Il coronavirus SARS-CoV-2 ha imposto, dapprima con il provvedimento del lockdown, successivamente attraverso i protocolli per il contenimento del contagio, il ricorso alla DAD per molti degli studenti italiani. La pandemia ha di fatto inondato le nostre vite di riunioni, sessioni di lavoro, webinar, classi virtuali e meetings, tutto rigorosamente online. Se da un lato le aziende in qualche modo stanno cogliendo le opportunità legate alla organizzazione della nuova normalità, cosa succede nella scuola? A che punto è la didattica digitale nelle scuole? Cosa abbiamo imparato a fare e su cosa invece siamo ancora indietro?
 
Maurizio Carmignani intervista Dianora Bardi chiedendole di raccontarci a che punto siamo su questo fronte su cui la pandemia ha impresso, obtorto collo, una grande accelerazione.
 
Dianora Bardi è Presidente del Centro Studi ImparaDigitale, per 42 anni docente nei Licei.
Formatrice a livello nazionale  e internazionale sulla didattica per competenze con le tecnologie.
Ideatrice e organizzatrice  del Tablet school – meeting nazionale degli studenti, coordinatrice del progetto Curriculum mapping, coordinatrice referente scientifica del progetto USR Lombardia Scuola Lombardia digitale e del progetto della regione Basilicata per la formazione dei formatori della Regione.
 
MCa: il 27 novembre 2020 hai organizzato la quinta edizione degli Stati Generali della Scuola Digitale. Chiaramente una edizione diversa, un evento non in presenza. La mia domanda è, a che punto è la notte? Dopo mesi di DAD che bilancio abbiamo? Cosa abbiamo imparato a fare e cosa ci manca?
 
DBa: È una domanda articolata. Prima di tutto l’organizzazione dell’evento è stata veramente molto complessa, tanti relatori e un pubblico vastissimo che non ci aspettavamo (https://www.statigeneraliscuoladigitale.it/)
Abbiamo tato fatto un po' il punto della situazione, è stata una giornata di riflessione sullo stato dell’arte. In sintesi, penso che la scuola abbia fatto dei miracoli nel periodo iniziato a marzo e conclusosi in maggio. Tutta la scuola in ogni suo componente. Siamo partiti a velocità differenti, c'erano delle persone e delle scuole più organizzate e più strutturate che avevano già gli strumenti pronti, essenzialmente le scuole secondarie con ragazzi più grandi che non avevano bisogno delle famiglie per potersi connettere.
Problemi molto più forti ci sono stati nella scuola primaria e forse secondaria di primo grado. Prima di tutto perché ci dovevano essere le famiglie ad accompagnare bambini e ragazzi nella didattica e questo ha comportato evidentemente delle difficoltà. La scuola primaria o secondaria di primo grado ha avuto delle difficoltà: raramente i bambini di otto, nove o dieci anni hanno un tablet, un PC o un notebook. La condizione necessaria per poter seguire la didattica insieme alla connessione internet.
Sul lato degli insegnanti, sostanzialmente, nessuno era preparato alla didattica a distanza. Prima della pandemia i docenti avevano fatto le uniche esperienze creando aule virtuali con gli studenti ad integrazione della didattica in presenza. Ma la vera didattica a distanza non l'aveva fatta nessuno. Alcuni insegnanti tra quelli meno strutturati hanno scambiato la didattica a distanza con il consegnare i compiti, che i genitori dovevano spiegare ai bambini con tutte le difficoltà del caso.
Però la Scuola si è impegnata e ha fatto un salto di competenze digitali veramente notevolissimo. 
Poi c'è stato il periodo estivo dove le scuole sono state tutte impegnate a organizzarsi da un punto di vista della sicurezza, degli arredi, della logistica.
Credo che i docenti fossero stravolti perché si sono trovati ad affrontare appunto una didattica a cui non erano preparati: creare le lezioni per una didattica a distanza è complicatissimo; parlare attraverso monitor non è così semplice, si perde la relazione e l'empatia.
Poi da settembre si è pensato, si è sperato, che il ritorno alla DAD arrivasse più in là. Invece è arrivata molto presto questa seconda ondata. La scuola si è trovata di nuovo impreparata perché per fare una vera didattica a distanza bisogna riprogettare la didattica, riprogettare l'orario, riprogettare il modo di comunicare e riflettere su quello che era stata l'esperienza precedente. Analizzare le criticità, sviluppare le positività. Ci doveva essere il momento della riflessione e della riprogettazione. 
 
