I dipendenti comunali e il pollo alla Marengo

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Secondo i dati dell’ultimo Conto Annuale della Ragioneria Generale dello Stato il personale in servizio delle amministrazioni comunali italiane dal 2007 al 2023 si è ridotto di circa il 30% (140 mila lavoratori in meno su circa 480 mila). Dal 2015 96 mila dipendenti hanno lasciato la propria amministrazione per cause diverse dal pensionamento e il 45% dei dipendenti comunali ha più di 55 anni.

Si potrebbe andare avanti con altri dati, tutti più o meno impressionanti (1) da un punto di vista statistico ma la lettura generalista, diciamo pure superficiale quando non zuccona, che ne verrebbe data resterebbe sempre la stessa: brutti, sporchi e cattivi o, meglio, inutili, infedeli e vecchi.

La narrazione degli ultimi trent’anni sui dipendenti pubblici, e comunali in specie, evidenzia rappresentazioni stereotipate come se il lavoro pubblico non meritasse pari dignità rispetto a quello privato neanche nell’analisi interpretativa.


Personale dei comuni cessato per cause diverse dal pensionamento
Fonte: elaborazione IFEL-Ufficio Studi e Statistiche Territoriali su dati MEF, anni vari


Le principali preoccupazioni degli stakeholders impegnati in decenni di negoziati in materie di pubblico impiego hanno scimmiottato campagne napoleoniche fino all’ultimo fante sugli spazi assunzionali, piuttosto che finanziari, salvo ritrovarsi oggi con un pollo alla Marengo. Pochi ingredienti, male assortiti e combinati secondo una contaminazione di metodo per lo più casuale. Ovvero mentre decine di riforme, riformine, riformucce, circolari, direttive, triccheballacche e putipù vedevano impegnati uno stuolo di esperti del settore nel tentativo di mettere le cose a posto, il mercato – l’atavico incrocio tra domanda e offerta – faceva il resto, alimentando l’attuale contesto e delineando il prossimo scenario.


Il personale in servizio delle amministrazioni comunali italiane, 2007-2023
Fonte: elaborazione IFEL-Ufficio Studi e Statistiche Territoriali su dati MEF, anni vari


Così tra anacronistici posto fisso-posto figo, sull’onda del “fin che la barca va”, e adeguamenti salariali ottocenteschi – spesso senza copertura modello catena di Sant’Antonio – si è perso di vista che l’offerta di lavoro stava cambiando anche in Italia e perfino nel settore pubblico. Probabilmente la visione sabauda di una PA granitica, immobile e pseudo-efficentista non ha fatto cogliere i cambiamenti in atto. Ecco allora che le motivazioni tipiche delle exit interview del settore privato quali: ricerca di un miglior work-life balance, limitati avanzamenti di carriera, noia, bisogno di riconoscimenti, insoddisfazione rispetto alla cultura organizzativa o più prosaicamente, migliori opportunità di lavoro offerte da altri contesti e desiderio di cambiamento sembravano delle eresie perché il posto fisso, di zaloniana recitazione, è sacro!

E invece no; e non da oggi. Se nel 2007 l’anzianità di servizio media dei dipendenti comunali era di 18 anni, nel 2022 resta pressoché invariata a 17,5 anni. Ciò significa che nel mondo del lavoro dei comuni si entra tardi, ossia ad una età già avanzata, quasi si trattasse di un ripiego, l’ultima spiaggia. O, di contro, entrati presto si è spinti verso una mobilità orizzontale se non verso altri lidi. In entrambi i casi si palesa la grande difficoltà a cantierare azioni di fidelizzazione e attaccamento perché più che la cura del dipendente pubblico prevalgono “tornelli e blocchi”, alimentati da una logica di fannullismo diffuso e scontri politico-sindacali da prima rivoluzione industriale.

Anche il ricorso al principio del merito, di per sé grandemente attraente, a cui ricorrere per porre rimedio alla grande fuga, ha finito per avere una lettura assolutamente distorta in ambito pubblico. Nel mercato privato il merito è il presupposto alla base del quale sottostà il valore della forza lavoro; è quello che alimenta la competitività e la concorrenza; insomma, è ciò che spinge il datore di lavoro a mettere in campo strategie di retention per ridurre le fuoriuscite; invece, in ambito pubblico – il merito – viene sbandierato come uno strumento di valutazione a disposizione del Megadirettore Galattico Duca Conte Balabam in prestito alla PA. Da fine necessario a qualificare il valore pubblico diventa tautologicamente il mezzo palese per perimetrare quell’enclave di dipendenti più appetibili per il mercato pubblico di serie A o direttamente quello privato. Un mercato pubblico del lavoro fortemente differenziato che vede già nelle retribuzioni complessive medie elementi di evidente disparità e quindi concorrenzialità interna prima ancora che esterna.

