Il tema delle competenze digitali e della formazione per l’innovazione e l’inclusione è una priorità nazionale, tant’è che il digitale è l’infrastruttura abilitante di tutti i progetti individuati dalle sei missioni del #PNRR. Con l’automazione e l’informatizzazione saranno presto sostituiti i profili lavorativi meno qualificati e ci saranno nuove opportunità soprattutto per le figure altamente specializzate.
In Italia, inoltre, sono ancora troppe le donne in condizione di estromissione dal mercato del lavoro rispetto a opportunità che progressivamente richiedono maggiori competenze digitali. Il gap digitale - che incide ulteriormente su quello di genere – penalizza i processi di sviluppo del Paese per carenza di profili specializzati e con un buon bagaglio di skills trasversali.
Cosa si intende per competenze digitali?
Una prima definizione di Competenze Digitali è stata presentata nel documento “Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006”, che riportava: “la competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione. Essa è supportata da abilità di base nelle TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione): l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet”.
Le digital skills con l’accelerazione digitale in atto sono diventate numerose e più articolate, e spaziano dalle competenze più basilari, come l’uso di Internet e del PC, a quelle più specifiche ed evolute come la conoscenza di linguaggi di programmazione, il coding, lo sviluppo di sistemi software per l’intelligenza artificiale. Essendo il mondo della tecnologia in costante evoluzione, anche le competenze digitali cambiano continuamente e sono destinate a mutare con rapidità negli anni a venire.
2023: Anno Europeo delle Competenze
"Dobbiamo investire molto di più nella formazione e nello sviluppo delle competenze. Dobbiamo farlo lavorando fianco a fianco con le imprese. Nessuno meglio di loro conosce i profili professionali di cui hanno bisogno. Dobbiamo conciliare meglio queste esigenze con gli obiettivi e le aspirazioni di chi cerca un lavoro". Queste le parole della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen a proposito dell’Anno Europeo delle Competenze, nato per promuovere la riqualificazione professionale e l’aggiornamento delle conoscenze dei cittadini e cittadine europei.
Negli ultimi anni, infatti, le competenze sono diventate un requisito fondamentale per inserirsi o rientrare nel mondo del lavoro. Secondo uno studio della Commissione europea ben il 77% delle aziende europee ha difficoltà ad assumere candidati con le competenze adeguate, tanto che circa 6 lavoratori su 10 necessitano di formazione per aggiornare le proprie competenze. Dall’indagine del World Economic Forum “The future of Jobs” – condotta intervistando 803 imprese internazionali in 27 settori – è emerso che su 673 milioni di impieghi, nel giro di cinque anni svaniranno 83 milioni di posti di lavoro, ma il digitale ne creerà 69 milioni.
L’Italia, prigioniera di un forte gender gap
Anche se le donne dimostrano di avere una maggiore preparazione, tuttavia nel mercato del lavoro hanno sempre minori opportunità degli uomini. Secondo il rapporto “Terziario&Lavoro” sull’occupazione femminile realizzato da Confcommercio e pubblicato nell’aprile di quest’anno il tasso di occupazione delle donne in Italia è pari al 43,6% contro una media europea del 54,1%, mentre il tasso di disoccupazione femminile supera l’11% a fronte del valore europeo di 7,2%, con una perdita di lavoro per le donne di circa 433mila e un tasso di inattività pari al 43,4% (tra i più alti in Europa). Le differenze riguardano anche le diverse aree dello stivale: il tasso di occupazione delle donne al Sud è pari al 28,9% contro il 52% del Nord. Inoltre, in Italia alle donne vengono offerti lavori flessibili – una donna su due è assunta con un contratto part time –, mentre le offerte di lavoro per gli uomini sono ampie e consistenti – 334mila posti coperti in più nel 2022 pari all'88% del totale –.
Oltre al gender gap l’Italia presenta un forte gap nel digitale. La Commissione europea ha recentemente pubblicato i risultati del Digital Economy and Society Index (DESI) 2022, che traccia i progressi compiuti dagli Stati membri dell’UE nel settore digitale, e l’Italia purtroppo si colloca al 18° posto fra i 27 Stati membri.
Come possiamo colmare il gap digitale per facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro delle donne?
La risposta è nell’innovazione inclusiva, perché senza inclusione, non c’è emancipazione, non c’è crescita, non c’è futuro. È indispensabile garantire l’accesso alle tecnologie, ma anche assicurare competenze necessarie per prendere parte alla trasformazione digitale inclusiva. Pensiamo ad esempio alle piattaforme gratuite, dove poter fare corsi di formazione per imparare a usare gli strumenti digitali, ideate sia da enti della PA sia da aziende private.