MCa: Io non mi occupo di scuola ma di consulenza e formazione per le imprese. Devo dire che con deciso anticipo, 20 anni fa, con il gruppo con cui lavoravo, creammo un learning management system. Ho vissuto l'esperienza e la frustrazione di non riuscire a tramutare le possibilità in realtà prima per un problema infrastrutturale ma poi soprattutto per un problema culturale. In qualche modo ho visto invece come da aprile in poi le resistenze all'interno dell'organizzazioni siano crollate. Con il lockdown tutte le persone hanno iniziato a lavorare da casa e la formazione, soprattutto in un momento come questo di accelerazione continua e di grandi cambiamenti, assolutamente non poteva fermarsi.
La riflessione è stata fatta molto velocemente. La prima applicazione è stata cercare di appiccicare su un video quello che facevi in aula. 
I format si stanno modificando tantissimo e molte aziende rimarranno in smart working. Addirittura, qualche settimana fa la Vodafone ha annunciato che i suoi dipendenti non torneranno a lavorare negli uffici. Alcuni miei clienti mi hanno detto, dopo aver visto il conto economico, che non faranno più la formazione nelle modalità tradizionali.
Per le aziende oggi si è aperta di fatto l’era dell’apprendimento continuo attraverso la pervasività della formazione che può essere erogata digitalmente in modalità completamente diverse: on demand per alcuni contenuti, momenti di live dove si arriva preparati e si conversa su alcuni casi. Le modalità sono diverse i tempi di reazione nelle piattaforme di video comunicazione sono completamente diversi da quelli che ci sono in aula e il docente deve apprendere come utilizzare questi strumenti che una volta compresi possono offrire di più. In cosa il digitale può migliorare l'esperienza dell'apprendimento?
 
DBa: I docenti non sono stati preparati alla riprogettazione dei contenuti, hanno preso l'orario scolastico di sei ore in classe e lo hanno trasferito on line. Non è stata prestata attenzione alla riprogettazione. La scuola doveva rimanere in presenza. A fronte di una possibilità di scelta tra presenza ed online è chiaro che uno dice in presenza, non c'è nessun dubbio. Dato che c'è la necessità dell'online bisogna sviluppare i contenuti e le lezioni in un modo diverso. Io ho anche detto soprattutto a marzo, aprile e maggio: attenzione a fare stare i ragazzi 6 ore davanti al computer perché dopo i compiti in classe devono chattare con gli amici e poi devono guardare un film o giocare al videogioco. In totale stanno 12-13 ore davanti a un monitor. Moltissimi hanno avuto problemi di vista, altri hanno avuto problemi di salute. 
Quindi è chiaro che si poteva lavorare per nuclei tematici. Ad esempio, le compresenze tra docenti nella realtà sono difficilissime, ognuno ha il suo orario per la sua classe. Ma nella rete tutte le limitazioni che ci sono nella realtà vengono abbattute. Allora invece di fare quattro ore di lezione di discipline diverse se ne potrebbero fare due con quattro i docenti delle discipline che lavorano su un nucleo tematico unico.
Tutto questo riduce i tempi in cui si sta davanti a un monitor. Si trasmette ai ragazzi una visione olistica del sapere, si sviluppa di più il senso del noi. Nel dibattito si coinvolgono di più i ragazzi, ad esempio utilizzando la strategia di parlare per 15 minuti e poi fermandosi per coinvolgere gli studenti, e dopo si assegna una attività. 
 
