Una nozione sfuggente
Possiamo descrivere la competenza come l’insieme delle conoscenze e delle capacità grazie alle quali un individuo è in grado di orientarsi in maniera adeguata e pertinente in un campo specifico d’azione.
Questa definizione sta ad indicare le capacità di utilizzazione delle conoscenze in contesti operativi che presentano vari gradi di problematicità. Inoltre, designa le capacità concrete di azione ed è riconoscibile in quanto conoscenza contestualizzata (situated knowledge), ovvero conoscenza che fuori da un contesto determinato avrebbe un significato diverso. Può essere, in definitiva, tematizzata come una qualità soggettiva che si esprime mediante un comportamento osservabile (e quindi apprezzabile/valutabile).
Assumere questa interpretazione significa sottolineare che la competenza
- è parte integrante dell’identità sociale e professionale del soggetto;
- denota le sue capacità di azione pertinenti in un contesto sociale (organizzativo) determinato.
Centralità del contesto d’azione
Ma significa anche che essa è necessariamente associata ad una prestazione specifica e che il banco di prova che consente di apprezzare una competenza è comunque un contesto d’azione.
Dal punto di vista analitico (e poi della classificazione) bisogna dunque assumere che l’espressione concreta di una competenza si trovi al punto di intersezione nel quale si combinano quattro dimensioni di fondo:
- la biografia professionale/esistenziale;
- la formazione/educazione formale;
- gli apprendimenti informali;
- il contesto d’azione.
Da questo punto di vista, mentre è possibile esplorare agevolmente le dimensioni (a) e (b), diventa assai problematico lavorare sulle dimensioni (c) e (d).
Un’impossibile oggettivazione
In altri termini, dato per scontato il fatto che sia possibile lavorare senza problemi sul terreno della rilevazione di dati generali e particolari riguardanti il curriculum formativo e l’esperienza professionale e che, invece, sia tutt’altro che agevole analizzare la dimensione situazionale della competenza, limitarsi alla ricognizione delle prime due rischierebbe di essere perfino inutile, perché si sarebbe nell’impossibilità di rispondere ad un interrogativo fondamentale: quanto e in che modo la biografia e il curriculum formativo sono in grado di “fondersi” tra loro in modo appropriato nelle particolari condizioni di un contesto d’azione che non possiamo conoscere?
Nessuno può dirlo a priori, poiché dipenderà dalle configurazioni concrete di questo duplice “incontro”.
La possibilità di evitare l’impasse teorica e metodologica dovuta alla difficile operazionalizzabilità del concetto senza cadere nel riduzionismo di classificazioni astratte è data dalla costruzione di una relazione speciale con gli attori interessati a riconoscere (loro per primi) e a far riconoscere le proprie competenze (soprattutto quelle legate alla sfera dell’informale che spesso sono in gran parte tacite).
Forse lo stesso agente può accedere ad uno spazio di (auto)percezione delle proprie competenze, a patto però che sia in grado di produrre un esercizio di riflessività da realizzare attraverso un’interruzione del flusso ordinario dell’esperienza associata alla pratica: quali “tratti” dell’agire dato per scontato emergono da questa sospensione riflessiva diventando oggetto di attenzione e di interesse per l’agente (anche se non è sempre facile ricondurre tutto ciò ad esplicitazione e descrizione)?
Se tutto questo è vero, dobbiamo riconoscere il fatto che questa dimensione della competenza (quella legata al contesto), specie nei casi in cui si sia nell’impossibilità di osservare i comportamenti in azione, non è riducibile a forme accettabili di oggettivazione a priori (e quindi di rilevazione e di classificazione).
Una prospettiva di metodo
Una prospettiva metodologica che vedo praticabile (lavorando con un numero limitato di persone) si basa sull’inclusione privilegiata, nei dispositivi di rilevazione/riconoscimento, della biografia esistenziale/professionale attraverso la raccolta delle storie di vita dei soggetti.
Da questo punto di vista, il lavoro finalizzato al riconoscimento si configura come un’indagine multidimensionale che:
- non si limita alla mera registrazione di dati riconducibili agli aspetti cognitivi della competenza (non importa se certificata);
- enfatizza e valorizza le dimensioni esistenziali, esperienziali, professionali e contestuali della competenza;
- sollecita i soggetti a ripercorrere e ricostruire riflessivamente la loro esperienza e, per questa via, a mettere a fuoco le loro capacità e ad attivare rilevanti proiezioni sulle loro potenziali capacità.
In una prospettiva del genere trovano un’utile combinazione tre dimensioni di ricerca e, al tempo stesso, di intervento:
- la prima è legata alla lettura ed al “trattamento” della nozione di competenza che evita i rischi del riduzionismo o delle classificazioni astratte;
- la seconda mette in gioco le narrazioni (protagonisti i soggetti) e le letture/interpretazioni (protagonisti i soggetti con l’aiuto di un analista) di vissuti esistenziali, esperienziali e professionali entro i quali sempre e necessariamente sono incastonate e rielaborate le dimensioni cognitive della competenza;
- la terza attiva una relazionalità maieutica che dovrebbe aiutare – proprio attraverso il racconto biografico – la costruzione di occasioni rilevanti di riflessività, grazie alle quali generare tra i soggetti interessati capacità di analisi e consapevolezza sulle proprie possibilità e, per questa via, stimolare capacità proattive associate concretamente all’elaborazione di strategie professionali.