Alessandro Donadio, Eros e lavoro

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Alessandro Donadio, Eros e Lavoro, Milano, FrancoAngeli, 2024.

Il termine lavoro, nel dizionario, indica qualsiasi impiego di energia (umana, animale o meccanica) destinato ad uno specifico scopo.  E’ una categoria dell’umano affascinante, costitutiva della sua identità, da esplorare senza dare nulla per scontato, piena di lati oscuri oltre che del valore nobilitante, su cui si fonda la nostra Costituzione.

La mia esplorazione più recente si è imbattuta in un testo molto interessante che propongo alla vostra lettura, perché tratta temi universali rapportandoli allo spirito del nostro tempo.Eros e lavoro, di Alessandro Donadio, è un testo coraggioso se non altro perché accosta due termini molto impegnativi, due mondi apparentemente lontani. Lo fa con la finalità ambiziosa di riportare energia e motivazione nelle organizzazioni contemporanee.

E’ molto interessante l’excursus sulle elementi fondativi dell’Eros. Donadio decide di chiamare Eros, l’energia vitale che sta alla base della spinta generativa umana e che ci fa muovere nell’esistenza, individuale e collettiva, e che fa produrre mondo […] un processo di significazione che pretende di nominare le cose, ed anche di reinventarle quando necessario. Un’energia che chiede, in una parola, che si dia Senso.

Convoca nel suo testo, pensatori importanti, dai presocratici ai giorni nostri, senza sfoggio di erudizione o innamoramento estetico verso il pensiero dei grandi, ma lo fa – e questo è palese sin da subito – con lo spirito pratico di chi vuole risolvere un problema: su quali fondamenti “certi”, archè, possiamo fondare le nostre consapevolezze, credenze, propedeutiche alle soluzioni che poi come excecutive e HR andremo a calibrare.

Riporto di seguito alcuni passaggi chiave del suo ragionamento, in maniera impunemente sintetica.

Eros (<<il più bello degli dèi, scioglitore di membra, che di tutti, dèi e umani, doma nel petto intelletto e saggio consiglio>>) nel racconto di Platone è il medium fra le cose divine e quelle umane. Incarna la tensione inesauribile verso la perfezione della natura divina, tramite il desiderio, termine composto dalla particella privativa “de” e “sidus” (plurale sidera) che in latino significa stella. Il desiderio (che non è il bisogno) è sempre diretto verso un oggetto (l’irraggiungibile stella) che, in chiave filosofica (Lacan) è l’Altro, ossia tutto ciò che io non sono (in senso biologico, esistenziale, simbolico). L’oggetto è un valore, un’utopia, un’idea, e come tale non si possiede, né si consuma. Il desiderio è anche alla base della motivazione, delle persone verso le organizzazioni.

Nelle organizzazioni, quindi, una motivazione basata sullo scambio di “oggetti possedibili” (bonus, benefit, incentivi economici, etc.) non rischia di diventare il suo opposto, in una sorta di “demotivazione rivendicativa”? La motivazione che fa stare una persona dentro una relazione di lavoro, è lo sguardo rivolto verso il cielo, in direzione delle stelle. Quella luce è il Senso che l’organizzazione riesce a irradiare. I bonus e i premi, valgono come strumenti di riconoscimento del valore, ma si svuotano di desiderabilità quando posseduti.

Apro una parentesi sulla mia esperienza di dirigente in una pubblica amministrazione. Nel lavoro pubblico, gli strumenti di valutazione delle performance, di misurazione dei risultati, di attribuzione dei premi distribuiti “a pioggia”, fanno molto discutere perché non contribuiscono ad aumentare la produttività. In realtà è peggio, perché producono un danno proprio sulla motivazione delle persone, che avvertono la totale estraneità tra quelle erogazioni e la qualità del loro lavoro, la passione, la fatica, l’alienazione di cui è intriso.

Chi è chiamato alla responsabilità di definire modelli e strumenti di funzionamento delle organizzazioni, ma ancor più chi quotidianamente è chiamato a indirizzare il lavoro delle persone, dovrebbe prendere atto di una serie di fallimenti e mettersi in ascolto dello spirito del tempo.  Si chiede Donadio, se strumenti come il profilo post-assessment, la mappa delle competenze, le valutazioni colgono la completezza della persona che stiamo guardando, oppure si riducono ad uno specchio nel quale ci stiamo riflettendo come narcisi inconsapevoli ed in buona fede. Con quali strumenti e modalità posso far arrivare lo sguardo dell’organizzazione alla persona? Come posso cogliere lo sguardo che la persona sta rivolgendo all’organizzazione? Per cosa la persona desidera essere colta, compresa, guardata? Sono alcune delle domande che presuppongono un capovolgimento di paradigma, con una riflessione profonda sui cambiamenti in atto.