MCa: Tutto questo non è stato fatto. Così per introdurre i nuovi format è necessario un cambiamento paradigmatico. Tu sei presidente del Centro Studi Impara Digitale. Raccontaci una bella storia che funziona così impariamo ...
 
DBa: Nel 2010 per la prima volta in Italia ho portato i tablet nelle classi. Nel 2010 ero solo io in Italia e ho ricevuto attacchi da tutte le parti. Però ho creduto in questa nuova modalità di apprendere e ho sviluppato sempre metodologie didattiche che seguissero molto i talenti dei singoli ragazzi. L’ho chiamata Classe Scomposta ed è diventato un metodo di lavoro che moltissime scuole mantengono. 
Io sono dell'idea che il docente debba essere liquido. Noi docenti siamo sempre stati abituati a andare a scuola con una idea di lezione, ci organizziamo mentalmente per erogarla. Noi invece dobbiamo guardare con gli occhi dei ragazzi e quindi metterci al loro servizio ascoltandoli. Si può avere un progetto unitario per far acquisire le conoscenze ai ragazzi di una certa disciplina ma bisogna accompagnarli uno per uno e far sviluppare i loro talenti. C'è il ragazzo molto chiuso che non sa collaborare con gli altri e ha bisogno di imparare ad interagire e ad acquisire senso critico. C'è l'altro ragazzo viceversa molto attivo e molto caotico ma non sa riflettere, non sa dibattere. Ognuno di loro ha delle caratteristiche.
Io sono dell'idea che bisognerebbe avere una scuola molto libera. Io l’ho fatto mettendo 14 classi nella mia scuola a lavorare tutte sugli stessi progetti con aule aperte. Con il designer Daniele Lago abbiamo trasformato la scuola: l’abbiamo costruita come se fosse una casa speciale, la loro casa speciale con divani, piante, tendaggi e lampade che scendevano dai soffitti. Nei corridoi c’erano i banconi con gli sgabelli dove i ragazzi si incontravano e lavoravano tutti insieme; non c'erano tecnologie, le tecnologie le avevano i ragazzi. Quando volevo approfondire un argomento invece di mettermi dietro la cattedra dibattevamo per terra perché avevamo messo dei materassi sul pavimento. Ecco questo è sempre stato il mio modo di lavorare e devo dire che in questi dieci anni ho avuto dei discreti risultati.
 
MCa: Leggo nelle tue parole una miscellanea di metodologie. Però adesso faccio un pò il provocatore. Come si trasferisce tutto questo all’intero corpo docente?
 
DBa: Come ci arriveranno i docenti è difficilissimo, ci concentriamo sempre troppo sullo strumento. Lo strumento invece è fine a sé stesso: impara l'app, impara a utilizzare il software, impara a utilizzare la piattaforma... Però che cosa ne faccio a livello progettuale, qual è lo scopo, qual è l'obiettivo, qual è il progetto che c'è dietro, questo non c’è. Non c'è perché non sono mai state date queste indicazioni in maniera seria. L'altro grandissimo errore è la focalizzazione sulle metodologie didattiche innovative, come se fossero la panacea in grado di risolvere tutti i problemi. 
 
MCa: Un'ultima domanda. C'è una particolare categoria di persone che hanno disturbi dell'apprendimento. Queste nuove modalità di didattica possono aiutarle?
 
DBa: Sicuramente per i bambini con disturbi di apprendimento la tecnologia può essere importantissima. Io ho sentito una volta una docente che mi raccontava di come aiuta i bambini autistici attraverso la realtà virtuale: La ricostruzione della virtualità permette ai bambini autistici le ripetizioni. Ancora di più la personalizzazione può portare i bambini con disturbi a superare lo scoglio dell’apprendimento in modo sempre più efficace.