La dispersione scolastica tra miopie e ambizioni

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Contrariamente a quanto si potrebbe pensare nelle agende politiche per l'educazione le parole spesso non sono chiare. Per aver successo nella formazione delle decisioni occorrono, infatti, espressioni in grado di raccogliere il consenso di attori in campo e di costruire policy community coese al di là delle posizioni pregresse e delle divergenze ideologiche. Di qui l’abbondanza di buzz-words nei processi di comunicazione propri del policy-making (documenti politici, testimonianze pubbliche, dibattiti nei comitati, editoriali, discorsi in parlamento, studi e rapporti, interventi di supporto, attività di lobbying…).    
Prendiamo il caso della dispersione scolastica (1.880.000 risultati su Google 29 giugno 2023) diventata un luogo comune: “un’amputazione civile” (1) operata dalla scuola “colabrodo” (2). Raramente si avverte l'esigenza di un’analisi in profondità, magari contro-corrente. Per la verità analisti attenti notano l’attuale fase calante. Nel 2021 il 12,7% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato precocemente la scuola; erano, tuttavia, il 37,5% nel 1992, il 24,2% nel 2002 e il 17,3% nel 2012, seppur con marcate e perduranti variazioni territoriali.


Una diagnosi parziale 

La gamma delle cause (3) comprende fattori ascritti (background socio-economico e culturale della famiglia di origine, genere e contesto migratorio), variabili riferite all’ambiente scolastico (caratteristiche della scuola, qualità degli insegnanti, metodologie di insegnamento, relazioni in classe, gruppo dei pari) e dimensioni individuali (motivazioni, atteggiamento nei confronti dello studio, capacità di lavoro, attenzione e concentrazione…). Calibrate su queste diagnosi le terapie suggerite e perseguite sono per lo più concentrate su progetti di scuola. 
In questa ottica è quasi sempre assente uno sguardo al sistema istituzionale che condiziona le traiettorie degli studenti. Come tacito è il riferimento al ciclo quinquennale della secondaria di secondo grado con un arco di 13 anni di scolarità. 


La limitata diversificazione

L’economista Patrizio Bianchi, per dieci anni assessore regionale e successivamente al vertice del Ministero dell’istruzione ha riconosciuto che: “È soprattutto grazie a una Formazione Professionale (FP) diffusa e capillare … che in Emilia Romagna la dispersione scolastica si è ridotta ai livelli europei, passando dal 16,5% del 2010 al 9,9% del 2018”. Traendo l’indicazione che: “la FP …deve costituire il principale strumento per ridurre la dispersione scolastica permettendo a molti ragazzi di ottenere una qualifica professionale…” (4). Altri hanno fatto notare che la contrazione della dispersione dipende dalla presenza di un settore di formazione professionale in grado di assorbire quote variabili di studenti nella fascia 15-18 anni. Non è un caso che i livelli più contenuti di dispersione si riscontrino nelle realtà territoriali con una presenza di rilievo dei percorsi di formazione professionale, come in Lombardia, nel Veneto o nelle province autonome di Trento e Bolzano
Questa indicazione non sembra aver avuto alcun rilievo nei piani di azione di contrasto alla dispersione scolastica. Non si può fare a meno, tuttavia, di notare che chiedere alle scuole di raggiungere i livelli propri di regioni con percentuali significative di studenti nella formazione professionale, significa caricarle di compiti al limite dell’impossibile. Se alcune regioni avessero un'area di formazione professionale come in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, per non dire della Provincia autonoma di Trento, probabilmente le scuole riuscirebbero a contenere il fenomeno della dispersione in termini ragionevoli. Una visione integrata che includa l'Istruzione e formazione professionale di competenza regionale, ormai parte dell’ordinamento, dovrebbe guidare l’azione pubblica, non solo le statistiche nazionali (5).

 
La scuola secondaria superiore per tutti

La generalizzazione dell’insegnamento secondario superiore come traguardo da raggiungere è fuori discussione. Ad uno sguardo comparativo, tuttavia, non si può non notare che l'obiettivo è decisamente impegnativo. In Francia il presidente Macron ha posto l'obiettivo portare al BAC nel suo primo quinquennato l'80% delle rispettive classi di età. Alle elezioni del 2017 i conservatori inglesi avevano nel loro manifesto elettorale posto il traguardo del '70%.
Nel nostro Paese il pregiudizio storico nei confronti della FP, oltre al destino incerto dei percorsi, liceali o tecnici, quadriennali, ha indebolito le strategie di intervento restringendo lo spettro delle possibili opzioni per gli studenti. 


Debolezze analitiche 

Oltre alla miopia istituzionale e agli obiettivi sottesi, l'approccio alla dispersione si è rivelato analiticamente carente da altri due punti di vista.
La focalizzazione sui flussi in entrata e in uscita ha per molto tempo oscurato la questione dei livelli di competenza. Lo slogan 'tutti a scuola' richiama le fatiche del primo Novecento. Solo recentemente si è puntata l'attenzione sull'inadeguata preparazione al termine dei cicli scolastici con le analisi sulla dispersione interna o implicita. Non è solo questione di banchi vuoti. Si arriva al 20% assommando la dispersione esplicita e implicita. Il superamento della dispersione intesa come abbandono della scuola, con lo spostamento dell'attenzione alla carenza di competenze, è, tuttavia, ancora tendenziale.
In secondo luogo rimane da mettere a fuoco il problema della validità delle competenze a cui mira la scuola e che valuta sia al suo interno, sia con la somministrazione di test standard. Il gap tra offerta e domanda, oggi resa più complessa dall'incombenza di un futuro non delineabile, rimane un punto interrogativo in attesa di risposte prammatiche e convincenti.


Il necessario rescaling delle politiche di contrasto alla dispersione scolastica

Se la miopia istituzionale segnalata dovesse trovare conferma in analisi approfondite, se il traguardo della generalizzazione della scuola secondaria venisse considerato con prammatismo e se le diverse dimensioni della dispersione (esplicita, implicita e connessa al training gap) entrassero in agenda, un profondo rescaling dell’azione pubblica dovrebbe essere messo in cantiere. 
Puntare decisamente sulle singole scuole non deve significare abdicare alla funzione di una politica nazionale in grado di mettere in movimento l’intero sistema di istruzione e di formazione, connettendo il raggiungimento di traguardi quantitativi a soddisfacenti performance di apprendimento e a credibili competenze per il futuro.


Note

(1) Dal discorso del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione di “Tutti a scuola”, la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico (18 settembre 2018).
(2) AA.VV., La scuola colabrodo, Dossier, Tuttoscuola, Roma 2018.
(3) "Le cause della dispersione scolastica", in INvalsiopen, 3 aprile 2020 https://www.invalsiopen.it/cause-dispersione-scolastica/
(4) P. Bianchi, Nello specchio della scuola. Quale sviluppo per l’Italia, Il Mulino, Bologna 2020, p.134.
(5) Istat, Annuario statistico 2021, cap.7 istruzione e formazione, Roma 2021, p.7.

Il comitato redazionale

Myriam Ines Giangiacomo

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