Il 5° Piano d’Azione Nazionale 2022-2023 per il governo aperto prevede proprio un’azione dedicata all’innovazione digitale inclusiva, il cui scopo è dispiegare progetti di informazione e semplificazione digitale per attenuare i divari sociali, economici, culturali, generazionali e di genere, per un maggiore engagement di cittadini e cittadine e stakeholder nei processi di partecipazione, rendicontazione e accountability della Pubblica Amministrazione.
In questo momento storico, così mutevole e veloce, noi donne non dobbiamo avere paura dei nuovi scenari. La formazione per coloro che sono fuori dal mondo del lavoro o che cercano di reinserirsi è fortemente connessa alle conoscenze informatiche e digitali. Per questo bisogna garantire realmente vantaggi sociali in modo da ridurre le diseguaglianze. C’è quindi bisogno di una grande spinta politica.
I progressi che il nostro Paese compirà nei prossimi anni verso la transizione digitale saranno cruciali, e in questo contesto, lo strumento per la Ripresa e la Resilienza (Recovery and Resilience Facility), con miliardi di euro dedicati alle riforme e agli investimenti nel settore digitale rappresenta un’occasione senza precedenti per diminuire le disparità di genere e il gap di competenze digitali. L'obiettivo europeo è quello di raggiungere l'80% di cittadini e cittadine con competenze di base nell'Ict entro il 2030, considerando nel 2023 in Italia siamo solo al 45%.
Nel 2020 nel nostro Paese è stata lanciata Repubblica Digitale, un’iniziativa strategica nazionale promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel quadro della strategia “Italia 2025” con l’obiettivo di combattere il divario digitale, sostenere la massima inclusione digitale e favorire l’educazione sulle tecnologie del futuro. Tra i principali obiettivi da raggiungere: elevare al 70% la quota di popolazione con competenze digitali di base e azzerare il divario di genere e poi triplicare il numero dei laureati in ICT e quadruplicare quelli di sesso femminile. Il traguardo è ambizioso, ma è necessaria una più puntuale ed efficace definizione di strategie volte a favorire l’occupazione nel digitale delle donne. Istruzione e formazione continua e riqualificazione sono gli assi nella manica da giocare per fronteggiare questa trasformazione e affrontare le sfide imposte dalla rivoluzione in atto. Con l’augurio che la formazione finanziata con questi fondi abbia un reale impatto sociale.
Transizione digitale: una scure che taglia o un’opportunità?
La transizione digitale può essere vista come una scure che cala e taglia posti di lavoro oppure una reale opportunità da cogliere. Per questo abbiamo bisogno di percorsi di empowerment per sostenere le donne nell’acquisizione di nuove competenze richieste dal mercato del lavoro e per supportarle, anche con investimenti mirati e coerenti, nelle azioni che ne conseguono.
La parola empowerment, che non trova un termine univoco in italiano che possa tradurlo, vuol dire potenziamento, e si raggiunge quando una persona si appropria consapevolmente del proprio potenziale attraverso pratiche di cambiamento a favore non solo del singolo ma della intera comunità.
In Italia le donne sono più di 31 milioni, ovvero circa il 51,3%, della popolazione totale. Se quindi vogliamo non sprecare capitale umano prezioso e realizzare così una società migliore, nessuna deve rimanere indietro.
È indispensabile un maggiore impegno di istituzioni, aziende e organizzazioni pubbliche e private per supportarle nel colmare il divario sia digitale che di genere. Utile a tale scopo è definire percorsi formativi in co-progettazione con il settore pubblico e privato, orientando i progetti verso lo sviluppo delle competenze e l'inclusione delle persone per una piena e giusta occupazione, a partire appunto dalla mappatura e analisi delle istanze che vengono dagli stakeholder della società, in primis dalle organizzazioni e dai network al femminile. Necessarie anche azioni di accompagnamento alle donne per sviluppare una serie di soft skills e tra le tante in particolare la capacità di apprendere ad apprendere.
L’acquisizione di nuove competenze può mettere le donne in condizione di realizzare i propri desideri e di raggiungere una consapevole condizione di libertà, a cui contribuiranno nuove opportunità lavorative e una maggiore emancipazione economica.
E allora, impegniamoci tutti e tutte affinché questa rivoluzione digitale non sia un moltiplicatore di diseguaglianze, ma piuttosto sia un enzima per la riduzione delle stesse nel rispetto dei diritti, così da esprimere a pieno i talenti femminili e accrescere il Pil del Paese.