La valorizzazione del merito nella Pubblica Amministrazione

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“Il merito? In Italia non esiste!”

La carenza di meritocrazia in Italia sembra essere, nella percezione diffusa, un problema endemico della vita sociale.

Il tema del merito è diventato uno dei pochi argomenti bipartisan nella politica, sebbene spesso venga strumentalizzato per criticare lo schieramento opposto. Tuttavia, il vero problema non è solo il sistema delle raccomandazioni, ma l’incapacità della nostra società di valorizzare e promuovere leader eccellenti, sia nel settore pubblico che in quello privato.

L’assenza di meritocrazia non è solo un ostacolo alla crescita economica e alla competitività, ma incide profondamente sulla qualità della vita quotidiana degli italiani, con effetti ben più gravi di quelli evidenziati dalle sole denunce contingenti ed episodiche. Questo deficit sistemico è tra le principali cause del declino economico che il Paese affronta da oltre trent’anni, perché limita lo sviluppo e l’uguaglianza sociale. Promuovere una cultura del merito non è solo una necessità etica, ma una leva fondamentale per il rilancio dell’Italia.


Merito e disuguaglianze

Il “soffitto di vetro” che condiziona le migliori donne italiane rappresenta una delle più gravi carenze di merito nella nostra società. Sebbene la discriminazione di genere in Italia sia nota, è meno evidente l'entità dello stallo sociale che penalizza le donne, rendendole quelle che meno lavorano e fanno meno figli tra le società sviluppate. 

Ancora più preoccupante è la discriminazione verso le più qualificate: in Italia, pur avendo più laureate che laureati, il divario tra titolo di studio e occupazione è il più ampio d’Europa. Le donne laureate italiane, specialmente nel sud Italia, lavorano meno di qualsiasi altra loro omologa europea, un fenomeno che comporta una perdita enorme per la società e l’economia del Paese, in termini di capitale umano. 

In un contesto in cui scarseggia l’immigrazione qualificata e molti giovani “cervelli” italiani emigrano, il mancato accesso delle donne talentuose a ruoli di leadership rappresenta un'occasione sprecata. Questa esclusione contribuisce anche all’ineguaglianza sociale, poiché nelle società avanzate meritocratiche le famiglie in cui entrambi i coniugi sono laureati e occupati tendono ad avere un reddito più elevato. Rimuovere questi ostacoli non è solo una questione di equità, ma una necessità per il progresso del Paese.

Nelle società meritocratiche la preoccupazione è che la meritocrazia crei in realtà un'aristocrazia genetica guidata dai figli fortunati, secondo le parole di Michael Young, che pur essendo il creatore del termine meritocrazia, aveva messo in guardia contro i suoi rischi.


In Italia, la paura del merito ha radici profonde ed endemiche: si teme che una maggiore meritocrazia possa ampliare le disuguaglianze sociali, poiché si associa la cultura del merito all’esclusione di milioni di persone con competenze limitate o scarsa motivazione. Questa convinzione ha contribuito a rendere l'Italia una delle società più ineguali del mondo occidentale, persino più della ultra-meritocratica America del Nord. 

Nel nostro Paese, il divario tra ricchi e poveri è paragonabile a quello di Stati Uniti e Regno Unito, ma con una differenza cruciale: mentre nelle società anglosassoni esistono meccanismi di mobilità sociale, in Italia la mancanza di pari opportunità condanna i meno abbienti a un destino di stagnazione, privandoli delle possibilità di miglioramento (R. Abravanel, La meritocrazia, Milano, Garzanti, 2007). Questo immobilismo sociale rappresenta uno degli ostacoli più gravi alla crescita e all'equità del Paese.


Alle origini di un concetto

I due pilastri dei valori della meritocrazia e cioè la piena responsabilizzazione degli individui e le pari opportunità richiedono di riformulare completamente la strategia politica.

La storia insegna che sono state le grandi discontinuità sociali ed economiche ad aver creato le società meritocratiche. Il processo in questione non è necessariamente evolutivo, ma ha carattere rivoluzionario.

Una grande discontinuità nella storia dell'umanità, avviata nel secolo scorso e attualmente in corso, è stata innescata dalla prevalenza, nei sistemi postindustriali, del capitale umano come fattore strategico rispetto a tutti gli altri fattori.

Michael Young, sociologo inglese, ideatore del concetto di meritocrazia, attribuiva la sua origine alla trasformazione economica che ha accompagnato il passaggio dall’agricoltura all’industria. Nelle società agricole, lo status non dipendeva dal merito, ma dalla nascita: i figli ereditavano il destino dei padri, rendendo superflua e inopportuna la domanda “Cosa farai da grande?”. Il lavoro nei campi era un’eredità automatica, e la selezione per le professioni non esisteva: tutto si basava sulla trasmissione familiare. (R. Abravanel, cit.). 

Secondo Young, la famiglia è sempre stata il pilastro dell’ereditarietà. Il possesso della terra garantiva ai genitori una sorta di immortalità sociale ed economica, oltre a conferire loro un potere assoluto sui figli. Il controllo della proprietà era uno strumento di dominio: diseredare un figlio rappresentava un atto di forza estrema. I rapporti familiari si basavano più sulla lealtà che sulla razionalità e sulle capacità, e questi stessi princìpi hanno regolato per secoli l’intera società. 

Il passaggio all’economia industriale ha segnato una svolta radicale, scardinando gli schemi consolidati. Il potere della terra ha perso la sua secolare centralità e, con esso, il nepotismo ha iniziato a indebolirsi, aprendo la strada a nuovi criteri di selezione sociale basati sulle competenze e sul merito.

