gioca per ottenere dei punti o un badge. Chi affronta il boss di fine livello di un platform lo fa per utilizzare le proprie capacità e dimostrare la propria abilità.
Tornando alle definizioni possiamo dire che la gamification è un termine ombrello che riunisce sistemi che già esistevano molto prima che fosse coniato questo neologismo. Tanto per fare qualche esempio si pensi che Sun Tzu, famoso generale e filosofo, impiegò un gioco (probabilmente l’antenato del GO) per addestrare i propri generali. In modo analogo, quello che viene comunemente indicato come il primo videogioco, Tennis For Two, fu sviluppato su un oscilloscopio dal fisico William A. Higinbotham del Brookhaven National Laboratories di New York per coinvolgere i giovani visitatori su tematiche scientifiche.
Quando scoprii per la prima volta questo termine, che descrive una disciplina utilizzata già nell’antichità, feci una ricerca partendo dall’analisi etimologica. Gamification è una parola formata dal termine game e dal suffisso di ATION. "Ation" definisce un processo o meglio il risultato o l’esito di un processo. Si tratta quindi di trasformare qualcosa che non ha gli elementi di gioco in qualcosa che, incorporando tali elementi, riesce a portare con sé i vantaggi propri del gioco. Vantaggi quali il coinvolgimento emotivo (engagement), l’assenza di percezione di fatica, l’assenza o la riduzione di ansia e stress, la forte concentrazione sull’obiettivo, la comprensione della complessità tramite il modello che sottende ad ogni gioco o simulazione. Questo, tanto per citarne alcuni.
Ma quali sono gli elementi propri di un gioco? L’analisi etimologica, infatti, ci dice che il cuore della gamification è, come facilmente immaginabile, il gioco stesso.
Occorre quindi partire da qui. Ma esistono modelli teorici di riferimento per progettare un sistema gamificato efficace? Molti autori propongono modelli basati sul design pattern (Walter Nuccio è uno di questi) e su procedure di "mapping" e il loro sforzo è lodevole. Sinceramente però non credo in questo approccio e in processi standardizzabili non avendone mai incontrato uno realmente utile né nel campo del gioco né in quello della progettazione dei modelli simulativi (e qui esistono studi ben più accurati).
Il gioco è un fenomeno molto complesso che può essere analizzato ad un primo livello facendo ricorso alla lingua inglese che, in questo contesto, è più precisa della nostra. In tal senso va distinto l’atto (play) dallo strumento (game). Se non comprendiamo a fondo l’atto del giocare (play), le sue motivazioni e dinamiche difficilmente potremo progettare un "game" che risulti attrattivo e funzionale per obiettivi specifici (che poi è lo scopo della gamification). Ricordiamoci infatti che un gioco non è prescrivibile, non possiamo obbligare qualcuno a giocare come non possiamo obbligare qualcuno ad amare. Si tratta di un atto sempre volontario.
Purtroppo, non esiste una disciplina ufficiale che studi i giochi e il gioco con un approccio specifico. Non esiste una "Ludologia" sebbene una tale branca di studi risulterebbe utilissima. D’altra parte, i modelli concettuali di riferimento sono molti. Numerose discipline hanno affrontato il tema del gioco: filosofia, sociologia, etologia, antropologia, etnologia, storia, psicologia, matematica, statistica, game design, etc.  Tra i principali lavori che possono essere presi in considerazione si segnalano quelli di studiosi del calibro di Bateson, Huyzinga, Caillois, Derrida, Spencer, Carr, Groos, Piaget, Vygotskji, Freud, Winnicott, Callari Galli, Morris, Trabona, etc. (a cui si aggiungono famosi game designer da Chris Crawford in poi). Il gioco e la gamification sono quindi discipline fortemente interdisciplinari che richiedono studi, ricerche e approcci specifici per dare risultati.
Tornando alla gamification è importante sottolineare come questa possa essere applicata efficacemente sia in ambito aziendale (per formazione, addestramento, assessment delle risorse umane e per la governance di processi complessi dalla comunicazione al marketing fino a quelli produttivi) sia per scopi di utilità sociale come la sensibilizzazione civica e l’istruzione.
La gamification studia, in sintesi, come influenzare il comportamento e la percezione delle persone. Il suo scopo è quello di stimolare un coinvolgimento pieno e volontario di un utente e una forte attenzione ad un obiettivo o risultato.
Questo determina vantaggi in termini di apprendimento, comprensione della complessità, approccio positivo verso uno messaggio, brand, contenuto, etc.
La gamification parte dal presupposto che l’essere umano non attua comportamenti razionali ma è invece un "essere grammaticale" fortemente dipendente dal contesto in cui l’informazione viene elaborata. L’applicazione corretta dei principi della gamification determina un sensibile cambiamento del contesto percepito che modifica in positivo le relazioni tra utente e sistema.

