Questa storia ha tre facce. E la prima va raccontata in soggettiva...
Prima faccia: la sfida
Avevo già sentito della “sfida”, grande pensata di Felice Arcuri della S3Opus. Un duello all’ultimo neurone in un’aula di formazione: “Intelligenza Umana versus Intelligenza Artificiale”, nell’ambito di una Rome Future Week piena di eventi.
Idea strepitosa. Stavo per prenotami un posto in prima fila, perché ero certo che sarebbe successo qualcosa che volevo vedere di persona. Poi è arrivata la telefonata di Felice, mentre ero in ferie, gironzolando per le strade di Tortolì: “Stiamo preparando una sfida tra docenti: uno umano e l’altro artificiale. Pensavo che l’umano potresti essere tu. Se sei d’accordo, mandami una tua foto”.
“Accetto. Ma a che ti serve la foto?”
“Vedrai...”
Infatti, il 15 settembre 2023 ho visto.
Il giorno della sfida, l’aula A era per me, in aula B c’era una specie di Frankenstein digitale costruito dal Parco Scientifico Tecnologico Pontino Technoscience montando insieme:
- un cervello, costituito da ChatGPT-4 (è il fratello maggiore, da non confondere con quel ChatGPT-3.5 che tutti noi usiamo gratis);
- una seconda intelligenza artificiale in grado di interpretare il linguaggio parlato e pilotare la sintesi vocale;
- una faccia costruita con la mia foto, animata - in sincrono con la voce - da una terza intelligenza artificiale.
Con tale sinfonia di intelligenze artificiali, l’avatar sembrava “vero”. Confesso che quando l’ho visto ho capito al volo che significa avere un “doppio digitale”. Ero “io”, ma nello stesso tempo profondamente alieno.
Le regole erano semplici: un mini seminario in presenza, composto da dieci minuti di lezione frontale e altrettanti di risposte alle domande del pubblico. Il tema (proposto da me): “Come si apprende e cosa”. Praticamente un’introduzione al modello costruttivista di Jean Piaget.
Ai partecipanti erano stati consegnati cartellini diversi: arancio con “IU” e azzurro con “IA”. In teoria i due gruppi erano uguali, in pratica molti di quelli col cartellino “IU” è andata a vedere all’opera “Lui”. Ma li capisco: potendo, avrei fatto lo stesso.
Al termine, due mini questionari di gradimento e di apprendimento avrebbero consentito di decretare il vincitore.
Le due sessioni erano parallele, ma per un piccolo incidente ho avuto la possibilità di vedere in diretta cosa succedeva dall’altra parte. Al momento delle domande del pubblico, il software dell’avatar era andato in tilt (cosa che mi ha dato una certa soddisfazione di cui non dovrei andare fiero).
Seconda faccia: come e' andata
C’è un video che descrive la tenzone. Si trova cliccando su questo link:
“Intelligenza Umana versus Intelligenza Artificiale”: i risultati e il video dell’esperimento.
Abbandonando la narrazione in soggettiva, ecco qualche considerazione sulla performance dell’avatar:
- L’effetto “wow”.
Indubbiamente c’è stato. Fino a meno di un anno fa avremmo creduto di stare dentro un film di fantascienza. - La competenza.
Nessuna sbavatura. E nemmeno una delle allucinazioni così frequenti nel “fratellino” ChatGPT-3.5.
L’avatar parlava con semplicità, chiarezza e precisione, descrivendo in modo impeccabile l’apprendimento secondo Piaget. - L’efficacia.
L’avatar è stato didascalico, come un libro stampato. E, come accade nei libri, ha cercato di dare in pochi minuti una panoramica a 360° del lavoro di Piaget. Significa che, rispetto alla lezione “umana”, ha accennato a contenuti che in questo contesto servivano a poco (come gli stadi di sviluppo cognitivo).
Vuol dire che, allo stato attuale, l’intelligenza artificiale “fa i compiti” piuttosto bene, senza però capire l’obiettivo. Alle domande risponde dicendo “la verità, tutta la verità, nient’alto che la verità” (ovvero, quello che i suoi calcoli stocastici considerano tale). Ma non sa costruire senso. - La voce.
Un po’ meccanica, con un tono a volte minaccioso, ancora non all’altezza dei migliori navigatori satellitari. E poi, nota di colore, pronunciava spesso “Piagett”, con due “t” e senza la “g” di “garage”. - La gara.
Alla fine un vincitore (ai punti) c’è stato: l’intelligenza umana. Risparmiandomi una discreta ferita narcisistica...
Ma il risultato importante è stato un altro: da questa gara si è capito che i due contendenti non giocano lo stesso gioco.
Terza faccia: a che gioco giochiamo?
La paura che serpeggia tra i lavoratori della conoscenza è la “sostituzione tecnica”. Che, cioè, le macchine “intelligenti” facciano con scrittori, giornalisti, insegnanti e formatori quello che i telai a vapore hanno fatto con i lavoratori tessili del XVIII secolo.
E un timore fondato? Proprio perché i giochi – o, se vogliamo, i mestieri - sono diversi, la risposta è “sì”, ma anche “no”.
Il mestiere di quei formatori/maestri/insegnanti che vedono se stessi come “facilitatori dell’apprendimento” è simile a quello del cuoco: fare di tutto affinché quelle persone apprendano determinati contenuti. I contenuti dipendono da un insieme articolato di obiettivi dell’azienda, delle istituzioni, della società e degli stessi allievi; mentre le persone hanno un’irripetibile individualità fatta di competenze, esperienze, atteggiamenti, personalità, bisogni e desideri. Restando nella metafora, facilitare l’apprendimento vuol dire “cucinare” i contenuti per quei destinatari, facendo in modo che siano nutrienti, gradevoli e digeribili. Si tratta di partire dall’altro e costruire, con le parole e non solo, esperienze di apprendimento. Quindi: ascoltare, capire i nodi da sciogliere, fornire stimoli, imbastire percorsi, creare dissonanze cognitive per poi proporre modelli alternativi...
Il mestiere dell’avatar è più semplice: erogare informazioni impacchettate e “lucidate” a dovere, proprio come fa una stazione di servizio con il carburante.
Vedere l’avatar all’opera è stato come assistere a una delle mille videolezioni che riempiono le piattaforme online come fossero l’avanguardia del digital learning. Non deve essere stata un’esperienza troppo diversa da quella dei ragazzi condannati alla “didattica a distanza” ai tempi del Covid.
L’asticella si va alzando
Tutto questo per giustificare la doppia risposta alla domanda “Ci sarà la sostituzione tecnica di insegnanti e formatori con ChatGPT e compagnia?”
“Sì”, per quelli che, a distanza o in presenza, fanno come l’avatar: entrano, salutano, sciorinano la loro sapienza, leggono le slide, a volte interrogano, ri-salutano e se ne vanno. Non passerà troppo tempo prima che qualcuno si accorga che può ottenere la stessa prestazione spendendo un decimo.
“No”, per chi ha capito che fare formazione non è solo trasmettere informazioni. E sono disposti a mettersi in gioco, continuare ad apprendere, esplorare le possibilità offerte dalla tecnologia. ChatGPT compreso.
Insomma: mettiamoci l’anima in pace, perché nel nostro campo l’asticella si va alzando.
Concludo con un appello: se sei tra quelli che hanno idee e/o esperienze sull’uso dell’intelligenza artificiale per l’apprendimento, perché non le racconti qui?