Anna Foa, Il suicidio di Israele

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Gli eventi terribili che si stanno consumando da ormai un anno in Medio Oriente, a partire dal criminale pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023 e dalla successiva reazione (non meno criminale) dell’esercito israeliano che ha praticamente raso al suolo l’intera striscia di Gaza uccidendo decine di migliaia di civili, hanno suscitato, oltre che indignazione e sgomento diffusi, un ampio dibattito e una varietà di riflessioni finalizzate a mettere a fuoco la complessità di una situazione che ha radici lontane nel tempo e la cui esplosione pone oggi  il mondo intero davanti a dilemmi la cui drammaticità non ha bisogno di particolari sottolineature: data la radicalità delle posizioni dei belligeranti (le destre di Israele che governano - con Netanyahu - il Paese da un lato, e, dall’altro, gli estremisti di Hamas che si sono imposti su tutti i gruppi politici palestinesi egemonizzandone le legittime aspirazioni all’autonomia territoriale e statuale) non sembrano emergere al momento soluzioni diplomatiche capaci di favorire un dialogo che porti alla realizzazione dell’obiettivo della coesistenza di due popoli in due stati.


Il rischio di vanificare il sogno

Le conseguenze di tutto ciò rischiano di vanificare il sogno palestinese di trovare il riconoscimento della sua esistenza in un contesto statale proprio e rischiano, al tempo stesso, di determinare un sostanziale  e pericoloso isolamento di Israele (i segnali crescenti di insofferenza –  sia in Europa che negli USA per non dire di quanto accade nel mondo islamico –  per le politiche dello Stato ebraico vanno spesso ben oltre la protesta per assumere connotati di un antisemitismo che sembrava relegato negli anfratti della storia).

Su tale isolamento – che ha molte probabilità di tramutarsi in suicidio politico –  riflette  Anna Foa  nel suo recentissimo saggio intitolato, appunto,  Il suicidio di Israele ( Roma-Bari, Laterza, 2024). Si tratta di un lucido e documentato pamphlet che analizza con precisione e rigore la vicenda del popolo ebraico che si è installato in Palestina diventando Stato nel 1948. Propone anzitutto una storia del sionismo (o meglio dele varie correnti del sionismo) nato nell’Europa della seconda metà dell’Ottocento:

1) affrontando il problema – molto controverso – della sua natura di fenomeno coloniale in qualche modo assimilabile a quelli tipici dell’epoca;

2) mostrando le differenze culturali e di postura politica  tra gli ebrei della diaspora  variamente integrati nei vari paesi europei e negli USA da un lato e, dall’altro, i pionieri del sionismo effettivamente realizzato attraverso i primi insediamenti in Palestina;

3) ripercorrendo i passaggi drammatici che hanno portato alla cacciata dei palestinesi e alla conseguente costituzione dello Stato ebraico e successivamente quelli legati alle varie guerre che dal 1948 ai giorni nostri hanno impegnato e impegnano Israele contro i palestinesi e più in generale contro il modo arabo/islamico.


Una risoluzione rimasta lettera morta

Non manca nell’interpretazione di Foa la sottolineatura delle modalità violente ed oppressive con cui Israele ha affermato e consolidato il suo dominio ai danni del popolo palestinese. La risoluzione dell’ONU del 1948 che affermava l’istituzione dei due stati (ebraico e palestinese) è rimasta, come è noto, lettera morta in misura determinante per responsabilità dello Stato ebraico.

Un   capitolo del saggio – molto bello per densità e capacità di sintesi – è dedicato al tema dell’identità di Israele e simmetricamente del popolo palestinese. Un’identità costruita principalmente, nel caso di Israele, per via politica e basata principalmente sulla memoria della Shoah rilanciata in modo clamoroso in occasione del processo ad Eichmann del 1961 che ha contribuito ad una tendenziale unificazione degli ebrei di Israele (Yishuv e immigrati successivi) e di quelli della diaspora; e costruita, nel caso dei milioni di palestinesi profughi in vari paesi del Medio Oriente e di quanti vivono oppressi in Cisgiordania e in ciò che rimane di Gaza dopo le distruzioni israeliane dell’ultimo anno, sull’alimentazione della memoria della Nakba, la catastrofe determinata dall’espulsione violenta dalla loro terra ad opera degli ebrei colonizzatori.

Le due opposte identità – egemonizzate al momento in entrambi i campi contrapposti da posizioni estremistiche difficilmente componibili – sono oggi impegnate in un confronto drammatico i cui esiti sono del tutto imprevedibili. Tranne uno, nell’interpretazione di Anna Foa: quello del “suicidio” di Israele reso altamente probabile dalle politiche dell’estremismo sionista della destra al governo.


Un "suicidio"  innanzitutto culturale

Si tratta di un “suicidio” innanzitutto culturale dato l’isolamento di Israele nel mondo che in molti casi (in Europa e negli USA) sta degenerando addirittura in marcate manifestazioni di antisemitismo.

« ll percorso di Israele – scrive in conclusione del suo saggio Foa – appare sempre più come un vero e proprio suicidio. L'escalation del governo israeliano non si ferma e aggiunge ogni giorno nuovi morti nei bombardamenti, violenze, nuove dichiarazioni provocatorie dei suoi ministri. Israele restituisce colpo su colpo. Ma è davvero questa la strategia vincente? Forse presto questo governo di estremisti cadrà e le bombe smetteranno di uccidere civili a Gaza. E in qualche misura, coi necessari compromessi, la vita ripartirà in Israele e nei territori palestinesi. Compromessi, perché dopo questa terribile esplosione di odio la strada non dico per la pace ma per una semplice convivenza è lunga. Le ferite devono rimarginarsi, quello che è stato distrutto deve almeno iniziare ad essere ricostruito. Netanyahu e il suo governo devono pagare non solo per quello che hanno fatto ai palestinesi di Gaza, ma anche per quello che la loro politica ha comportato per la stessa Israele. Gli israeliani dovranno trattare con Hamas, colpevole della terribile strage del 7 ottobre, ma i palestinesi dovranno trattare con chi è colpevole di aver distrutto le loro case e ucciso le loro famiglie. Non possiamo dare per scontato che l'odio lasciato da tutti questi traumi cesserà un giorno. Ma non ci sono altre strade che questa» (p. 91).

È un libro molto coraggioso che sicuramente creerà qualche fastidio ad Anna Foa. Certo, potranno attaccarla gli estremisti del sionismo di destra, ma nessuno – come accade spesso in Italia a quanti si oppongono alla politica del governo attuale di Israele – potrà accusarla di antisemitismo.


Il comitato redazionale

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Domenico Lipari

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