Il GamificationLab della Sapienza

In questo contesto si inquadrano gli studi e le attività didattiche del GamificationLab della Sapienza. Sul piano didattico si tratta di una attività formativa complementare per gli studenti della magistrale di informatica e di un corso, Gamification & Game Design, per gli studenti della triennale.  Questi due corsi, più quello a distanza che tengo per Unitelma Sapienza, forniscono le basi sul piano teorico e tecnico/pratico per le figure professionali destinate ad operare nel campo della progettazione/design di giochi, videogiochi, simulazioni digitali e applicazioni di gamification sia in ambito aziendale che per finalità sociali e culturali.
Il corso include i fondamenti delle metodologie e degli strumenti impiegati per il game e gamification design e per la progettazione dei modelli che sottendono a videogiochi e alle simulazioni digitali.
Ogni anno gli studenti, dopo la prima parte teorica, vengono coinvolti in una simulazione nel corso della quale aziende o istituzioni presentano un brief affinché gli studenti progettino una soluzione reale di gamification; gli studenti realizzano anche un prototipo software necessario a testare la soluzione e in particolare la meccanica ludica, da loro stessi progettata.
Chi fosse interessato può trovare i progetti realizzati negli anni precedenti sul sito del laboratorio.
Tra i progetti più interessanti dell’ultimo anno accademico segnalo il progetto realizzato per la Consigliera di Parità della Regione Lazio il cui scopo è sensibilizzare i bambini delle elementari sul mancato equilibrio nel rapporto tra uomo e donna. Il gioco realizzato aiuta i giovanissimi a riflettere sul tema favorendo un cambio di atteggiamento senza forzature e raccogliendo, al contempo, dati sul modo in cui i minori vivono il tema della parità di genere.
Un secondo progetto è stato realizzato per Casa Ronald Mc Donald che opera a supporto dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù. La casa ospita molti bambini e ragazzi di diverse culture e nazionalità. Lo scopo del gioco realizzato dagli studenti è quello di favorire la socializzazione superando le barriere linguistiche e culturali. In questo contesto è stato realizzato un gioco assolutamente innovativo che è stato installato e testato con successo direttamente presso la casa Ronald di Palidoro (Roma).
Per concludere ci tengo a segnalare che nel campo della gamification e delle simulazioni la frontiera più nuova ed interessante è quella che applica tali tecniche al governo dei processi aziendali. Studi in tal senso sono stati effettuati sia noi del GamificationLab Sapienza sia da altre università europee tra cui quella di Monaco.
Fin ora abbiamo applicato con successo tali metodi ai processi in ambito industriale e nel campo delle costruzioni (grandi opere). È possibile trovare un esempio qui.
Attualmente sto lavorando con la società Sicheo ad un progetto che impiega gli stessi metodi nel settore farmaceutico.  In questo caso algoritmi di Intelligenza Artificiale e metodi di Machine Learning sono applicati per l’analisi forward e backward dei processi di produzione farmaceutica mentre interfacce uomo-macchina di nuova generazione, basate su tecniche di simulazione e gamification, coadiuvano l’operatore per aumentare l’efficienza delle operazioni. La soluzione è impiegabile per simulare scenari critici oltre che per la formazione, l’addestramento e l’assessment del personale coinvolto nei processi produttivi.

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