Il digitale a scuola, oggi, in qualche modo c’è. Ci sono le LIM, ci sono gli animatori digitali, ci sono attività, strumenti e idee di ottimo livello. Ma sembra a volte un corpo estraneo, che qualcuno preferirebbe allontanare a suon di divieti.
Verrebbe da dire: "Ci vogliono idee nuove!"
Ma capita che queste idee ci siano. Idee "buone", ben articolate e presentate al momento giusto e alle persone giuste.
Che fine fanno?
Attilio A. Romita ci racconta una storia. La storia di un insuccesso. Che però - ma nessuno può dirlo con certezza - è confluita - o magari solo riverberata - in qualcosa che si chiama "animatori digitali".
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“Ve lo avevo detto!” può essere il titolo di questa storia che inizia più di 10 anni fa.
Faccio parte della cosiddetta “Generazione Silenziosa”, quella prima del 1940, e mi sono da sempre occupato di bit&byte e di strumenti che li usano per facilitarci la vita.
Nel 2003 ho chiuso la mia vita lavorativa ufficiale. Ho da sempre pensato che avrei potuto spendere la mia esperienza per aiutare gli altri ad usare bit&byte anche nella vita quotidiana. Mi sono battezzato ambasciatore digitale (e allora non era ancora di moda) e ho organizzato qualche “chiacchierata su internet” per facilitare ai miei coetanei una conoscenza degli strumenti digitali che andava oltre qualche messaggino con WhatsApp.
Mi sono interessato alla scuola, dove la LIM (lavagna interattiva multimediale) doveva essere lo strumento per introdurre il “digitale”, ma - mutuando un famoso detto - se lo strumento c’era, serviva il motore, cioè una rete efficiente e, soprattutto, insegnanti digitali.
Costruire il motore
Ho immaginato che il motore si potesse costruire con un programma capillare di conoscenza digitale per gli insegnati capace di:
- Mettere in atto un processo di miglioramento della cultura informatica del personale docente.
- Favorire l’attitudine all’uso di strumenti hardware e software dedicati alla gestione delle procedure scolastiche ed allo sviluppo di contenuti digitali avanzati.
- Avere una velocità di attuazione elevata, cioè raggiungere il massimo dei docenti in breve tempo.
- Fornire formazione in modo capillare sul territorio.
- Formare allo stesso tempo “ambasciatori-docenti digitali” in grado di allargare rapidamente e con continuità la platea dei docenti-discenti.
Questo meccanismo avrebbe permesso di:
- estendere rapidamente il numero di formatori e, quindi, abbreviare i tempi di diffusione della cultura digitale;
- preparare un buon numero di “formatori digitali” chiamati a essere un importante supporto “periferico” nel caso di introduzione di nuove procedure e/o strumenti.
Un progetto a piramide
Il progetto che avevo in mente era piuttosto articolato, con sessioni formative tagliate su misura per destinatari diversi suddivisi in piccoli gruppi (10-15 persone). Un’organizzazione “a piramide” che prevedeva:
- La formazione per formatori, indirizzata a docenti già esperti da chiamare poi a svolgere la funzione di “formatori digitali” nel territorio di appartenenza, riconoscendo loro particolari «crediti formativi» in base alle norme vigenti.
- La formazione standard, curata da uno di questi docenti-formatori digitale, indirizzata ai colleghi “novizi”
In più, avevo ipotizzato la formazione per gruppi misti di docenti «novizi» insieme a 2-3 docenti che abbiano già partecipato a una o due sessioni standard, con l’obiettivo di farne docenti esperti.
Tutto questo avrebbe permesso di allargare rapidamente la platea di docenti preparati all’uso degli strumenti digitali.
I contenuti erano articolati in due corsi:
- Corso introduttivo per costruire le basi di conoscenza del mondo digitale: la rete, internet, la ricerca di informazioni e la realizzazione di contenuti digitali (come e-book e materiali didattici per le LIM).
- Corso “Scuola Digitale” per l’utilizzo del sistema gestionale scolastico.
La durata di ciascun corso era di 8-10 ore, suddivise in 3-4 sessioni, intervallate da circa una settimana per facilitare la sperimentazione sul campo utile a mettere in luce eventuali lacune.
Nelle prime fasi del progetto, la nomina dei “formatori digitali” sarebbe stata compito dell’Amministrazione Centrale. Poi con la diffusione delle attività in periferia (a li vello ragionale, provinciale e cittadino), le nomine sarebbero state delegate agli organi periferici.
Un’organizzazione articolata
Chiaramente tutto questo meccanismo si poteva mettere in atto potendo contare su:
- il MIUR come garante e regista di tutte le attività.
- Le Regioni come supporto logistico locale.
- Eventuali sponsor privati specialistici, nazionali o locali, disponibili a fornire supporti logistici e strumenti finanziari.
- System Integrator in accordo e con il coordinamento del MIUR.
Avevo pensato a tutto. Anche alla tempificazione dettagliata di tutto lo svolgimento a partire dal momento della firma (T0):
- T0 + 15 gg - Col MIUR, programmazione e disegno del materiale supporto.
- T0 + 20 gg - Preparazione dell’evento di lancio: definizione di data, contenuti e partecipanti.
- T0 + 25 gg - Aggregazione del materiale per i corsi con eventuale partecipazione sponsor tecnologici.
- T0 + 35 gg – Col MIUR, programma dell’evento lancio e inviti.
- T0 + 40 gg - Evento di lancio.
- T0 + 50 gg - Programmazione dei corsi.
- T0 + 70 gg - Prima sessione del corso presso il MIUR per 20-25 docenti e 5 futuri Ambasciatori.
- T0 + 100 gg - Erogazione dei corsi secondo la programmazione.
Molti bei progetti sono messi in crisi dal problema del reperimento delle risorse, ma in questo caso quasi tutte le attività si sarebbero svolte in ambito scolastico e con il supporto di personale scolastico. Il budget previsto era minimo: un totale di circa 15.000 euro, circa 750 a regione.
Attenzione, complimenti e un muro
Il progetto è stato presentato “ad alto livello” al MIUR dove ha accolto molta attenzione e molti complimenti.
E poi? Nei giorni successivi ho tentato diverse volte di conoscere le decisioni del MIUR sulla realizzazione del progetto, ma avevo davanti un muro burocratico. E una vocina mi disse che era tutto fermo perché non si capiva “chi avevo dietro”!
Ho cercato di scacciare cattivi pensieri sulla pigrizia mentale basata sul “… si è sempre fatto così” di un ambiente scolastico. Ma non la mente sono tornato ad Adriano Olivetti, che aveva realizzato la “perrottina” e la Lettera 22. Allora avevamo in Italia la possibilità di lanciare il primo personal computer del mondo, ma nessuno volle impegnarsi su quella innovazione che negli anni successivi avrebbe cambiato il modo di pensare i computer e si preferì un bell’oggetto meccanico. Bello tanto da finire al MOMA, ma che non ha cambiato niente.
Il mio è stato un bell’insuccesso per qualcosa che forse avrebbe anticipato i tempi. Perché ora a scuola gli animatori digitali li abbiamo, ma gli insegnanti digitali ancora no. O non del tutto.
Forse dobbiamo attendere che i “millenials” e le generazioni successive diventino professori.
Di ruolo, però!
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