"In principio era la gamification…"
No, decisamente non potremo iniziare così un ragionamento sulla gamification. Perché in principio c'era la scuola. E quando andavamo a scuola tutti ricordavano in continuazione che lo "studio è sacrificio". A pensarci bene, col senno del poi, era un'idea ben strana: perché mai dovrebbe essere "un sacrificio" scoprire il mondo e capire come funziona?
Per fortuna, da un po' di tempo, in ambiti a prima vista molto lontani tra loro, come la scuola d'infanzia e la formazione aziendale, ecco riscoprire il gioco. E tutti a ripetere "gamification, gamification" con l'entusiasmo di chi ha scoperto la pietra filosofale dell'apprendimento. Quella che trasforma magicamente il sacrificio in motivazione (l'eterna assente nei percorsi formativi che tutti conosciamo).
È il momento giusto per chiederci, seriamente: "Cos'è questa gamification?". E, soprattutto, "Perché la gamification?"
Nel settore che ci interessa, quello delle tecnologie per l'apprendimento, c'è da sempre un andirivieni di parole chiave. Lasciando perdere quelle che non si discostano dal paradigma istruzionista (come "FAD" o "learning object"), prima c'erano le "simulazioni" e ora è il momento dei "serious games". Così, si parla di "gamification" in ambiti diversi, con riferimento a questi "giochi seri", ai tornei aziendali (basta che abbiano punteggi e classifiche) e alle forme di gioco inserite nelle diverse attività formative o di semplice "team building" (altro termine di gran moda).
Allora è il caso di delimitare il campo inserendo due linee di confine. Perché la gamification che ci interessa:

  • ha come obiettivo l'apprendimento e non il divertimento fine a sé stesso;
  • utilizza strumenti digitali, all'interno di progetti di e-learning, ma anche, perché no, di una formazione d'aula che privilegia la partecipazione e l'interattività.

Ma ha senso il gioco come strumento per apprendere?
Domanda retorica, perché la risposta è inequivocabilmente "sì". Gioca il bambino di pochi mesi che mette i cubi uno sull'altro. Gioca il bambino di sei anni che crea mondi fantastici con bambole, robot e mattoncini Lego. E gioca anche l'adulto davanti a un serious game.
Solo che il bambino di pochi mesi cerca di assumere il controllo - molto parziale - del mondo reale (detto in altri termini, se potesse parlare direbbe che non sta affatto giocando: "Lasciatemi stare che ho da lavorare"): Al contrario, quello più grande vive in un mondo di fantasia (quindi virtuale) del quale assume un controllo totale. Se decide che la bambola dorme, quella dorme e basta!
E il serious game? È una interessante via di mezzo, resa possibile dalla tecnologia, perché il mondo è virtuale, ma il controllo è parziale. È un mondo con le sue regole che fa di testa sua. E che è stato progettato proprio per apprendere a "dominarlo". O almeno a non farsi travolgere troppo.
Questo numero è basato prevalentemente su esperienze concrete. Sono, però, esperienze basate su rigorosi modelli dell'apprendimento e del funzionamento mentale. Perché la gamification è un settore che attira i professionisti migliori, ma anche il mondo dell'università e della ricerca.
Chi lo sapeva che proprio alla Sapienza (la prima università dio Roma) c'è un GamificationLab?