Questo tempo sospeso, rarefatto e invece denso, questo tempo così intenso, ci ha tolto molto, ma ci ha regalato ampi spazi di riflessione. Spazi di pensiero da costruire oltre lo sgomento, in cui ci appare, o si lascia percepire, l’idea che il nostro presente che guarda al futuro chieda nuovi paradigmi, nuove prospettive per vedere e ridisegnare la società.
I mesi della nostra primavera sospesa sono stati un tempo straordinario, fuori dall’ordinario, ma anche dal tran tran della normalità che impone alla nostra contemporaneità un ritmo forsennato, una corsa che non guarda alla meta ma alla velocità del passo. La forzata immobilità dei nostri corpi ha spronato la fertile mobilità delle idee.
Liberi dall’ansia da prestazione, senza dover dimostrare nulla a nessuno, abbiamo lavorato svincolati dalle regole di mercato, abbiamo sviluppato idee per poter essere utili, abbiamo sconfitto il senso di impotenza, abbiamo riscoperto l’importanza di una cultura della partecipazione, in cui ognuno ha senso e porta senso.
Noi, noi, noi, fin dalle prime righe sto usando la prima persona plurale.
Noi, le persone, le donne, gli uomini, i compagni di questa avventura. Ognuno di noi è uno ed è plurale. Questo rinnovato senso di comunità, di legame, di entanglement è un altro degli importanti valori di questo tempo. Noi abbiamo riacquisito la consapevolezza della relazione. È stato improvvisamente chiaro che sarebbe stato prendendoci cura de “l’altro” che avremmo avuto una chance di salvarci tutti.
E poi c’è il noi più ristretto, quello che appare zoomando all’interno di un appartamento nel cuore di San Lorenzo, strano quartiere-villaggio nel cuore di Roma. Con Massimo ci siamo ritrovati a ragionare fin dai primi giorni del lockdown su come spenderci, su come dare senso e offrire valore, ed è stato semplice, è bastato metterci in ascolto, aprire la finestra, quella che da sul cortile e quella del computer aperta sul mondo. È bastato mettere in gioco il nostro sguardo. È bastato praticare bellezza.
Vivo di cultura, mi occupo di arte, di teatro, così fin dalla prima volta che tutta Roma ha aperto la finestra e ha cantato - era il 13 marzo credo, poi lo avrebbe fatto l’Italia intera - ho sentito profondamente e con chiarezza che quello non era solo un gesto di resistenza ma di esistenza. Opponevamo alla paura della morte quello che ci rende speciali, la creatività, l’espressione della nostra creatività, la cultura. Non era un diversivo, una distrazione dal problema, non era entertainment ma arte, l’arte di vivere. Non volevamo ibernarci, ma dare senso ai giorni.
Qualche giorno dopo, mentre cantavo, ho visto nella finestra di fronte una coppia di amici che ballava, emozionata lo ho detto a Massimo, lui ha pensato solo un secondo, ha armeggiato con il computer, preso il videoproiettore e lo ha puntato sulla facciata, incorniciando il ballo dei nostri amici nel ballo di Ginger e Fred, abbiamo fatto risuonare le note di Chic to chic per tutto il cortile e così è nata la poesia di un momento che ci ha emozionato tutti. Il giorno dopo il video di questo momento postato sui social è stato ripreso dai telegiornali e dai giornali, italiani con articoli come quello firmato da Gad Lerner su Repubblica, ma anche all’estero su Libération. Era solo l’inizio, anche grazie al post del nostro vicino che si occupa di comunicazione, l’immagine ha fatto il giro del mondo, per essere postata perfino da Madonna come simbolo di resilienza. Programmi di news come la CNN o NBC, ma anche network cinesi e indiani, ne hanno parlato come incitazione alla speranza. Infine Apple ha deciso di chiudere il suo spot internazionale per celebrare la forza della creatività al tempo del COVID-19 “Creativity goes on” con le immagini della nostra poetica proiezione. Questo nostro piccolo gesto autentico è diventato un simbolo, un segno della speranza che la bellezza avrebbe salvato il mondo.