Secondo il report “State of the Global Workplace 2022” di Gallup, in Europa solo il 14% dei dipendenti è davvero coinvolto nella propria attività lavorativa, in un trend in diminuzione. Al contempo crescono i dati legati allo stress, alla rabbia e a forme di malinconia sul lavoro.

Dopo la pandemia, il distacco dalla vita aziendale è diventato più marcato, e sembra aver alzato la propensione al rischio delle persone, spingendo alcuni a voler cambiare lavoro o a opporsi a scelte aziendali non sempre condivisibili. Negli Stati Uniti è nato un movimento, la Yolo Economy, acronimo di “you only live once” (il nostro “si vive una volta sola”). Dipendenti, manager e dirigenti che hanno deciso di godersi la vita il più possibile, abbandonano il lavoro alla ricerca di nuove opportunità. E’ l’emersione di una domanda più universale che non va sottovalutata. In Italia, il 38% dei lavoratori tra i 25 e i 34 anni si dichiara alla ricerca di un nuovo lavoro e addirittura il 23% degli intervistati preferirebbe rimanere disoccupato piuttosto che infelice sul lavoro. Si registra anche una strategia attendista e rinunciataria, chiamata quiet quitting, da parte di chi non se la sente di andare alla ricerca di una migliore condizione lavorativa, e si limita a fornire la prestazione minima richiesta. Il lavoro si svuota di energia e di passione, si fa meccanizzato, standardizzato, tale da essere facilmente sostituito dalle macchine. Da esperta di salute nei luoghi di lavoro e di riduzione dei rischi, ritengo urgente che le istituzioni non si focalizzino esclusivamente sui fattori fisici, chimici, biologici dei rischi del lavoro, ma si occupino anche, con metodologie nuove, delle condizioni che minano la salute mentale dei lavoratori. Sistemi umani senza umano, li definisce Donadio, che diventano invivibili, depressivi, malinconici e si ammalano.

Le soluzioni si rintracciano - nel testo di Donadio, come in altri saggi contemporanei sul tema del lavoro – a partire dall’uso di parole nuove, diverse rispetto ai codici economici tradizionali. Parole come sostenibilità, inclusione, comunità in Eros e lavoro assumono spessore etimologico e critico/filosofico, andando ben oltre le mode correnti, nella forma dell’inter-in-dipendenza. Ad ognuna Donadio dedica un paragrafo. Riporto un passaggio sul termine comunità, che si vuole distinto dal termine  “società” (in senso utilitaristico/operativo funzionale). La comunità procede verso i valori che la costituiscono, esattamente come fa il desiderio che punta verso le stelle che mai possiederà. La comunità non può ridursi a “recinto” in cui praticare campagne di riattivazione della motivazione. Lo stesso concetto di produzione va ben oltre la dimensione materiale/fisica di trasformazione dell’esistente ma è anche esercizio di trascendenza verso un ideale di vita comune.

Per rispondere alla domanda - che, diciamolo, sorge spontanea verso la fine della lettura del testo - sul come innescare, nutrire e far scorrere eros, motivazione, energia nelle organizzazioni, Donadio abbozza uno schema a cerchi concentrici, che chiama “Spirito del tempo e people strategy” davvero interessante. Accenno solo al passaggio che concerne la digitalness, il rapporto originario fra umano e tecnologia. E’ idea piuttosto puerile quella secondo cui la tecnologia si afferra e si usa, dato che in larghissima parte questa usa se stessa in sostituzione di molte funzioni umane di base […] è importante che la delega che l’umano fa alla tecnologia non sia mai veramente in bianco, ma sempre pensata, ponderata.

Eros e lavoro è un libro nutriente, perché apre spazi alla riflessione, rinunciando a formule semplificatorie e consolatorie, buone solo per le slides dei consulenti. Lascia anche un discreto appetito per saperne di più, per spingersi nella ricerca di soluzioni alle molteplici sfide del nostro tempo. Sfide che, a voler essere coraggiosamente pessimisti, fanno tremare le vene ai polsi e che quindi esigono lo sforzo di intere comunità, non solo di singoli pensatori, leaders affascinanti o guru illuminanti.

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

Domenico Lipari

Giusi Miccoli

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