Non c’è progresso senza felicità e non si può essere felici in un mondo segnato dalla distribuzione iniqua della ricchezza, del lavoro, del sapere, delle opportunità e delle tutele. Questo è l’esito raggiunto da una politica economica che ha come base l’egoismo, come metodo la concorrenza e come obiettivo l’infelicità.
Domenico De Masi, La Felicità negata (Einaudi, 2022)
La ricchezza mondiale è tornata a crescere e anche bene, del 4,2 %. Lo afferma l’ultimo report UBS che ormai da ben 15 anni ci ripropone questa statistica.
L’altro peso della bilancia però, ovvero la distribuzione della ricchezza peggiora in maniera significativa.
L’ultimo rapporto del World Inequality Lab ci dà dati significativi che di seguito sono riportati in sintesi.
Il 10% più ricco della popolazione mondiale riceve il 52% del reddito globale, mentre la metà più povera della popolazione ne percepisce solo l’8,5%. In media, una persona appartenente al 10% più ricco guadagna 122.100 dollari all’anno, mentre un individuo appartenente alla metà più povera ne guadagna solo 3.920 (Figura 1). Le disuguaglianze di ricchezza globale sono ancora più pronunciate delle disuguaglianze di reddito. La metà più povera della popolazione mondiale possiede quasi nulla perché si divide solo il 2% della ricchezza totale. Al contrario, il 10% più ricco della popolazione mondiale possiede il 76% di tutta la ricchezza mondiale. La figura seguente mostra questi dati, income (reddito, ovvero il flusso di danaro che un individuo o una famiglia riceve in un tempo determinato, un anno in genere, e proviene da diverse fonti quali salari, stipendi, rendite, pensioni) e wealth (ricchezza, ovvero l’ammontare complessivo di beni e risorse finanziarie possedute da un individuo o una famiglia in un dato momento, include ad esempio conti in banca, azioni, proprietà immobiliari) in un semplice istogramma nel quale è visibile in rosso il 10% della popolazione che gestisce rispettivamente il 52% e il 76% dei guadagni e della ricchezza prodotta. A seguire il 40% della popolazione mondiale che detiene il 39,5% dei guadagni e il 22% della ricchezza. Fino ad arrivare al resto della popolazione mondiale, ovvero al rimanente 50% che detiene solo l’8,5% e il 2% rispettivamente di reddito e ricchezza.
Fonte: Chancel, L., Piketty, T., Saez, E., Zucman, G. et al., World Inequality Report 2022, World Inequality Lab wir2022.wid.world, pag. 10
Il 50% più povero del mondo ha l’8,5% del reddito totale misurato a parità di potere d’acquisto (PPA). Il 50% più povero del mondo possiede il 2% della ricchezza (sempre a parità di potere d’acquisto). Si noti che i detentori della ricchezza più elevata non sono necessariamente detentori del reddito più elevato. I redditi sono misurati dopo il funzionamento dei sistemi pensionistici e di disoccupazione e prima delle tasse e dei trasferimenti.
La ricchezza cresce di più rispetto al reddito e questo riapre un argomento di cui si parla sempre troppo poco a mio parere negli ultimi anni che è quello del jobless growth, dello sviluppo senza lavoro. E a un argomento connesso ad uno non meno cruciale, il tempo liberato.
Cosa accadrà dunque in un sistema in cui beni e servizi vengono prodotti in quantità superiore al necessario ma che non possono essere fruiti in modo equo? Potrebbe accadere che il ridotto o annullamento potere di acquisto della maggioranza della popolazione può far collassare il modello capitalistico proprio perché si basa sul consumismo? E il sistema sociale? Che succederà riguardo ai principi fondamentali del rispetto dell’equità, della redistribuzione delle risorse, della gestione del potere?
Molti economisti e sociologi di tutto il mondo si interrogano su questo nodo fondamentale e tutti cercano di dare risposte, a volte ottimiste, altre volte pessimiste.
Rimane sempre il fatto però che da quando sembra morto il modello neokeynesiano, che prediligeva il controllo pubblico indirizzato ad una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza di una nazione, il modello neoliberista ha preso il sopravvento in tutti i campi lasciando spazio quasi unicamente alla competizione selvaggia, come ben spiegato nell’ultimo libro La felicità negata del Professor Domenico De Masi scomparso un anno fa. Dell’antica mano invisibile di Adam Smith, ovvero il libero mercato che si autoregola, l’economia moderna ne ha preso la strada peggiore. La competizione a tutti i costi prevale su tutto senza nessuna cura per chi invece non può far parte del gioco per tante reali e diverse ragioni. Il welfare sociale, di conseguenza, sta pian piano tramontando ovunque.
Francamente non è un bel modello di società quello che ci troviamo di fronte. E forse, come diceva De Masi, occorrerebbe lavorare tutti insieme per costruire un nuovo modello di vita e di società per non lasciare indietro nessuno. Perché, come amava dire lui citando Goethe, anche se fossimo in Paradiso, ma da soli, sarebbe molto improbabile essere davvero felici.