Incontrarci tutti i giorni a cavallo del tramonto

Quando, dopo qualche giorno, molte delle finestre d’Italia hanno smesso di cantare, noi, Massimo, io e i vicini del nostro palazzo e di quelli intorno, abbiamo continuato a incontrarci tutti i giorni a cavallo del tramonto. Dalle nostre finestre abbiamo dato vita a quella che ormai definiamo la nostra “Agorà Verticale”. Abbiamo fatto interagire, attraverso ciò che siamo e che sappiamo, letteratura, scienza, arte, tematiche civili, vita insomma. Ci sono stati momenti che non dimenticheremo, come la nostra celebrazione del Dante day in cui ho letto il Canto di Ulisse dalla Divina Commedia mentre Massimo proiettava frammenti del film “Inferno” di De Liguoro del 1911 sulle facciate intorno; quando abbiamo fatto risuonare le storie dei Giusti, che avevo portato in scena all’Auditorium di Santa Cecilia, “ospitando” il nostro amico violinista Marco Valabrega che ha suonato per noi, aprendo per lui una finestra virtuale proiettata sulla facciata di fronte e cantando con lui dal nostro cortile; o la sera in cui abbiamo proiettato sulle facciate, sui tetti e sui nostri corpi le immagini delle opere d’arte realizzate durante il lockdown raccolte dal progetto Lazzaro art doesn’t sleep e ho danzato sulla terrazza offrendo il movimento del corpo alla danza del colore e della luce; abbiamo fatto riverberare le parole della grande letteratura giocando a cercare e tracciare vie nelle pagine lette e proiettate per affermare l’importanza del guardare ciò che conosciamo sempre con nuovi occhi.
Indimenticabile e fortissima è poi arrivata l’occasione di rappresentare la manifestazione del 25 aprile. Gad Lerner, che dai tempi della proiezione di Ginger e Fred aveva continuato a seguire le nostre attività, incaricato di presentare la diretta di Repubblica tv, ha scritto a Massimo se lui ed io volessimo organizzare una cosa “delle nostre”. Abbiamo immaginato il nostro Canto civile, un video con un piano sequenza ascensionale nella nostra Agorà Verticale in cui ognuno dalla sua finestra desse voce al significato profondo della Liberazione. Ancora una volta personale/universale.
Molti, moltissimi appuntamenti in cui ci siamo confrontati, in cui ognuno ha dato qualcosa di profondamente, autenticamente suo e lo ha offerto alla trasformazione dell’incontro con l’altro. Senza pregiudizi, senza sovrastrutture, abbiamo costruito una sorta di esperanto della visione. Ognuno ha parlato di quello che lo appassiona con il linguaggio che gli appartiene, la risposta sarebbe arrivata, spiazzante e allo stesso tempo precisa, da un altro mondo e forse in un’altra lingua, tutti consapevoli però che ascoltandoci avremmo costruito un universo in relazione. È stato estremamente coinvolgente ed emozionante quando alla mia lettura del racconto di Borges “Funes el memorioso” sui misteri della memoria, le nostre amiche del palazzo accanto, giovani neuro biologhe ricercatrici del CNR, hanno risposto raccontando le loro ricerche e le ultime scoperte sui “luoghi” della memoria nel cervello.
Questi giorni, questi mesi, questi momenti sono stati una grande esperienza, su cui sentiamo che valga assolutamente la pena di ragionare, di pensare, noi lo stiamo facendo e continueremo a farlo e ci piace mettere questa esperienza sul piatto perché altri possano magari svilupparla.
Usciamo, spero, da anni in cui la cultura è stata svilita e dipinta come effimera, elitaria, certamente non essenziale.
Chi ha sempre saputo che può anche essere vero che la cultura non si mangia, ma certamente si respira, chi di cultura e per la cultura vive, ha usato questo periodo, ha sfruttato questo tempo, avendo l’intuizione o almeno la sensazione che potesse racchiudere una occasione per ripensare sistemi e stilemi, per riflettere, ragionare, lavorare e costruire nuovi modi di fare e far fruire la cultura.

In un’epoca in cui si parla di apprendimento continuo, questo è sicuramente un tempo importante per l’educazione, nel senso proprio dell’e ducere, per tirare fuori da noi, da ognuno di noi, ciò che sappiamo e ciò che siamo e metterlo in gioco per costruire consapevolezza, conoscenza, futuro.

In qualche modo la sorpresa di un evento assurdo, totalmente inimmaginabile per i più, come la pandemia al tempo della globalizzazione, una condizione assolutamente senza precedenti e senza riferimenti, insieme alla paura, ha acceso le nostre intelligenze, cognitive ed emotive, ha innescato la nostra resilienza. Lo stupore con cui improvvisamente abbiamo guardato il mondo, il nostro mondo, il cielo, i mari, la natura che tornava così velocemente a recuperare bellezza, quello stupore, che anche nel dolore e oltre la paura ha acceso i nostri sguardi, ci ha regalato la sensazione di poter avere una visione sul nostro futuro, di poter ancora provare, sperimentare, cercare di costruire frammento per frammento, vita per vita, scelta per scelta, di poter costruire con un progetto.

Uno spirito diverso

Oggi, solo pochi mesi sono passati, ma lo spirito con cui stiamo affrontando questa seconda ondata è profondamente diverso, il panico dell’ignoto è popolato da simulacri di paure note, paura di perdere ciò che conosciamo, lo status quo, il lavoro, i punti fermi, gli equilibri. Panico, sfiducia e rabbia stanno annebbiando le nostre menti e sembrano cancellare quello che i nostri spiriti hanno conquistato nei mesi scorsi. Corriamo il rischio che la voglia di ripristino vinca sul sano impulso a cercare di costruire su nuovi paradigmi una società migliore, ma io credo che quello che abbiamo vissuto a primavera sia molto forte, il bulbo è lì nascosto sotto la terra ma fiorirà come un giacinto profumato.

 

Qualche link

Dante alla finestra

Agorà Verticale per Lazzaro art doesn’t sleep

Agorà verticale con Gaia Riposati & Massimo Di Leo

Luce d’arte in proiezione ad accendere le città

Vie nell’Agorà Verticale

Ripensare i paradigmi della partecipazione

Il condominio di San Lorenzo come un teatro vivente: il flash mob a Roma, Repubblica TV