Mettiamoci nei panni di una qualsiasi Regione italiana alla prese con la programmazione delle risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE), che debba individuare gli ambiti professionali su cui incentrare gli interventi di politica del lavoro; oppure nei panni di un ente formativo che voglia aggiornare la propria offerta rivolta agli individui in disoccupazione; immaginiamo invece di essere un sindacato o una associazione datoriale che debba pianificare un intervento di riqualificazione a fronte di una crisi industriale; infine, ipotizziamo di essere un/a lavoratore/ice in procinto di cambiare lavoro che voglia orientarsi tra le professioni e le competenze in ascesa.
Le diverse situazioni presentate sono accomunate da una esigenza: disporre di fonti informative affidabili, esaustive ed aggiornate sul mercato del lavoro, in grado di fotografare l’esistente, individuare trend recenti e possibili evoluzioni. La capacità di analizzare la domanda di competenze e professioni è divenuta una priorità di assoluta rilevanza, tanto da rientrare tra le 12 iniziative chiave dell’Agenda europea per le competenze. Ciò è comprensibile in virtù del ruolo abilitante di tale capacità per la competitività dei singoli Stati e dell’UE.
Una simile indagine del mercato del lavoro si basa su classificazioni condivise delle professioni e delle competenze e su una serie di metodologie di analisi dei dati. E proprio qui sta il problema. In Italia, negli anni si è assistito ad una proliferazione di tassonomie e di modelli di indagine, proposti in primis dalle Istituzioni, che presentano diverse criticità: ridondanza e sovrapposizione di professioni e competenze, difficile interoperabilità dei sistemi, adozione differenziata e non coordinata nelle pubblicazioni istituzionali, con il conseguente spiazzamento degli operatori che di tali sistemi dovrebbero servirsi. Manca insomma un modello unico, o quanto meno integrato. Ma vediamo nel dettaglio le fonti informative esistenti e le principali criticità.
Le classificazioni delle professioni e delle competenze
L’Istat gestisce il sistema italiano di Classificazione delle Professioni (CP). La tassonomia segue fedelmente il sistema internazionale ISCO ed offre una esaustiva mappatura dell’ecosistema occupazionale, con ben 813 esempi di professioni. Questa stessa ricchezza informativa genera però una frequente ridondanza di profili professionali affini, fonte di disorientamento. A ciò si aggiunge che il sistema prevede tempi molto lunghi di aggiornamento dei contenuti (ogni 10 anni), che difficilmente riescono a tenere il passo con i rapidi mutamenti dei sistemi produttivi e delle competenze. Infine, la tassonomia non fornisce le conoscenze e le competenze associate a ciascuna professione, risultando incompleta ai fini della programmazione formativa.
Negli ultimi anni, al sistema CP si è affiancato l’Atlante del Lavoro e delle Qualificazioni, gestito dall’Inapp. Il principale fine dell’Atlante è popolare il Quadro Nazionale delle Qualificazioni Regionali (QNQR), che mette a sistema tutte le professionalità espresse nei singoli territori. Come facilmente ipotizzabile, la sovrapposizione tra le Qualificazioni regionali ed i profili Istat è elevata; per questo, il portale che ospita l’Atlante consente la referenziazione delle Qualificazioni con i codici CP. Il vantaggio dell’Atlante è quello di articolare competenze, conoscenze e abilità per ciascuna Qualificazione, offrendo un prezioso riferimento agli operatori del mercato del lavoro. Non a caso, la stessa classificazione è stata scelta per il Sistema Nazionale di Certificazione delle Competenze ed adottata dai Fondi Interprofessionali, dalle Regioni (per gli interventi del Fondo Sociale Europeo) e dalle iniziative governative (Fondo Nuovo Competenze e Programma GOL, tra gli ultimi), ossia per l’ampio spettro di interventi di formazione continua. Tra i limiti dell’Atlante figurano invece le differenze qualitative tra i Repertori delle Qualificazioni di diverse Regioni (ad esempio in merito all’esaustività e all’aggiornamento dei profili professionali presenti) ed una certa rigidità complessiva del sistema, nato per informare i percorsi lunghi di formazione professionale e dunque meno funzionale per gli interventi brevi di formazione continua.
I metodi di indagine della domanda di competenze e professioni
Il Sistema informativo Excelsior è la principale fonte di dati sulla domanda di lavoro in Italia. Gestito da Unioncamere in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il sistema realizza indagini mensili sulle previsioni dei datori di lavoro in merito ai fabbisogni professionali, formativi e di competenze. Excelsior è un prezioso riferimento per gli operatori del mercato del lavoro, poiché informa sui settori ed i territori che esprimono maggiore domanda di lavoro e sui profili professionali più richiesti. Un potenziale limite risiede però nel metodo di indagine impiegato: le dichiarazioni spontanee ed anonime dei datori di lavoro rischiano di essere influenzate dalla “desiderabilità sociale” e di sovrastimare l’entità del fabbisogno occupazionale. Per mitigare tale rischio, nell’ambito del programma GOL l’ex Anpal (oggi Sviluppo Lavoro Italia) ha implementato uno strumento di data analytics che integra le informazioni previsionali di Excelsior con quelle fornite dalle Comunicazioni Obbligatorie di Istat. Ciò favorisce una prospettiva più esaustiva, informando anche sul numero e le tipologie di contratti effettivamente attivati e sull’entità degli individui interessati (una informazione da non sottovalutare). Inoltre, lo strumento utilizza i soli profili professionali di Istat che ricorrono nell’Atlante del Lavoro e delle Qualificazioni, operando una auspicabile connessione tra le tassonomie.
Tuttavia, i vantaggi di tale soluzione rischiano di essere oscurati dalle moderne piattaforme di Labour Market Intelligence (LMI), una metodologia di analisi dei big data associati al mercato del lavoro. Nelle applicazioni più diffuse, gli algoritmi analizzano i testi degli annunci di lavoro rintracciati online, al fine di estrapolare le caratteristiche salienti della domanda di lavoro. I relativi vantaggi sono essenzialmente due: da un lato, la massima rappresentatività delle effettive richieste dalle imprese; dall’altro, un aggiornamento costante dei contenuti, che restituisce evidenze pressoché in tempo reale. Questi due elementi, in effetti, appaiono irrinunciabili per l’analisi dei fabbisogni occupazionali nel mercato del lavoro moderno. Eppure, al momento in Italia non figurano soluzioni a guida pubblica basate su questa metodologia.
Per comprendere lo stato dell’arte e l’evoluzione della domanda di lavoro servirebbero soluzioni multi-metodo, integrate e ricettive delle innovazioni. Servirebbe anche una strategia sull’utilizzo di tali evidenze per la programmazione delle politiche formative ed occupazionali. In Italia però sembra aver prevalso un atteggiamento autoreferenziale delle Istituzioni, che ha portato alla proliferazione di strumenti e a una forte confusione in fase applicativa. Data la posta in palio, sarebbe il caso di cambiare rotta.