Massimiliano Nicoli, Le risorse umane

CONDIVIDI SU:

Massimiliano Nicoli, Le risorse umane, Roma, Ediesse, 2015.

Il volume di Massimiliano Nicoli, studioso del pensiero di Michel Foucault, propone una lettura interessante delle teorie e delle pratiche legate al management delle risorse umane nelle organizzazioni avendo come filo conduttore e punto di riferimento centrale della sua esplorazione (genealogica e diacronica) il complesso bagaglio concettuale dell’elaborazione foucaultiana.


Un'analisi "politica" della gestione delle risorse umane

Pur facendo riferimento all’idea di Marx secondo cui il “governo” della forza-lavoro in fabbrica risponde all’imperativo di massimizzazione del plus-valore e di accrescimento del capitale, la scelta di Nicoli è quella di eludere una lettura unicamente basata sulle dimensioni economiche del fenomeno per situarsi sul terreno dell’analisi, tutta “politica”, delle forme assunte nel tempo dalle esperienze concrete di “gestione” delle risorse umane. L’esplorazione analitica del tema si svolge alla luce di alcune cruciali categorie del pensiero di Foucault (tra tutte quelle di dispositivo e disciplina), lungo una traiettoria al tempo stesso storica e sociologica che pone al centro le dinamiche del controllo della forza-lavoro nelle organizzazioni e mostra come esse si siano evolute nel tempo in rapporto alle condizioni di sviluppo (economico, culturale e sociale) del capitalismo. Da una simile lettura emerge come la “gestione” delle risorse umane si sia venuta modificando modellandosi ai cambiamenti strutturali e culturali che nel tempo hanno caratterizzato le pratiche di organizing (quale che sia il campo settoriale in cui esse sono esercitate: industria, terziario, ecc.). Così è possibile ripercorrere alla luce delle nozioni di controllo, sorveglianza e disciplinamento le linee evolutive del fenomeno in esame: dai dispositivi violenti del capitalismo originario dai quali non si discostano di molto quelli più “evoluti” del taylor-fordismo classico (dei primi vi sono testimonianze esemplari ne La situazione della classe operaia in Inghilterra del 1845 di F. Engels, mentre degli altri sono molto potenti le descrizioni della linea di montaggio della Ford contenute in alcune intense pagine del Viaggio al termine della notte del 1932 di F. Céline), alle pratiche più rispettose delle persone proprie del tardo fordismo nel cui ambito cominciano a prender forma il Movimento delle Relazioni Umane e le elaborazioni sulle Human Resources e di conseguenza le politiche etichettate come  “gestione del personale” (risalgono agli anni Sessanta del secolo scorso i primi studi sistematici sulle risorse umane e sulla necessità di dedicare al tema una nuova attenzione nella consapevolezza del fatto che i processi di trasformazione delle società industriali del tempo richiedessero nuovo strumenti intellettuali e nuovi comportamenti organizzativi), fino alle concezioni maturate nelle condizioni del cosiddetto post-fordismo (e più in generale della società post-industriale) in cui l’imperativo del primato quantitativo della produzione non è più sufficiente poiché emerge e si afferma la priorità delle dimensioni qualitative dei beni (materiali e immateriali) che richiede una serie di requisiti sia delle organizzazioni, sia degli attori organizzativi: poiché il vincolo della qualità diventa fattore competitivo cruciale, essa può essere perseguita solo nella misura in cui vi sia disponibilità di risorse professionali competenti da coinvolgere attivamente e al tempo stesso propensione a valorizzarne il contributo. Il tutto avendo come bussola del comportamento organizzativo il vincolo cruciale per tutti della flessibilità. Matura dunque negli orientamenti teorici ed applicativi del post-fordismo una visione più decisamente proiettata verso una sorta di centralità dell’attore organizzativo, della sua competenza, della sua capacità di innovazione, della sua flessibilità (e capacità di adattamento proattivo). Al tempo stesso cambiano i dispositivi di sorveglianza e controllo: non più quelli “sanzionatori” del passato, ma quelli più sottili della responsabilizzazione e del coinvolgimento, un metodo disciplinare in base al quale, secondo le tecniche del management contemporaneo una maggior libertà dei soggetti è preferibile agli stili paternalistici di controllo, «il miglior modo per aumentare il controllo  sugli obiettivi aziendali consiste nel favorire comportamenti responsabili, autodiretti, autocontrollati. […] Si tratta… di incentivare l’agire autonomo, libero e creativo degli individui per controllare meglio i processi organizzativi e quindi migliorare il clima – cosa che ritornerà sui processi migliorandoli ulteriormente e innescando così un circolo virtuoso» (Nicoli, p. 171). Emerge una visione sottile (quasi invisibile) del potere di controllo che Nicoli molto efficacemente sintetizza con la formula del «controllare meno per controllare meglio» (ivi).