Rertribuzione complessiva media (euro per unità di personale) nelle regioni a statuto ordinario (CCNL NAZ.): comparto,Comuni, Province e Regioni, 2021
Rertribuzione complessiva media (euro per unità di personale) nei Ministeri e nelle Agenzie fiscali, 2021
Fonte: elaborazione IFEL-Ufficio Studi e Statistiche Territoriali su dati Ministero dell'Economia e delle Finanze, 2024

Ancora una volta, tuttavia, proviamo a dare una lettura “di mercato” a questo fenomeno. Innanzitutto, c’è una questione di cannibalizzazione intra-amministrazioni per cui, tendenzialmente, “i più bravi” si spostano all’interno della stessa filiera lì dove maggiore sono le remunerazioni e le prospettive di crescita. In secondo ordine, i dipendenti pubblici – specie quelli comunali – hanno visto nel corso degli anni enormemente aumentare la qualificazione del loro impegno lavorativo, passando da manicotti, timbri, squadre, righelli e faldoni polverosi alla digitalizzazione, al multitasking, al cloud piuttosto che all’utilizzo di strumenti di controllo di gestione evoluti (tipo il BIM - Building Information Modeling), ma soprattutto hanno acquisito la più ricercata di tutte le competenze in ambito lavorativo, che è la capacità di saper “gestire la complessità”. Non deve quindi sorprendere se la mobilità del lavoro pubblico sia aumentata sensibilmente, peraltro a fronte di inesistenti politiche volte ad investire per ridurre il turnover eccessivo (basti pensare alla mortificante sceneggiata dei 1000 esperti Pnrr).

Solo un’interpretazione difensiva politico-sindacale votata alla conservazione della quantità dei posti di lavoro piuttosto che alla qualità sembra non cogliere che la crescente dinamicità e competitività del mercato del lavoro degli ultimi anni sta alimentando una vera e propria guerra dei talenti, di cui la pubblica amministrazione rappresenta una facile terra di conquista priva di mura difensive. E se già si fa fatica ad attrarre giovani neodiplomati e/o neolaureati che tra i social, il mito dell’aziendalismo imperante, i giochi senza frontiere dell’Erasmus hanno sempre più curvato la loro propensione al lavoro in un’ottica open mind e timeless orientata al privato, la sensazione è che senza una rinnovata e dinamica visione del mondo del lavoro pubblico da proporre alle prossime generazioni il distacco e il disinteresse per la “cosa pubblica” difficilmente subirà una inversione di tendenza, condannando la pubblica amministrazione ad un mondo autoreferenziale che parla a se stessa.

Ma la pubblica amministrazione – soprattutto in una accezione allargata – avrebbe già al suo interno due delle principali leve per mitigare la grande fuga ed offrire una potenzialità attrattiva al passo con i tempi: mobilità interna e valore pubblico.

Presente su tutto il territorio e – direttamente o indirettamente – anche all’estero, la PA è, in assoluto, per numerosità degli occupati, diramazioni territoriali, risorse finanziare mobilitate la più grande “impresa nazionale” capace di esprimere innumerevoli posizioni di lavoro sempre cangianti; allo stesso tempo sfidante e mai ripetitiva, che attraversa tutti i settori delle attività produttive. Un’impresa in cui innovazioni di processo e di prodotto/servizio sono all’ordine del giorno e il problem solving il requisito professionale più richiesto. Una domanda di lavoro destinata per sua natura a cavalcare costantemente la modernità, con un personale apicale e/o dirigenziale con un’età media altissima e prossimo alla pensione nell’ordine delle decine di migliaia.

Un luogo di grande opportunità di crescita e fortemente stimolante perché in continua transizione. Inoltre, offre ciò che pochissimi altri posti di lavoro sono in grado di restituire, ossia la gratificazione di adoprarsi per la propria collettività, per il bene comune, per la crescita del proprio territorio e la cura della propria comunità. Ciò perché tutti coloro che sono impegnati a creare valore pubblico – il plusvalore del lavoro di una PA locale e/o centrale – contribuiscono al miglioramento del livello complessivo di benessere dei cittadini, delle imprese e degli stakeholder nelle varie prospettive economica, sociale, occupazionale, giovanile, ambientale, sanitaria ecc.

Le leve strategiche della mobilità interna e del valore pubblico richiederebbero una reale e profonda trasformazione con evidente rivisitazione delle contrattazioni di comparto e una totale rivoluzione culturale del lavoro pubblico in una prospettiva di architrave di una società moderna e di fattore solidale e competitivo per i cittadini e le imprese. Far diventare il pubblico impiego uno dei lavori più belli del mondo, e di cui esserne fieri, è una sfida frutto della combinazione coraggiosa e lungimirante sia della visione politica nazionale – che considerata la macchina amministrativa quasi sempre come una cenerentola residuale nella ripartizione delle cariche ministeriali – sia dell’attenzione che i governi locali sapranno mostrare per la cura dei propri dipendenti.

Nel 2022 il 77% dei comuni italiani non ha predisposto un piano di formazione del proprio personale e il 70% non ha un responsabile della formazione del personale; a queste condizioni non si va da nessuna parte. Ma la rivoluzione culturale del lavoro pubblico necessita anche di un ripensamento di approccio dell’intero sistema di formazione di scuola secondaria superiore di secondo grado e, in specie di quello universitario. Oltre che ai contenuti, gli insegnamenti, dovrebbero far conoscere i contenitori ed esaltarne la loro finalità di utilità sociale, attraendo non necessariamente talenti ma facendo crescere passioni perché anche lavorare in un ente locale o un’amministrazione centrale o decentrata dello Stato oltre che pop può essere molto rock.  


Nota

(1)   https://www.fondazioneifel.it/documenti-e-pubblicazioni/item/download/6020_4d029fe4b81557526bb758cfc6599594






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