Sei abbastanza maturo per giocare?
Dal 2015 propongo questa domanda ai manager di aziende nazionali e internazionali, per suggerire loro di riprendere a giocare e farlo coi LEGO®. Molti di loro non ne maneggiano da tempo, qualcuno non ci ha mai giocato e altri “usano” il pretesto di figli e nipoti per continuare a costruire anche oggi. Una cosa è certa: non hanno mai pensato di portarli in ufficio.
Non atrofizzarsi col “si e' sempre fatto cosi'”
Nei contesti organizzativi, infatti, ci si deve avvalere di una metodologia strutturata: il LEGO® SERIOUS PLAY® (LSP). Questo metodo che, com’è facile intuire, non poteva non nascere in Danimarca, in casa LEGO®, ha il potere di trasformare i mattoncini usati per il divertimento - per fare l’astronave di Star Wars - in qualcosa di produttivo, per allenarsi a pensare, stimolando il nostro cervello troppo spesso atrofizzato dalla coazione a ripetere del “si è sempre fatto così”. Negli anni Novanta LEGO® aveva bisogno di generare innovazione e nuove strategie per gestire i competitor e i rischi di un mercato in rapida evoluzione. Gli insight giusti sono arrivati proprio costruendo con le mani e così si è innescata la scintilla per progettare il metodo LSP che oggi aiuta strategicamente a sviluppare business.
Da allora LSP è stato utilizzato da enti, istituzioni, multinazionali del calibro di Daimler Chrysler, Roche Pharmaceutical, SABMiller, Tupperware, Nokia, Orange, PayPal e moltissime altre.
Sicuramente il mondo aziendale ha bisogno di superare l’iniziale reticenza di percepire i LEGO® solo come un gioco, depotenziandone le possibilità.
Serio ludere per "collavorare”
Giocare riempie lo spazio tra sé e l’ambiente con i prodotti della propria immaginazione e con l’uso dei simboli. Il gioco non ha età, come diceva il grande psicoanalista Donald Winnicott, perché la creatività è uno stato comune a ogni essere umano, sia esso bambino o adulto. La storia ci insegna che il gioco è sempre stato una delle modalità di apprendimento maggiormente esplorate e riconosciute per la sua efficacia. Questo serio ludere consente di condurre i partecipanti a costruire con le proprie mani un modello tridimensionale del proprio tema/problema di carattere strategico, operativo o relazionale. Attraverso la condivisione delle “storie organizzative” costruite con i mattoncini e attribuite al modello, viene costruito un panorama collettivo. Attraverso LSP si innesca un processo collaborativo a prescindere dal ruolo e dalle competenze dei partecipanti, favorendo l’emergere di idee innovative e connessioni inedite e stimolando la creatività.
I workshop LSP sono organizzati con un format e possono essere applicati a una grande eterogeneità di processi che dipendono dalle caratteristiche del consulente e dalla “domanda” del committente. Si tratta, infatti, di un metodo senza contenuto e la declinazione del workshop, con le finalità che saranno raggiunte, sono frutto dell’accordo ex ante. A titolo, quindi, meramente esemplificativo, ecco alcuni dei processi in cui ho sperimentato l’applicazione di LSP:
- Evoluzione e condivisione dell’identità e della vision aziendale.
- Sviluppo di modelli di business.
- Esplorazione di scenari aziendali futuri.
- Costruzione e sviluppo dei team di lavoro.
- Gestione del cambiamento.
- Ricerche di mercato.
Con questa metodologia partecipativa, l’istanza sistemica consente di valorizzare il processo di co-costruzione dei contenuti e si punta a favorire una trasformazione in ottica lean, contribuendo a rendere i contesti organizzativi flessibili e caratterizzati dal “collavorare”.
Una trama sconosciuta ma non assente
L’attività viene gestita attraverso il presupposto di aiutare l’organizzazione e le sue persone a ricostruire nuove chiavi di lettura e scrittura relazionali. Il Facilitatore LSP non eroga risposte, ma guida il gruppo a ricostruire i fili di una nuova trama, sconosciuta ma non assente. Nel corso della facilitazione il gruppo transita da un insieme disordinato di mattoncini fino a creare qualcosa di nuovo, di autentico che rappresenta una gestalt del gruppo: “il tutto è più della somma delle singole parti”.
Spesso i momenti formativi sono esperiti come prassi già vista, come assistere a un film al cinema sapendone attori e finale. La Facilitazione non fa spoiler. Non è un corso che puoi aver già fatto. Ogni occasione in cui si costruiscono metafore con i mattoncini si avrà la possibilità di connettere nuove idee, intersecare ruoli e contesti. Il senso della facilitazione rimanda alla narrazione profonda, a un processo trasformativo di sé stessi. Le storie sono gli elementi “scatenanti” di un certo livello di consapevolezza narrativa, e aiutano a leggere con lucidità percorsi e ostacoli, in modo da poter entrare in empatia e risonanza con l’altro.
C’è un solo sé complesso, organico, poliedrico, nato dalla contaminazione di un incontro autentico di persone. Questo metodo rappresenta, quindi, una grande opportunità per le aziende e i manager per ri-narrare sé stessi e le loro identità aziendali.
Natalie Portman una volta ha detto: “I don’t like studying, I like learning” e, in effetti, gli adulti apprendono con maggiore efficacia quando possono scegliere di:
- Mettersi in gioco.
Siamo abituati da troppo tempo a conoscenze solo razionali. Ogni strumento, tecnologia o gioco che aiuta a implementare il modo di affrontare l’incertezza è un gioco “serio”. È sempre interessante trovare una modalità, come può essere LSP, di usare in contemporanea entrambe le parti del tuo cervello: quella razionale e quella emozionale. - Porsi in modo attivo ed esperienziale nei confronti dell’apprendimento.
Affrontare il rischio di lasciare la propria comfort zone per accedere a conoscenze nuove, lasciandoci guidare dalla curiosità. - Utilizzare appieno tutti i sensi.
Grazie alle neuroscienze e all’utilizzo dei mattoncini, per esempio, oggi siamo più consapevoli di quanto apprendimento possa arrivare dalla propriocezione. Il motto di LSP, infatti, è: Think with your hands!