Secondo Michael Young, la meritocrazia moderna ha avuto un'origine sorprendente per un elettore del nuovo millennio: il socialismo laburista. Questo movimento, nato dopo secoli di rivoluzioni sociali, si sviluppò in un contesto in cui la borghesia sfidava i privilegi delle élite terriere e nobiliari in nome dell’uguaglianza. Già alla fine dell’Ottocento, nel Partito Laburista si iniziava a discutere di pari opportunità, ma il concetto di meritocrazia rimase vago fino all’opera di Young e al suo saggio “The Rise of the Meritocracy” (cfr. R. Abravanel, cit.). 

Young, dopo aver abbandonato la politica per dedicarsi alla sociologia, fondò un istituto di ricerca a Londra e sviluppò una nuova teoria socio-economica. Nel suo libro immaginava un futuro in cui la società era governata non dal popolo, ma dai migliori del popolo. Il problema era trovare un nome per questo nuovo sistema. “aristocrazia” avrebbe potuto essere una scelta naturale, poiché in greco antico significava “governo dei migliori”, ma il termine aveva ormai assunto un'accezione negativa, associata all’oligarchia ereditaria. Così Young optò per “meritocrazia”, coniugando il concetto di “merito” di origine latina con la tradizione greca del suffisso “-crazia”. 

Young aveva compreso le profonde trasformazioni sociali ed economiche che stavano attraversando l’Inghilterra, creando il terreno ideale per l’ascesa del merito. Tuttavia, il suo messaggio non era privo di critiche: avvertiva infatti sui rischi di una classe dirigente meritocratica che, una volta affermatasi, potesse chiudersi in se stessa e controllare rigidamente la società (R. Abravanel, 2007).   

La meritocrazia non esclude, tuttavia, l’attenzione ai più deboli. I Paesi scandinavi, ad esempio, vantano una mobilità sociale persino superiore a quella di Stati Uniti e Regno Unito, pur disponendo di un sistema di welfare tra i più sviluppati e costosi al mondo. Tuttavia, nelle società meritocratiche, anche il welfare tende a seguire criteri di merito: il suo obiettivo non è solo assistere, ma soprattutto creare opportunità per chi è realmente in difficoltà, senza compromettere la competizione e la dinamicità del sistema economico.


PER una ubblica Amministrazione meritocratica 

Un servizio pubblico efficiente e meritocratico è essenziale per affrontare le sfide del futuro. Nelle società avanzate, il welfare resta in parte nelle mani dello Stato, con differenze tra modelli più liberali, come quello americano, e modelli più inclusivi, come quello scandinavo. Tuttavia, i servizi pubblici – sanità, sicurezza, giustizia, istruzione – devono evolvere, abbandonando l'assistenzialismo fine a se stesso per diventare strutture di alta qualità. 

Le grandi trasformazioni globali rendono urgente una riforma profonda della pubblica amministrazione: 

  • Aumento della spesa pubblica dovuto all’invecchiamento della popolazione.
  • Evoluzione tecnologica, che consente ai cittadini di interagire con il governo in modalità digitale. 
  • Gestione dell’immigrazione, che offre nuove risorse di manodopera da poter integrare efficacemente nell’economia. 

Per affrontare queste sfide, la pubblica amministrazione deve aumentare la produttività senza alzare la pressione fiscale. Inoltre, cittadini sempre più esigenti richiedono servizi più trasparenti ed efficienti, obbligando i governi a rivedere le proprie strutture organizzative. Ministeri monolitici, creati più di un secolo fa, devono trasformarsi in enti più agili e meglio coordinati. 

La riforma della PA deve partire dai vertici. Parlare di meritocrazia per milioni di impiegati pubblici è inutile se non viene prima applicata ai dirigenti chiave – capi dipartimento, direttori generali, dirigenti ministeriali e amministrativi. Senza una leadership competente e selezionata in base al merito, ogni tentativo di riforma rischia di rimanere un’illusione. Solo un radicale cambio di cultura e una gestione trasparente delle performance potranno trasformare la macchina pubblica da un sistema burocratico inefficiente a un motore di sviluppo e innovazione (R. Abravanel, cit.).   

Il 2° convegno annuale, organizzato dal Forum della Meritocrazia, che si terrà l’8 aprile 2025, sul tema “La valorizzazione del merito nella Pubblica Amministrazione”, presso la sala Angiolillo del Palazzo Wedekind in Piazza Colonna 366 a Roma, si propone di affrontare il tema, avendo presente che è un tema controverso. Esso può però essere ricondotto nell’ambito di un dibattito razionale e pragmatico, scevro da condizionamenti ideologici, che finora ne hanno garantito solo la sua scarsa applicabilità, nonostante porlo al centro dell’attenzione sarebbe necessario allo sviluppo e al benessere delle persone e del Paese.

Gli obiettivi del convegno sono i seguenti:

  • Analizzare lo stato dell'arte del merito nella PA, evidenziando i punti di forza e le criticità.
  • Presentare le buone pratiche e le innovazioni che sono state introdotte o sono in corso di implementazione per promuovere la cultura del merito nella PA, anche con una vista internazionale.
  • Confrontare le esperienze del settore privato in materia di governance e valorizzazione delle risorse umane al fine di trarre spunti e suggerimenti per il settore pubblico.
  • Avviare un dialogo costruttivo tra i diversi attori coinvolti nel processo di riforma della PA, al fine di elaborare una strategia condivisa e orientata al miglioramento continuo.

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

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