Dinamiche del potere nelle organizzazioni

Ed è proprio sul terreno delle forme assunte dal controllo delle risorse umane nelle pratiche del post-fordismo che si sviluppa l’esercizio foucaultiano di Nicoli orientato a disvelare il funzionamento dei dispositivi di potere nelle società industriali avanzate: non più coercizione, sorveglianza e sanzione, ma governo attraverso la tecnica (e dunque il «sapere-verità» in quanto fondamento della legittimazione sociale del potere), una tecnica sempre più sofisticata e sottile (cultura, coinvolgimento, incentivazioni immateriale, formazione. ecc.) grazie alla quale sia possibile perseguire lo scopo di favorire l’identificazione degli individui con i fini aziendali. Tuttavia, bisogna sottolineare il fatto che se la strumentazione analitica fornita dalle categorie foucaultiane offre suggestioni interpretative di un certo interesse per cogliere su un piano macro-sistemico le forme assunte dal potere nelle società contemporanee, non è altrettanto efficace per descrivere le logiche di azione dei vari attori e le dinamiche di potere ad esse associate che sono tipiche dei contesti micro-sociali costituiti dalle organizzazioni. È infatti attorno tali dinamiche locali ed idiosincratiche che, per essere efficaci, si devono strutturare ed articolare le politiche di governo delle risorse umane. La visione totalizzante ed onnipervasiva di potere che esprime Foucault non riesce a cogliere i fenomeni locali e particolari delle relazioni tra gli attori organizzativi. Ammesso che il potere (la cui definizione in Foucault rimane piuttosto indeterminata) sia dappertutto ed incomba su ogni aspetto della vita sociale, concretamente, qual è la fenomenologia locale empiricamente osservabile delle manifestazioni del potere? Una risposta plausibile e molto pertinente a questa domanda è rintracciabile nella teoria relazionale del potere elaborata da Crozier. In estrema sintesi, per le organizzazioni – ambiente par exellence delle politiche e delle pratiche di governo delle risorse umane – la prospettiva foucaultiana (che si esprime attraverso dispositivi impersonali che s’imporrebbero a tutti) dovrebbe essere integrata da quella crozieriana che assume il potere come fondamento della vita organizzativa, ma individuandolo attraverso la ricostruzione di «sistemi concreti d’azione» localmente determinati e da identificare per via induttiva. Inoltre, il potere non è una “struttura” che incombe pervasivamente sull’azione degli individui, ma l’esito negoziato (implicitamente o esplicitamente) di una relazione tra soggetti dotati di razionalità locale, portatori di interessi specifici e che perseguono obiettivi non necessariamente coincidenti con quelli dell’organizzazione. Nel “perimetro” irriducibilmente locale (ed unico) di questa dinamica. non definita una volta per tutte ma mutevole, tra attore e sistema (ossia tra individui e organizzazione), emerge e si determina il potere – che da questo punto di vista può essere considerato, secondo Crozier, un «eterno spazio bianco».

Dunque, nell’ottimo lavoro di Nicoli la visione foucaultiana avrebbe potuto utilmente essere arricchita dall’interpretazione microsociologica di Crozier che parte dalle relazioni concrete di attori sociali per individuare le dinamiche di potere che da esse scaturiscono. Una simile lettura – che deriva da una varietà di ricerche empiriche approfondite condotte all’interno del mondo delle organizzazioni – sembra particolarmente appropriata e pertinente se si vuole arricchire la comprensione delle teorie e delle pratiche legate alla gestione delle RU avendo come punto di riferimento una valida teoria del potere.

In ogni caso, a prescindere da questa notazione critica, il volume di Nicoli offre una prospettiva sul fenomeno “risorse umane” particolarmente originale e stimolante che permette a quanti sono interessati al tema riflessioni che difficilmente possono scaturire dalla letteratura manageriale corrente.


Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

Vindice Deplano